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venerdì 26 giugno 2020

Da San Pedro de Atacama verso l'Argentina

 
L'autobus per l'Argentina mi aspetta nella stazione di San Pedro. Qualche cileno, qualche argentino, molti viaggiatori occidentali. Piccola babilonia di cani randagi dagli occhi dolci alla ricerca di qualcosa di commestibile: dovere offrire una timida carezza a qualcuno di loro.
Lentamente un altro magnifico giorno rinasce dalla terra fredda del deserto di Atacama.
Invincibile sarà la data del 22 gennaio 2020. Ancora nell'estate australe attraversando frontiere. Velocemente prendo posto nel piano superiore del bus salutando il singaporiano seduto accanto a me. La compagnia di trasporto è Andesmar con la quale feci non-stop 36 ore di viaggio da Buenos Aires a Río Gallegos. 2600 chilometri sulla mitica Ruta Nacional 3, con gli occhi che guardavano a sud https://travel-ontheroad.blogspot.com/2011/11/rotta-australe-da-buenos-aires-rio.html

È nelle cose. Era già scritto nelle aspettative e nelle sensazioni che quasi subito fuori dal finestrino di quell'autobus diretto a Salta l'inverosimile, ciò che non è terreno, prendesse corpo. Precipitiamo in salita nel deserto più secco del mondo guidati da un nastro d'asfalto perfettamente riconoscibile. Tornanti, curve in mezzo al nulla apparente, in avvicinamento alle montagne. Qualche piccola gola e poi, in un attimo o quasi, siamo sulla Puna. La coppia di francesi davanti a noi non dissimulano la loro eccitazione.

La Puna, l'altopiano, si mostra nella sua preziosa nudità, svelando la sua uniforme terra rossa che tende al grigio, le sue colline e le montagne vulcaniche coperte da neve verginale. L'autobus Andesmar corre veloce verso l'Argentina passando con noncuranza i 3000, 4000, 4500 metri.
Il singaporiano mi fa notare alcuni esemplari di vicuña la cui lana preziosa serviva a coprire i re dell'antichità: gli animali quasi perfettamente mimetizzati con il paesaggio corrono lontani da noi.

Il passo di Jama che divide il Cile dall'Argentina arriva all'improvviso dopo aver vagato con il mezzo a motore su e giù per l'altopiano desertico. Le nostre visioni sono ancora piene di neve, montagne e laghetti da cui escono vapori caldi. Fenicotteri dai colori lisergici abitano le pochissime aree dove arriva l'acqua.

In Argentina le visioni mutano solo quando si comincia lentamente a scendere. Il versante est della Puna risulta via via più umido e verde popolato da lama e viscacce di montagna. Nuvole grigie vagano nel cielo rendendo meno abbacinante il riflesso dei laghi salati che appaiono quasi alla fine del promontorio.

Poi comincia la discesa vertiginosa verso la Quebrada de Humahuaca, Jujuy.

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venerdì 29 maggio 2020

Nella Gola del Diavolo/Garganta del Diablo

Mi lascio ipnotizzare dal sentiero tortuoso che si insinua tra montagne aride. La pista della Gola del Diavolo dapprima è stretta, ombrosa, quasi oscura, nonostante il sole del deserto di Atacama. Dove saranno ora le simpatiche ragazze cilene con le quali ho scambiato qualche battuta all'inizio della forra?

Terzo giorno a San Pedro de Atacama, 2400 metri di altitudine. Ancora libero di non avvalermi di un tour ho risalito la valle del río San Pedro dominato da un contrasto accecante: dove scorre il torrente si incontra un poco di verde e qualche albero, appena fuori dal corso d'acqua splendono colline e montagne marziane.

L'affascinante Garganta del Diablo o Quebrada de Chulakao si restringe, si allarga, mi trascina avanti nel suo sentiero serpeggiante dal quale non è possibile deviare. Ogni curva a gomito riserva una sorpresa costituita da una caverna parziale, colline rosse scolpite dai profili spesso regolari. Il cielo è trattenuto da fiocchi di piccole nuvole zingare. A un tratto sulla sinistra compare un cespuglio di fiori dal colore analogo alla quello del terreno circostante. Il suolo è compatto ma friabile, con frammenti di pietre incastonate al suo interno.
Il cammino ora si fa più aperto e abbasso la testa sotto la potenza del sole. Qualcuno ha lasciato delle bici per risalire a piedi il mirador. Le risate delle giovani di Santiago sono ormai lontane.

Con un cammino totale di due ore e mezza da mio hostal giungo sulla cima del mirador, un punto panoramico che guarda la valle di San Pedro, la sua cittadina omonima immersa nel verde e la catena delle Ande a est. Travolgente bellezza.
Da questo promontorio noto una traccia irregolare sulla sinistra che dovrebbe condurmi a San Pedro, riuscendo così a compiere un percorso circolare. Decido di provare, non prima di essermi fissato per bene in testa i passaggi chiave del sentiero che a un certo punto si ramifica.

Il viottolo solitario è perlopiù pianeggiante fino a un bivio che conduce a un avvallamento nel quale si individua una lontana strada sterrata che porta al centro abitato. Anche in questo caso memorizzo bene il tragitto ricco di diramazioni e senza segnaletica. Cammino, respiro e cammino. La lingua è secca, il cuore è forte. Affrancato dai legami umani, legato alla Natura.

In una ora e mezza sono di ritorno a San Pedro.
Programma: pranzo nelle bancarelle dei boliviani e prenotazione biglietto per l'Argentina. Via Paso de Jama.

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sabato 16 maggio 2020

Uscendo da San Pedro de Atacama

Impossibile evitare la massa di turisti e procacciatori che affollano San Pedro. Sono arrivato ieri da un lungo viaggio proveniente da Tarapacá, I Región. Dalla Puna, dalla meseta vicina al cielo, al deserto di Atacama. Il deserto più arido del mondo.

Le solitudini dell'altopiano le ritrovo dopo aver abbandonato la Ruta 23, prendendo un sentiero indicatomi da un locale. La terra è rossastra con sassi e pietre, dura, a tratti polverosa. Ondate di calore cominciano a salire dal basso. Penetro ambienti estremi, luoghi ultraterreni, come i nomi delle lande che mi circondano. Il sole del mattino è forte e benefico. Non ho acqua né alimenti. Per qualche ora voglio essere purificato, ridotto all'essenzialità dalla sfarzosa natura disadorna.

Alla fine di una breve ascesa la traccia mi porta su un crinale, e la vista liberata comincia a spaziare nell'aria limpida del deserto.
A ovest vedo la valle di Marte, costituita da tanti piccoli dossi marron chiaro e scuro, e di tante tonalità di rosso. Tra queste piccole, singolari, colline si individuano ruscelli salati che lasciano sottili strisce bianche, la cui scarsissima acqua sotterranea ricca di minerali proviene da lontano. Oltre la miriade di minuscole colline e appena di lato osservo una cresta al cui culmine troneggia un manufatto, il preispanico mirador di Pukará de Quitor.

Verso est, dove le Ande confinano con la Bolivia e l'Argentina, prima che nubi cumuliformi impediscano di viaggiare con gli occhi, dominano due vulcani di oltre 5000 metri al cui culmine la neve ha trovato temporaneo riposo. Sono i vulcani Láscar e Licancabur. Nell'aria secca si distingue con chiarezza la fine del deserto di Atacama, la terra che sale, le gole, e quando l'acclivio termina inizia un altopiano meraviglioso.
San Pedro di Atacama è molto vicina, eppure invisibile, racchiusa nella sua oasi di verde creata dall'omonimo fiume che ora è ricco d'acqua marrone. Acqua che continuerà a scorrere sopra la terra arida per poco, dopo la cittadina.

Scendo la cresta in direzione della valle di Marte. Chissà se riuscirò a entrare a Pukará de Quitor per un sentiero irregolare?

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venerdì 24 aprile 2020

Agli estremi del Parco Nazionale Vulcano Isluga

Finirà mai la giornata di oggi? Sono a Colchane, I Región, a poco meno di 3700 metri di altitudine. Data: sabato 18 gennaio 2020.
Prima d'incamminarmi verso la meta entro nel municipio del paese. "Qualcuno per caso va a Isluga?", chiedo. Nessuno.
Prendo a ritroso un piccolo pezzo di Ruta 15 fino al bivio per Isluga. La strada asfaltata che da Huara porta in Bolivia è deserta. Tutti i camion e gli autobus del mattino hanno varcato la frontiera da tempo. Il panorama che mi circonda è stupefacente: la via perfetta, la terra chiara disseminata da cespugli pronti a fiorire, le limitrofe montagne di 5000 metri con le cime innevate, il vento lieve che viene da est, nuvole sparse che indugiano presso i monti, i cirri che lambiscono cieli limpidi. Il corpo la mente provati dai dislivelli e dai chilometri sono prossimi a conoscere un altro confine segnato tra l'altopiano secco e quello desertico.

La strada che porta a Isluga è sterrata. Sulla sua sinistra scorre un corso d'acqua dalle acque calme, il río Sitani. Tutta la vita animale pare sia concentrata in questa oasi di verde intenso. Lama, oche delle Ande e una infinità di altri piccoli volatili colorati popolano le rive del torrente. La strada segue il fiume nell'avvallamento erboso, in una salita pressoché impercettibile.
Il sole abbaglia un corpo magro che cammina veloce sulla terra, sulle pietre della strada inumidita dalla pioggia della notte; la luce avvicina colline smussate di color marrone che vira verso il verde. Penso, contemplo. La rivelazione del mio intimo, di quello che sono, avanza col mio incedere.

Un minivan impolverato scende verso la Ruta 15. L'uomo e la donna sul mezzo mi osservano impassibilmente. Da qualche parte ho letto che la popolazione della zona è 0,39 abitanti per chilometro quadrato.

Le ore passano quando un cartello mi avvisa che sono a Isluga. Sulla sinistra un cimitero trascurato, davanti diverse decine di case basse col tetto in lamiera. Nessuno in giro. Molto presto giungo alla chiesa monumentale, uno dei siti più apprezzati della regione. Il campanile basso, la sagoma tozza del luogo di culto, le tre croci in legno prima dell'entrata sono attorniate da visioni lunghe della meseta andina, nel Parque Nacional Volcán Isluga.

Passato il borgo lascio la strada carrozzabile e salgo su una collina prospiciente. Arrivato a un dosso mi fermo. 3900 metri di altitudine e una dozzina di lucenti chilometri compiuti. Seminascosto da nuvole veloci vedo le anticime del vulcano Isluga. A est, in Bolivia, un grande lago salato circonda una montagna, probabilmente il cerro Villa Pucarani. Bevo un sorso d'acqua e decido di scendere. La giornata più lunga mi porterà ancora lontano. Molto lontano.
 
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mercoledì 8 aprile 2020

Destinazione Colchane: dislivelli iperbolici

«But heading out towards Ponoma
where you wont be alone»
Bon Iver

Acquisto il biglietto per Colchane nel quartiere boliviano di Iquique. Donne tarchiate con la pollera sedute appena fuori sulla strada rappresentano sconosciute compagnie di autobus internazionali. Faccio un giro per la via, chiedo prezzi e orari, infine decido per l'impresa che appare messa migliore. La zona più a est della calle Esmeralda, dove ora mi trovo, di notte è molto pericolosa. Dicono che anche i carabineros non si avventurino. Iquique è colonizzata da boliviani e peruviani.

Nella stazione degli autobus c'è una grande confusione di persone, facchini, beni e valigie. Tutti i posti a sedere della struttura sono fottutamente occupati. Anche il pavimento. Pare di essere in altri mondi dislocati appena più a nord. Tranne qualche cileno e occidentale, la maggioranza dei passeggeri sono immigrati provenienti da regioni più povere che tornano a casa.
E' sera e sono stanco. Tutto il giorno che cammino lungo la costa respirando l'estate australe, la sua brezza, osservando gente di diverse etnie che si reca al mare, persone in bici, i richiami degli ambulanti che declamano i loro prodotti, uccelli marini che si destreggiano con il vento. Nelle ore più calde ho trovato l'ombra sotto le case coloniali di Iquique.

Il mio autobus per Cochabamba è in ritardo. Coño se conosco Cochabamba. Avevo 24 anni.
Continuano ad arrivare mezzi diretti in Perú, Ecuador e Bolivia presso i quali si accalcano immigrati stracarichi di bagagli. Televisori nuovi dallo schermo enorme vengono infilati nella stiva dei bus a due piani. Gente che contratta, grida, chiama, si abbraccia, si lascia, piange.
Vite interrotte. Vite spezzate. Vite raminghe.

Alla fine la signora della stazione mi avvisa che il torpedone è arrivato. Il nome della compagnia è diverso rispetto a quello che cita il mio biglietto, ma il bus è nuovo ed il posto a sedere assegnato è ottimo. Nulla da reclamare. Il bus cama è pronto per partire verso le ande, attraversando prima il deserto di Atacama, poi le gole, i canyon, e infine l'altopiano, la Puna. Troppo dislivello in poche ore.

Il lungo viaggio arriva nel buio appena dopo Colchane, a una manciata di chilometri dal confine boliviano. La frontiera è chiusa di notte. L'autobus si ferma, quindi posso approfittare ancora della mia poltrona. Riesco perfino a dormire un poco. Non sento ancora i 3700 metri di dislivello appena compiuti.

Alle sei e trenta esco dal bus. Giacca a vento leggera e zaino. Un tenue malore circola da qualche parte della testa, ma il crepuscolo sulla Puna annienta ogni disturbo. Sono eccitato, libero, leggero. Volo sulla strada asfaltata, illuminato dall'etere. L'aria è pura, vergine.
Infine arriva da est, dalla Bolivia, il sole abbagliante che porta contrasto sui contorni, rischiara di sbieco l'erba secca e spettacolari nuvole stratificate, e mette in evidenza montagne imbiancate di neve fresca.
Volo verso Colchane, con il sole sulla schiena che viene dalla Bolivia.
  
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domenica 22 marzo 2020

Iquique

Dopo una infinita quantità di movimento e transito atterro a Iquique.
L'ambiente si presenta alle iridi nella sua forma più austera.
Immagini di deserto e di mare. Oltre l'oceano fertile, la terra, la sabbia dalle quali nulla cresce. Mai.
Fuori le mura dell'aeroporto mi accolgono i taxisti, qualche cartellone pubblicitario, una lunga collina che si estende fino all'acqua salata e quindi i prodromi di quello che è il deserto più arido del mondo. Atacama. Oceano e deserto saranno i compagni e le icone del viaggio che inizia oggi.

Aspetto il Turbus che porta alla città. 3000 pesos. L'autobus schizza veloce su una strada costiera ben sistemata, offrendo panorami assoluti, immanenti. Un poco di foschia dovuta probabilmente all'effetto delle onde che si infrangono sulla costa appanna la visuale lontana. Nessun passeggero parla, tutti sono ammaliati da quello che scorre oltre il finestrino.
Poi la baia si allunga, le montagne si fanno più lontane e cominciano le prime urbanizzazioni. Case a schiera in mezzo al nulla, concessionari di automobili, magazzini, fabbriche e quindi la città. Mi faccio lasciare vicino al mercato centrale. Il sole è forte, anche se aliti di aria marina arrivano leggeri fino a dove mi trovo.

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