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domenica 15 gennaio 2023

Identità sfocate. Da Santiago alla Araucanía lungo la Panamericana

 

In pochi minuti la metropolitana mi porta dalla Universidad Catolica al Terminal Sur. L’autobus a due piani salón cama della Transantin sta aspettando.  786 chilometri sulla ruta 5 Panamericana. Salgo verso l’alto. Partiamo. Volo ancora.

Incorporo tutta l’aria che passa attorno mentre mi libro piano, respirando tutti i chilometri, uno dopo l’altro, con il piacere che non declina, nonostante la stanchezza. Scorrono San Fernando, Talca, Chillán, con i frutteti carichi di colori che omaggiano l’estate australe, lasciando indietro l’aridità e le devastazioni umane della periferia di Santiago. Il vento che viene dalla Patagonia si insinua tra le foglie di pioppo e olmo che brillano alla luce dello scudo luminoso.

Ancora una volta Mirando al Sur, guardando a sud, ammaliato dalla strada e dai panorami. Le Ande si nascondono ancora nella foschia della lontananza; i loro fiumi irrigano le coltivazioni e il mondo circostante.

Cosa ci sarà dopo il viaggio di oggi e quello di domani? Chi è quella anima che si dirige a sud? Dove sono le sue appartenenze e le sue identità? Tutto muta così in fretta, eppure mi sento tremendamente a mio agio, come se sempre avessi compiuto questo percorso, i molti percorsi.

Il sole lentamente si sposta a occidente, cambiando le ombre determinate dagli alberi e dalle case in legno, mentre un cartello in basso annuncia che mancano 118 chilometri a Los Angeles. 

La Panamericana continua a fluire sotto e dentro me.


 Testo e foto Diritti riservati Creative Commons

 

 



 

 

 

lunedì 3 giugno 2013

Bus in Sud America

 

Chi

Pat

SCZ

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martedì 22 novembre 2011

Alla fine del mondo: destinazione Ushuaia

Ancora pascoli e vento e rari alberi. Di nuovo sull’autobus verso Sud. Questa volta il mezzo e' tadella compagnia Tecni-Austral ed e' decisamente meno confortevole di quello a due livelli della Andesmar sul quale ho vissuto un giorno e mezzo. L'autobus ha il vetro anteriore schermato da una rete metallica come protezione dalle pietre della strada sterrata. La destinazione invece... ovvio, e' la fine del mondo.
Le immagini che scorrono fuori dal finestrino sono simili a quelle viste da Comodoro Rivadavia in giu': colline, animali, cielo e vento proveniente da nord-ovest.
In fretta raggiungiamo il confine cileno dove si perdono molte decine di minuti nelle pratiche di immigrazione. Un addetto del bus mi confida che le ore per raggiungere Ushuaia saranno 15 e non 12. Questa e' la destinazione: la citta' piu' a sud del mondo.
Poco dopo essere entrati nel territorio cileno il mare comincia a vedersi sul lato sinistro; in breve la strada si infrange sull'oceano dello stretto di Magellano. Causa il vento cheem supera i 120 km orari il ferry non effettua il servizio di trasporto. Bisogna attendere che le condizioni siano piu' favorevoli. Nel frattempo usciamo ad ammirare il severo passaggio delle antiche rotte navali verso il Pacifico. Se non fosse per il vento, la temperatura sarebbe piacevole.
Ad un certo punto arriva il ferry ed in 20 minuti siamo sulla isola Grande della Terra del Fuoco. Si'.
Sulla pista sterrata i vetri del bus della Tecni-Austral vedono morbide colline, pecore e guanachi, prati e ciuffi di cespugli dagli estremi rinsecchiti. Nelle vallate scorrono TFtorrenti color etere contornati da piccoli fiori. In alcuni momenti mi pare di stare in quei minuscoli eden che si scoprono sopra i 2000 metri sulle Alpi; le iridi si adagiano piacevolmente su tali orizzonti. Come nella querida Santa Cruz in alto le nuvole proseguono a gareggiare tra loro.
Passata la frontiera argentina torna la strada asfaltata e, con essa, la Ruta Nacional 3.
Dopo le ore 22, quando la luce australe comincia decisamente ad abbassarsi, insieme a fitte foreste scorgo il grande lago Khami ed i picchi innevati che rendono eccezionale il sud della Terra del Fuoco. Le valli sono bagnate de torbiere ed acqua senza fine.
Sono le 23 passate quando i piedi toccano l'asfalto di Ushuaia alla ricerca di un alloggio economico. La Ruta Nacional 3 ha da poco oltrepassato i 3050 chilometri; il mio corpo li conosce tutti, uno per uno.

venerdì 18 novembre 2011

Rotta Australe: da Buenos Aires a Río Gallegos

Arrivo nella stazione Retiro di Buenos Aires in un tardo pomeriggio di piena primavera. Il terminal dei bus e', come sempre, pieno di viaggiatori e di autobus a due piani che si irradiano in tutte le arterie della nazione. Il mezzo che mi condurra' a Río Gallegos e' della compagnia Andesmar. Il viaggio che sto per intraprendere e' il piu' lungo che abbia mai percorso. Buenos Aires-Río Gallegos: 2600 chilometri sulla Ruta Nacional 3, dal Río de la Plata alla Patagonia del sud, a 50 chilometri dallo stretto di Magellano. 
Il mio posto a sedere e' quello panoramico del piano superiore del bus. Lasciamo alle 20 passate una Buenos Aires con il tramonto appena consumato, passando per Puertobs as Madero e poi verso sud, inforcando la Ruta Nacional 3 (RN3). Al Sur.
Scorrono veloci i chilometri nel buio stellato, con ancora i riverberi della piu' affascinante capitale dell'America del sud. Accanto a me e' seduta una ragazza danese con la quale comincio a discorrere. Poi arriva il pasto ed un buon bicchiere di vino di Mendoza. Quando si chiudono tutte le luci del bus osserviamo in silenzio il nastro asfaltato che scorre sotto di noi.
Il preludio dell'alba ci accoglie a Bahía Blanca con il vento proveniente dall'oceano ed i gabbiani che sfrecciano nella prima luce. Con la musica dei Cinematic Orchestra nella mente e gli occhi piantati sulle due corsie della strada ornata da minuscoli fiori gialli, nasce un nuovo giorno di viaggio. E' una cosa impossibile da spiegare, eppure qui, nel piano rialzato del bus, con il mondo perfettamente diviso in due colori, di cui uno -quello verde- partito a meta' dalla riga d'asfalto, la monotonia e' oggetto alieno; il sangue ramingo annega di piacere nella strada e nel movimento, assaporando la pat3lentezza e godendo l'interminabilita'. Attorno al bus della Andesmar scorrono mari di praterie e di cespugli. Il cielo tagliato da ombre di nuvole sottili preannuncia una giornata di sole. Ad un certo punto, ad un lato della carreggiata, vedo un autoarticolato immenso coricato su un lato: come il suo conducente pare che stia riposando sui prati della infinita Patagonia.
Sebbene la Patagonia argentina fosse iniziata dopo il río Negro, e' al solcare la provincia Chubut che vediamo i cartelli che annunciano questa immensa zona.

Dopo 24 ore di viaggio il cartello sulla strada segna 1752 chilometri; parecchio piu' avanti il crepuscolo si adagia sui pascoli bitorzoluti della Patagonia centrale. Lame di raggi di sole attraversano il panorama frustato dal vento. Río Gallegos dista ancora 870 chilometri.

Il giorno dopo, alle 8 del mattino, arrivo a Río Gallegos: 36 ore precise di viaggio non-stop; sono stanco ed eccitato. Fuori dal bus della Andesmar il fiato fuma leggermente, il vento e' forte, ma si capisce che la giornata sara' abbastanza mite.

venerdì 24 giugno 2011

Cavalcando i bus di Santa Cruz

Esco dalla casa di Miriam, chiudo il cancello con lucchetto e sono sulla strada. Subito il vento caldo del Norte mi investe, lambendo insieme a me i bus e le persone, i cani raminghi e gli alberi dei giardini. Cammino con passo veloce lungo questa strada tranquilla di quartiere formata da case basse con tetti di tegole; oltrepasso alberi di ibisco colmi di colori e palme che si piegano al vento. Nella via pavimentata ci sono un po' di rifiuti attorniati da sabbia delle Ande trasportata fin qui dai tanti fiumi che corrono verso il Mato Grosso.
Fuori dal quartiere i sensi sono investiti dal traffico del tercer anillo externo e dal grande mercato della Mutualista. Donne dell'altopiano sotto le loro bancarelle mobili vendono di tutto: dalle custodie per i cellulari alla verdura, dal pane fresco alla biancheria intima. Dopo aver chiesto il prezzo mi fermo a bere un succo di arancia spremuto al momento. Tre pesos, il suo costo.
Raggiungo velocemente il tercer anillo interno e sono pronto per prendere il bus. Quasi subito arriva il numero 74, il mio. Un micro 74cenno della mano e salgo. Questi micros sono corti e bassi, quindi mi tocca per qualche minuto rimanere in piedi con la testa piegata in attesa che qualcuno scenda. Dopo poco si libera un posto dietro al conducente; dalle sue spalle senza collo vedo quello che succede nella strada. Auto bianche dei taxi si intercalano a jeep, camion e tanti altri micros. A Santa Cruz ci sono poche moto e nessuna bicicletta.
Il mio sguardo rimpicciolisce la prospettiva per muoversi all'interno del bus: il cruscotto è foderato da una copertura in pelle marrone con frange stile cowboy, la sua strumentazione e' distrutta, logora, usata e ancora usata. Un portamonete di legno appiccicato non so' come suddivide secondo il valore i soldi ricevuti dai passeggeri; le banconote sono conservate in due distinte tasche di plastica. I pulsanti fondamentali come clacson e luci chissa' da quale reperto elettrico alieno provengono! Nella carrozzeria anteriore un buco nel metallo fornisce ulteriore areazione e -con essa- ci porta il fumo degli altri veicoli e la sabbia dello sterrato a lato delle strade. Sulle pareti del bus campeggiano una serie di autoadesivi di Topolino e macchie rosse casuali di una antica vernice.
I minuti passano e con essi gente di tutti i tipi: bianchi con in mano cartellette, signore piccole e tozze con vestiti dell'altopiano, meticci carichi di borse, persone povere e meno povere, donne con bambini piccoli in braccio. Umanità viaggiante.
Ora il sole riscalda con forza l'interno del bus mentre il guidatore si ferma ogni momento per raccogliere o scaricare gente. Tra poco arrivero' nella sede del Cepac, una ONG boliviana che lavora nel nostro progetto Centinelas de la Biodiversidad. Anch'io mi faccio lasciare dal micro nel punto piu' prossimo alla destinazione.
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sabato 30 agosto 2008

BD come viaggio


I Bus del Bengala.
Vorrei spendere due parole per descrivere uno dei mezzi di trasporto che ho avuto modo di conoscere piuttosto bene in questi giorni: il bus.
L'autobus bengalese e' un aggeggio degno di nota; in ordine di importanza sono queste le cose che devono per forza funzionare: il motore (ed aggeggi rotanti annessi), il clacson e le luci abbaglianti. Il resto conta poco. Il cruscotto polveroso dell'autista e' pieno di modifiche quali levette, bottoni, stemmi, autoadesivi e lucette colorate; peccato che la strumentazione normale non funzioni affatto. Quello che conta e' l'esperienza del guidatore. Come nei mezzi piu' obsoleti, il motore rientra parzialmente accanto al posto guida, donando un piacevole tepore al resto del bus gia' torrido.
Passiamo ai posti a sedere: sono circa una quarantina con uno spazio anteriore riservato generalmente alle (poche) donne. I sedili sono sporchi, spaccati, sformati, vissuti quanto basta. In un paio di casi qualcuno ha avuto la brillante idea di inserire su di essi dei poggiatesta di tessuto bianco. Una crudelta'.
Il resto dell'abitacolo e' consumato e logoro come i sedili. Al loro esterno i pullman sono pieni di ammaccature e rattoppi mal fatti. E' la prima volta che vedo gli specchietti retrovisori fissati all'interno del posto guida per evitare la loro rottura nella lotta continua in coda e nel traffico.
Quando possono, questi veicoli urlanti e strombazzanti vanno ad una velocita' pazzesca, sfiorando letteralmente persone, cose, animali e tutti gli altri mezzi di trasporto presenti sulla strada.
Gli addetti del bus sono sempre tre: l'autista, il bigliettaio (il quale non emette biglietti ma si limita ad intascare i soldi) e una terza persona che volge piu' ruoli contemporaneamente. Il conducente e' il coordinatore del terzetto, poi viene l'incassatore e, da ultimo, il terzo uomo che avvisa l'autista quando fermarsi, facilita l'uscita e l'entrata dei passeggeri, carica i bagagli e fa da navigatore. I tre lavorano ad unisono con lo scopo di far scorrere piu' velocemente il mezzo lungo il nastro asfaltato, gridando, minacciando e litigando con coloro che si interpongono verso la meta finale. Tutti fanno in modo di avere il maggior numero di passeggeri, fermandosi a richiesta in qualsiasi punto della strada, aspettando i ritardatari e rifiutando coloro che effettuano poche fermate perche' poco remunerativi. Gli addetti del bus masticano spesso betel per avere piu' energia. La manutenzione di questi mezzi e' volentieri lasciata al caso; nella mia breve (ma intensa) esperienza ho avuto la fortuna di incappare in due rotture del cambio, un piccolo incidente ed una foratura di pneumatico.

Verso Nord.
Iniziando la mia strada verso il settentrione del Bangladesh, nei giorni passati ho avuto l'opportunita' di essere invitato nella casa dei parenti di Joseph, visitando cosi' una delle tante aree rurali di questo Paese. Dopo aver lasciato Dhaka con tutte le sue sofferenze ed il suo caos, ho percorso in bus (ovviamente!) 200 km. e, poco dopo aver attraversato il lunghissimo ponte sul Brahmaputra, sono arrivato al punto dove mi aspettava Joseph. Abbiamo preso un altro bus, poi un riscio' a pedali, addentrandoci cosi' sempre piu' nel cuore rurale del BD. Ad un certo momento Joseph e' sceso in un villaggio per acquistare qualcosa e, in pochi secondi, sono stato attorniato da una piccola folla di uomini curiosi. Joseph e' un bengalese missionario laico del PIME di origine tribale; la sua etnia possiede una lunghissima tradizione agricola. E' stato interessante vivere un paio di giorni nella bella casa di terra e fango del fratello di Joseph, senza elettricita', con con l'acqua che arrivava da una pompa a mano. Joseph mi ha fatto conoscere molte piante tropicali come lo zafferano, il ginger, i diversi tipi di palma, il mogano e alberi dai frutti sconosciuti e buonissimi.

Qualche giorno avanti, dopo aver visto il Gange, abbiamo raggiunto Dinajpur, una cittadina al nord del BD. Qua ho visitato alcuni progetti di cooperazione e un lebbrosario. Quando stavamo visitando il Centro per la cura dei lebbrosi, sono stato colpito da una ragazza giovane molto delicata, Sanya, che aveva contratto la lebbra a due dita della mano. Era stata ricoverata, curata e poi dimessa con successo. Peccato che, nonostante le raccomandazioni dei medici, un giorno Sanya si e' messa cucinare, scottandosi gravemente le due dita malate perche' ancora insensibili.
 
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