Il gruppo di rumorosi turisti colombiani hanno 
cominciato a fare rumore nell'hotel dalle 4 del mattino. Alle 6 sono in 
strada, sulla strada lastricata del bel centro storico di Popayán, 
diretto verso il terminal. Le vie vuote, da poco la luce dell'alba, il 
problema della sicurezza in Colombia. La mente si consola con un ritmo 
dall'ultimo lavoro del britannico Lapalux.
Arrivo alla 6:20 al terminal. Niente. Il minivan diretto a Pasto e' completo. Impreco.
La
 discesa del bus sembra non finisca mai, incuneandosi tra stretti 
tornanti e vegetazione sempre piu´arida. Il sudore corporeo comincia ad
 esprimersi con intensita'. Dopo essersi riaddormentato, il ragazzo 
accanto a me si sveglia e mi chiede se siamo arrivati ad un dato paese. 
Gli rispondo che non lo so. Evidentemente il rumore del bus gli ha in 
precedenza impedito di scovare il mio accento straniero. L'informo che 
siamo a 700 metri di altitudine e nel mezzo di una valle quasi 
desertica. Lui annuisce assonnato. L'autobus percorre per diversi 
chilometri questa valle costituita da alberi bassi, cespugli, cactus e 
terra gialla.  Nel mezzo scorre un torrente, un alieno nel secco desolante. Poche le abitazioni.
Dopo circa sei ore di viaggio ed aver oltrepassato un passo a 3100 metri, raggiungiamo Pasto. Come dice il nome (pasto = erba, pascolo) l'umidita' e la pioggia raggiungono con generosita' la citta' rendendo i boschi e la vegetazione di un verde intenso. La Panamericana prosegue verso sud, verso Ipiales e la frontiera con l'Ecuador.
 
