lunedì 31 dicembre 2018

La musica favorita del 2018

Kali Uchis (COL/USA) - Isolation - Rinse,Virgin, Universal Records - Genere: R&B, Pop, Funk, Reggaeton, Hip Hop





The Internet (USA) - Hive Mind - Columbia Records - Genere: R&B, Funk, Blues, Hip Hop




Noname (USA) - Room 25 - Self-released - Genere: Hip Hop, Neo Soul, Jazz Rap





DJ Koze (DE) - Knock Knock - Pampa Records - Genere: Techno, House, Downtempo

 





Menzione per i lavori di: Soccer Mommy, Beyoncé & Jay Z, Skee Mask, Ariana Grande, Editors, Joan As Police Woman, Nightmares On Wax.

mercoledì 12 dicembre 2018

Primi passi nella capitale Inca

Cusco è fredda durante la prima mattina. Esco dall'alloggio con un leggero mal di testa ma l'aria frizzante della sierra spazza ogni malessere. Secondo giorno nella città fiore dell'America.
Subito prendo il Siete culebras, Sette serpenti, un vicolo angusto e stretto tra mura antiche. Secondo la simbologia Inca il mondo di sotto, il mondo dei defunti, è rappresentato dal serpente.
In questa viuzza dove il sole fatica ad arrivare anche a mezzogiorno, ambulanti irregolari cominciano ora a stendere sulla pavimentazione teli sopra i quali vengono esposti oggetti artigianali. Io li guardo negli occhi, loro ricambiano lo sguardo senza esprimere emozione alcuna. Nessuno mi chiede di acquistare qualcosa. Lo sanno.

Pochi passi e arrivo alla plazoleta Nazarenas, un piccolo spiazzo contornato da edifici storici ora divenuti hotel di lusso, un museo, negozi e locali fighetti a scelta. Il centro delle piazzetta è abbellito da due piccole aree verdi ben curate. Donne in abiti tradizionali con cucciolo di lama o agnello a seguito chiedono soldi ai turisti per una foto tipica, impiegati vestiti male, viandanti, bambini, sembrano solo piccoli attori, minuscole pedine che agiscono prevedibilmente dentro lo scenario fatto da imponenti portali di ex conventi e della chiesa costituiti da pietre marrone chiaro, le cui basi appartengono a strutture incaiche depredate dai conquistatori. Le mura bianche, le tegole dello stesso colore delle pietre tagliate da mani antiche e le finestre cangianti che riflettono il cielo esauriscono il quadro perfetto. Nuvole immacolate e veloci scorrono sotto lo schermo azzurro della volta. Il sospiro si accavalla al respiro per introiettare lo scarso ossigeno della città imperiale.
"Nuestro Planeta" dice la ragazza colombiana nata in Virginia.

Poco più di un isolato mi toglie dalla plaza de Armas che si prepara alla grande festa dell'Inti Raymi.

venerdì 30 novembre 2018

Qosqo


mercoledì 14 novembre 2018

L'alloggio a Cusco

Masse di turisti vestiti di sgargianti abiti sportivi, ambulanti che offrono cose consuete ed inimmaginabili, clacson, i combi del trasporto pubblico, SUV, taxi. Minivan luccicanti che trasportano occidentali.
Due, tre settimane. Quanto tempo mi fermerò nella capitale Inca? Ora la missione è trovare un alloggio decente. L'immortale Cusco non è una città proprio economica e per questo sarà difficile trovare qualcosa in centro.

Dopo la pioggia anomala del giorno prima, tutto torna alla normalità delle terre aride e alte: secco, sole e nuvole vuote che fanno la loro strada verso universi lontani.

Dalla Matará comincio a visitare le vie attigue chiedendo e guardando con attenzione le insegne. Sono un viandante alla ricerca di un riparo, in attesa paziente di esplorare i luoghi significativi della città, di cercare quello che la vita ha cancellato. Tutto è tornato nuovo.
Giro per vie a lungo, con gli occhi sicuri che si abbassano quando passo i luoghi principali del Cusco, evitando così di disvelare presto le sue meraviglie.
Stanza: cara, occupata, rumorosa, troppi gringos, dormitorio no porfa. Stanze ideali con finestre che guardano il sole perché di giorno si scaldino. 
Istinto e tenacia portatemi nell'alloggio dove sono predestinato.

Alla fine del pomeriggio, quando il sole si nasconde dietro le montagne a ovest e la temperatura cala velocemente, in una via chiusa, a due isolati dalla Plaza de Armas, suono presso l'hospedaje Amanecer. Aspetto. Scende una giovane donna gentile.
"Sí, hay lugar pa' mañana", dice. Mi mostra una stanza ancora occupata, contratto il prezzo e subito la prenoto per le notti successive. Predestinazione.

Esco di nuovo. Come a Puerto Montt in pieno inverno australe questo cielo sacro e freddo voglio tatuarlo sulla pelle. Nel sangue.
"Take Me Apart", canta Kelela, la prescelta.

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domenica 28 ottobre 2018


venerdì 19 ottobre 2018

L'arrivo a Cusco

In questa zona periferica il combi è ancora vuoto. Pago subito al controllore 70 centimos e piazzo lo zaino in mezzo alle gambe. Guardo velocemente i pochi passeggeri con occhio critico, poi le iridi si concentrano sul paesaggio esterno. Sono quasi ventiquattro ore che viaggio. La stanchezza, l'altitudine e l'emozione tolgono il respiro.
Il combi gira per strade importanti molto trafficate, infilandosi saltuariamente attraverso vicoli stretti in pendenza con velocità vertiginosa. Ho perso e ritrovato l'innocenza nei granuli di polvere del cammino ed ora perdo l'orientamento quando sono vicino al cuore della capitale del regno Inca. La più bella città d'America che ha lasciato la verginità con la sua conquista.

Il bus dell'impresa Correcaminos sale e scende ospitando anziani e gruppi di giovani mentre il crepuscolo ci annuncia la sua importante presenza. Vedo vagabondi, visi poco raccomandabili, visi di funzionari pubblici, persone ipnotizzate dallo schermo del telefono, persone che vanno a godersi la serata in centro. Il tragitto pare così lungo che ad un certo punto chiedo se non mi sono perduto negli infiniti quartieri della città. Un paio di signori mi rassicurano.

Scendo nella Ayacucho quando il buio ha rapito dietro le montagne la luce solare. Da poco è caduta qualche goccia di pioggia e la temperatura non è per nulla calda. Una domenica pomeriggio alla ricerca di un alloggio economico in una delle città più turistiche. D'apprima chiedo a due poliziotti, poi un ambulante mi consiglia di dirigermi nella Matará: "Lì trova le stanze più economiche del centro", aggiunge. Prendo la Matará, passo un supermercato Orion, negozi di ottica, un paio di hotel e, nel traffico pornografico del nucleo di Cusco, la città imperiale, giungo alla pensione indicata.  

L'arrivo a Cusco, il ritorno en el Cusco cancellato dall'oblio. Quando ancora c'era innocenza.

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martedì 25 settembre 2018

Visioni da Wilcacocha, 3600 m


venerdì 14 settembre 2018

Mirando al Sur - Guardando a sud

Fuori scorre un mondo oscuro, abbagliato da luci di villaggi isolati, profili di montagne, stelle luminose. Il comodo autobus Cruz del Sur mi sta riportando a Lima. Prima di partire per il viaggio notturno, un impiegato dell'impresa ha fatto l'alcol test all'autista. Se tutto va bene domani pomeriggio sarò in una delle città più belle dell'America Latina.

L'udito assorbe con piacere le note dei Cinematic Orchestra, mentre gli occhi si insinuano in alto, nel viaggio siderale mirato dall'emisfero Australe, in attesa che l'improbabile sonno porti via tutta questa grazia terrena. La potenza del transito, del movimento verso posti nuovi, quasi impedisce il riposo.  
Ora con gli occhi chiusi e le cuffie nel canale uditivo appena sento il rombo del motore, i cambi di marcia, i freni, e immagino la strada deserta, prima in salita, poi in discesa, che il mezzo affronta. Quale steppa arida, quale vegetazione misteriosa i fari della Cruz del Sur illuminano proprio questo momento? Quanti animali selvatici guardano attoniti il pericoloso autobus? Il veicolo vaga per terre alte nella sua danza invisibile che culla i passeggeri. Passeggeri che dolorosamente emigrano, tornano a casa, passeggeri alla ricerca dell'imprendibile. I sensi ed il cuore ottenebrati dalla stanchezza sono sempre orientati a sud. Tango. Dormi don choco Esteban, le ore di viaggio per raggiungere la maestosa capitale del regno Inca sono tante, troppe.

Nel moto sicuro dell'autobus, il riposo senza sonno porta al giorno successivo. L'orologio segna le 4:40 quando entriamo nella stazione Norte di Lima. All'improvviso decido di scendere. Prendo lo zaino ed un nuovo interminabile giorno inizia. E' presto ed i quartieri attorno al terminal sono pericolosi, ma i taxi per l'aeroporto costano meno.

Un taxista mi offre un prezzo che non convince: passo al contrattacco interpellando almeno altri due conducenti. "Quince, no más", dico. L'ultimo accetta la cifra con un sorriso rassegnato. Nonostante l'orario indecente, il taxista risulta simpatico: mi racconta dell'aumento della piccola criminalità a Callao, ed elenca quanti peruviani hanno speso una fortuna per andare al mondiale di calcio in Russia. "Questo Paese è troppo nazionalista", aggiunge saggiamente.

Andiamo veloci, fendendo l'aria inquinata e fredda di Lima. Come il crepuscolo, il traffico deve ancora arrivare. 

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venerdì 24 agosto 2018

Puya Raimondi


venerdì 10 agosto 2018

Ghiacciaio Pastoruri, cordillera Blanca

Ultimi giorni sotto il cielo della cordillera Blanca peruviana. Il gestore dell'hostal, David, suggerisce che per visitare il ghiacciaio Pastoruri l'unica possibilità e' un tour. "Non ci sono mezzi pubblici, inoltre l'autostop può essere problematico", aggiunge David.

E quindi eccomi su un pulmino con un gruppo di latinoamericani di diverse provenienze.
Il mezzo ha risalito la valle principale immettendosi di seguito in un avvallamento secondario. La strada sterrata viola spazi verdi punteggiati da erba coriacea e secca. Nuvole basse definiscono appena le sagome arrotondate di colline.

Dopo una zona umida non possono passare inosservate delle piante alte, sparse sulle montagne. Sono puyas, flora tipica di queste aree, con foglie simili a quelle dell'agave, la cui appendice dei vegetali in questione può innalzarsi a più di dieci metri di altezza.

La strada continua a salire, permettendo la vista sporadica di montagne innevate. Un sole lontano cerca con poca convinzione di farsi strada tra le nuvole.

Nuvole basse, terre alte; respiro veloce e sospiro lungo; passi corti ma rapidi. A 5000 metri raggiungo il ghiacciaio Pastoruri. Pioggia gelata si accumula sulla giacca leggera.
Il sentiero artificiale di pietre si snoda sulla terra polverosa vulcanica.

Avvicinandomi alla massa di acqua dolce solidificata riesco finalmente a comprendere la sua possenza: il muro di ghiaccio e' largo e alto diverse decine di metri. Sorprende la sua compattezza dato che i visitatori quasi possono toccare la parete bianco-azzurra dai sassi della morena.

Oltre al lago dove confluisce il ghiacciaio in orribile ritirata, nella zona sono presenti almeno due pozze d'acqua dai colori strani, ultraterreni: in mezzo a pietre scure galleggia un liquido marrone-radioattivo, arancio-metallico. Tonalità: il grigio, il marrone dei laghetti, la neve, l'azzurro e le nubi che celano la montagna del ghiacciaio Pastoruri.

Anche se i respiri ed i sospiri lunghi continueranno, l'avventura tra le cime incredibili della cordillera Blanca e' quasi terminata. 

venerdì 20 luglio 2018

Parón


lunedì 16 luglio 2018

La piramide sopra il lago Parón

Aspettiamo che il mezzo si riempia, poi partiamo. Salita, coltivazioni di fiori, cime innevate e sole. L'auto collettiva porta a Parón.
Vengo lasciato alla fine del villaggio, in un bosco che conduce presso una valle dalle lisce pareti rocciose che obbligano per uno stretto passaggio. Siamo a più di 3300 m di altitudine.
Passo un posto di controllo ancora deserto e comincio a prendere sentieri che accorciano la strada sterrata. Bosco, umidità, acqua che scorre da qualche parte: il torrente. Nell'assoluta solitudine guadagno tornanti ancora nell'ombra della valle angusta; superate queste curve, sono obbligato a percorrere la pista sterrata.

In seguito la valle si apre, concedendo alla vista, a destra e sinistra, diverse cime della cordillera Blanca. Ma e' in fondo che primeggia il diamante più prezioso: la piramide di Garcilaso. Nonostante la moderata altitudine il passo accelera ancora per poter cogliere da vicino il geometrico gioiello della natura.

In due ore e cinque minuti sono al lago di Parón, 4200 m. Una mappa del parco nazionale Huascarán illustra un corollario di cime che attorniano la laguna: tre montagne di oltre 6000 metri, altre di 5000. E davanti, leggermente spostata a destra, la piramide.
Un ragazzo del luogo mi spiega che un sentiero sulla sinistra costeggia il lungo e stretto lago. Bevo un sorso d'acqua e via per il percorso lacustre!


Il tracciato formato da ghiaia e sassi bianchi, ombreggiato periodicamente da alberi bassi, porta verso il ghiacciaio formato dal monte Chacraraju, 6112 m, e dalla indescrivibile piramide de Garcilaso, 5885 metri. Sono stupito, confuso e quasi riuscirei a volare sulle acque imperscrutabili della laguna Parón.


Quasi alla fine del lago, proprio sotto il ghiacciaio, mi siedo sulla riva bianca dello specchio d'acqua. L'irradiazione solare è fortissima, come pure la passione.

Rimango un tempo sconosciuto presso le acque gelide del lago, spostando gli occhi da una montagna all'altra, da una roccia ad un ghiacciaio, da un torrente cobalto alla perfetta piramide bianca di Garcilaso per meta' abbagliata dal sole. 

giovedì 28 giugno 2018

Lago Churup, Cordillera Blanca


Il combi parte dall'angolo con Las Americas, Huaraz. Destinazione Pitec. Nel minivan pubblico ci sono solo stranieri.
Subito la strada sale, passando villaggi contadini dalle case con muri di terra e tetti con tegole: su molte di queste coperture svetta un crocifisso metallico. Campi di grano verde, ortaggi e tante coltivazioni di fiori. Più tardi un agricoltore mi dirà che la produzione floreale raggiunge direttamente i mercati delle lontana e grigia capitale.
Nella sua ascesa il combi affronta forti pendenze quasi senza tornanti.
Ad un certo momento la vegetazione si dirada lasciando il preludio alle terre alte. In questa giornata senza nuvole, oltre le montagne più basse sorgono cime aguzze luccicanti neve e ghiaccio.

A Pitec, 3800 m, il minivan ci lascia presso una delle porte d'ingresso del parco nazionale Huascarán, cordillera Blanca.
Prendiamo subito il sentiero che condurrà al lago di Churup, destinazione finale.
Dopo aver chiacchierato e sciorinato le loro esperienze sulle montagne andine, i passeggeri del combi silenziano le loro bocche e si distanziano a gruppi di due-tre persone. Parto per ultimo. L'aria fresca e leggermente rarefatta penetra con forza nei polmoni.

Il sentiero ben segnato prima si arrampica su un costone di un'antica morena, poi affianca una valle stretta. L'ambiente e' austero, secco, punteggiato da radi cespugli e dall'erba di montagna.
Entrando nella valle dove scorre il torrente proveniente dal lago, la vegetazione diviene più rigogliosa, con preponderanza di alberi di queñua dalle cortecce nocciola che si sfogliano.

Circa a 4200 metri passo una serie di muri di roccia con l'aiuto delle corde fisse. All'ombra l'acqua e' ancora ghiacciata dalla notte.
Superata la zona rocciosa mi trovo non distante dal nevado Churup, 5495 m.

La laguna di Churup, 4450 m, la raggiungo in fretta. Il lago e' incarnato in una barriera di rocce ripide. Alla sua sinistra svetta severa la cima Churup. Un lago alpino dal colore blu-verde smeraldo. Bello. Salgo subito al mirador che domina lo specchio d'acqua.
I passeggeri del combi stanno ancora arrancando nell'ascesa.

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giovedì 14 giugno 2018

Lima, primo impatto


Un misto di nebbia, inquinamento e foschia attende il tramonto sulla citta'. Sono le 17 e non so cosa fare.

Decido di uscire dalla struttura aeroportuale, pur rimanendo nel suo protettivo sedime.
Faccio due passi con la borsa in spalla in attesa che arrivi la decisione. Decine e decine di passeggeri vanno sicuri verso le loro destinazioni. Parlo con un taxista abusivo, poi incontro di nuovo Miguel, un conducente autorizzato.
Vorrei uscire in strada per prendere un bus o un taxi collettivo ma so che e' complicato e pericoloso. Sono appena arrivato in Peru'. Quindi contratto con Miguel.
Miguel e' un taxista giovane e spigliato. Mi mostro tranquillo e senza fretta. Alla fine l'autista accetta la tariffa che gli propongo. Si parte per Miraflores.



Appena saliti in auto Miguel chiude la sicurezza delle porte. In due secondi siamo nel traffico violento e infinito di Callao. Auto malandate e luccicanti SUV, camion sbuffanti fumo, bus di linea pieni all'inverosimile, pedoni che corrono per non essere falciati durante l'attraversamento. Coda. Coda. 


Il suono continuo dei clacson si suddivide principalmente dal tocco leggero del taxista che cerca passeggeri, dallo  strombazzare lungo del guidatore arrabbiato. Continuamente a venti centimetri dalla collisione con un altro mezzo.


Dopo aver passato un'uscita che porta al centro storico, ci inoltriamo verso il sud dell´immensa metropoli. Mentre l'aria fosca si tinge di oscuro grazie al tramonto, Miguel mi racconta di suo figlio e della famiglia, e della sua Lima. La radio propone un miscuglio di musica andina, raggaeton e pop latino.
 
Raggiungiamo il mare. I viali puliti ed ordinati di Miraflores ci accolgono con il buio del cielo palpabile. Ristoranti, locali, palazzi signorili protetti da filo metallico elettrificato. Sono quasi arrivato.

La lotta del traffico non si esaurisce neanche a Miraflores, Lima.


mercoledì 23 maggio 2018

Artigianato sud messicano


venerdì 18 maggio 2018

Le nuvole oltre San Cristóbal

Incontro Bernie davanti all'alojamento di San Cristóbal, nel quale mi trovo da quattro giorni. Sono mesi che le nostre coscienti solitudini si incrociano per una manciata di momenti significativi, scambiandoci impressioni di viaggio e consigli, allegrie e stanchezze. Dalla Bassa California fino a sud, nel cuore indigeno della terra Mesoamericana.
Bernie prima chiede in giro i prezzi, poi opta per una stanza dove ora mi trovo. Ci facciamo un caffè nella cucina comune della posada, prima di uscire nella pulita fresca mattina di San Cristóbal de las Casas. Chiapas.
Dopo il caldo ossessivo, le mosche della sabbia e i post-hippies ipocriti del Istmo, nulla di meglio inalare l'aria dei 2000 metri di SC. Aria che odora di pini e di nuvole che trasmigrano verso l'oceano Pacifico.

Bernie è un messicano magro, a tratti timido, spesso socievole, curioso, colto. Ha vissuto e viaggiato in Asia. E' appena reduce da un viaggio di almeno dieci ore da Huatulco, costa di Oaxaca. Gli chiedo se vuole riposare. No, andiamo.

In attesa che i mercati chiapaqueños arrivino al loro festigio, facciamo un giro nella città assonnata. Come sperimentato in molte occasioni, quasi nulla è più interessante della città durante il primo mattino: gli anziani che si recano nei caffè, gli ambulanti che cominciano ad appropriarsi degli spazi dove esporre la loro mercanzia, gli spazzini, uomini e donne ben vestiti che tornano da una festa ancora spiritati dalla notte decaduta. La calma. Viaggiatori alla ricerca.

Con ottimo umore Bernie entra in una pasticceria del centro dove prende un altro caffè ed un paio di paste. Una me la offre.
Prendiamo l'avenida Utrilla per dirigerci verso il mercato composito di Santo Domingo. Oltre ai prodotti indigeni più o meno artigianali, nelle strette vie adiacenti la chiesa e verso nord si accalcano venditori ambulanti di tutti i tipi: alimenti, utensili per la cucina, scarpe e vestiti, erbe curative, oggetti, cose. Una strada dietro il convento di S. Domingo porta diritta al mercato municipale, l'autentico mercato del centro città, congiungendo l'area più turistica con quella popolana.      

Nel mercato del municipio consumiamo il pranzo. Il settore dedicato alla ristorazione è dislocato proprio nel cuore della fiera, in un dedalo contorto, angusto ed irregolare di bancarelle. Non è facile trovarlo. Negli stand più esterni è possibile vedere qualche turista messicano od occidentale, ma nel suo nucleo...
Su un tavolaccio, appena dentro il viavai dei passanti indigeni, sotto i teli chiari oscurati dalle nuvole zingare del Chiapas che promettono pioggia, consumiamo il nostro pasto.



martedì 24 aprile 2018

Juego de la Pelota, m. Albán


venerdì 13 aprile 2018

Il monte Albán, Oaxaca

In un mondo a parte, in un luogo privilegiato dove la boscaglia lascia spazio alla visione ampia, domino Oaxaca e le montagne che la circondano. Una giornata limpida dopo i temporali. Quale piacere immaginare che la piccola cima sopra cui mi trovo un tempo fosse una piramide.

In pochi minuti sono uscito dal traffico caotico e violento del periférico, salendo verso il verde, la pace e la frescura degli 1800 metri. Un lunedì dove rade nuvole svogliate, ricche di umidità e ricordi, lambiscono le basse cime all'orizzonte. Ho come l'impressione, un robusto dejà vu, di aver vissuto questi momenti.

Arrivo all'entrata del sito archeologico con il primo van turistico. Pur trovandosi appena sopra Oaxaca, gli autobus urbani non raggiungono il monte Albán. I venditori ambulanti più o meno legali stanno ancora organizzandosi. Cappelli, improbabili resti archeologici, copie di manufatti precolombiani, bevande, artigianato.
Pago il biglietto d'entrata, snobbo le visite guidate a pagamento, e mi avvio quasi in solitudine tra l'erba umida in uno dei luoghi più significativi del Messico. In un altra vita l'erba del monte Albán era secca. Tutto era giallo. Anche il cielo.

Istintivamente mi dirigo verso i reperti Zapotecos più periferici: tombe con rimasugli di muri e colonne, circondate da arbusti ed erba alta. Appena oltre gli alberi bassi si delineano lontane sagome di colline.

Raggiungo la Gran Plaza da dietro, di soppiatto, silenziosamente, prendendola alla sprovvista. Dai resti dell'edificio A collocato su una possente piattaforma vedo tutto quello che devo vedere: i palazzi, gli obelischi, l'osservatorio astronomico al centro, la Piattaforma sud speculare a dove mi trovo. A sinistra si intravede la struttura del gioco della pelota. In lontananza ancora le montagne che racchiudono le lunghe vallate di Oaxaca. Le masse di turisti non sono ancora arrivate. Siamo pochi, felici, visitatori.

Scendo le gradinate ripide per posare i piedi sull'erba della Piazza Grande. Cammino nel prato bagnandomi le scarpe, percorrendo in senso orario le centinaia di metri della spianata, passando accanto a massicci manufatti di pietra. Come ogni visitatore immagino cosa pensavano, a cosa aspiravano, cosa facevano ogni giorno i privilegiati abitanti del nucleo centrale di un insediamento che prima di Cristo raggiungeva già decine di migliaia di persone. Civiltà e mistero, sfarzo e miseria.

Il sole è forte, l'aria è ancora fresca. La città silenziosa ottenebra i sensi.

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martedì 27 marzo 2018

Oaxaca, México


sabato 10 marzo 2018

I mercati di Oaxaca

Difficile scegliere la migliore città del Messico. Facile dire quella che offre la cucina più articolata e deliziosa.
Lascio l'abitazione sulla Trujano per dirigermi in centro. Tre cuadras e sono nello Zócalo, un incredibile garbuglio di caffè rétro e alla moda, venditori ambulanti, turisti, e indigeni in perenne protesta davanti al palazzo del governo. Prendo la Flores Magón, percorrendo un altro isolato. Entro nel mercato coperto Juárez dove medicanti e sfaccendati si mescolano a truppe di turisti che affollano i negozi di artigianato e le bancarelle di alimentari. Vestiti, succhi di frutta, gelati, peperoncini secchi, latticini, oggetti artigianali e tante bancarelle di mezcal. Prima di uscire acquisto mezzo chilo di asiatici rambutan, freschi di Chiapas.

Attraversata la calle Aldama, sotto un cielo che promette pioggia, passo al mercato 20 de Noviembre. E qui le cose si fanno interessanti. Odori di carne cotta e spezie si mescolano a quella del pane fresco e della salsa di cacao. Vengo attirato da una entrata laterale dalla quale fuoriescono esalazioni stuzzicanti: è le parte del mercato dove si vende e cuoce la carne. Ciascuna bancarella trabocca di file interminabili di salsicce e diversi tipi di carne finemente tagliata. Lampadine affumicate illuminano precisamente la mercanzia.
La parte finale del corridoio è destinata al consumo dei pasti con carne alla griglia. Imbonitori cercano continuamente di attrarre nuovi avventori. La contigua grande  area del mercato 20 de Noviembre mostra tutta la ricchezza culinaria di Oaxaca: qui è possibile mangiare qualsiasi specialità della zona e non. Spiccano montagne di grandi e croccanti tlayudas, specie di pizze non lievitate di farina di mais. Chiedo alcuni prezzi, poi opto per una enchilada con carne e mole (salsa) di cacao. Un panino e cioccolata calda. 40 pesos totale.
Seduto precariamente sullo sgabello di un ristorante del mercato un poco turistico, di fronte alle cuoche che continuamente preparano nuove pietanze, con lo stomaco e la mente ottenebrati piacevolmente dal superbo cacao di Oaxaca, sommerso dal vociare degli ambulanti, tento di allungare questi significativi squarci di viaggio.





martedì 27 febbraio 2018

Tierra y Libertad


venerdì 16 febbraio 2018

La città ritrovata. Puebla

Un mercoledì di ordinario traffico sul boulevard Héroes del 5 de Mayo. L'autista dell'autobus che viene dalla CAPU è in lotta continua con tutti i veicoli che gli sono intorno. Mi lascia sull'avenida Palafox, a pochi isolati dal cuore della città.
Sono a Puebla.

Il viaggio notturno da Morelia ha concesso la grazia di passare il turbolento stato di Michoacán con poche conseguenze. L'arrivo al terminal di Puebla, il crepuscolo sulla città degli angeli.
La stanchezza non esiste per coloro che sono alla ricerca.

Il cammino irrequieto percorre il deserto viale centrale che porta alla cattedrale. Passi che coprono tracce di un venticinquenne che visitava per la prima volta l'America centrale e settentrionale. Ancora compagno della solitudine. Cercando qualcosa che non riesco pienamente a comprendere.
Quest'ora del mattino è l'ideale per visitare la città che non ha vergogna a disvelarsi, a rispondere sul passato ed il presente. Palazzi barocchi e rinascimentali finemente decorati si affacciano sulla strada lastricata per annunciare lo Zócalo verdeggiante che affianca la ponderosa cattedrale. Respiro alberi e mattino.
Proprio qui, tra uomini anziani con giacca e cravatta, in vista dei primi venditori de la calle, chiedo ad uno scopino dove posso trovare alloggio. Ambulanti, negozianti, lustrascarpe, spazzini conoscono la strada.
"Vada sulla 3 poniente. Lì ci sono diversi alberghi", consiglia. E aggiunge: "Se poi vuole mangiare bene spendendo poco, nella 3 sur con la 5 poniente troverà un buon ristorante. C'è anche un panettiere".
Mi fermo qualche minuto a chiacchierare con questo signore sotto le torri oscure della città degli angeli, sotto il cielo nuvoloso e fresco della città ritrovata.

Esco dalla stanza rumorosa dell'hotel Venecia alla riscoperta della metropoli. Dalla 4 prendo la 3 norte, sommerso dal traffico, da gente con l'ombrello, da mendicanti e da creoli vestiti a festa. Passo negozi di abbigliamento e minimarket OXXO.

Dove sono celati gli aliti di gioventù? Dove era passato quel venticinquenne, a cosa anelava, quanto era diverso? L'affascinante città di Puebla riuscirà a restituire qualcosa alle inquietudini? 

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domenica 28 gennaio 2018

Santuario la Bufa, Zacatecas


venerdì 19 gennaio 2018

Cerro de la Bufa

Dietro la cattedrale cominciano le indicazioni per il cerro de la Bufa. Ci sono cartelli e frecce disegnate sui muri angolari. Le gambe portano verso l'alto, penetrando ancora una volta l'ignoto.

Da qualsiasi punto di Zacatecas si vede la collina della Bufa, un'aspra rugosità del terreno disseminata da sempreverdi, cespugli e da macigni marron chiaro. Salgo piano costeggiando case spagnoleggianti dal color pastello, auto in sosta, vie anguste pavimentate da mattonelle di pietra. Qualche cane libero dall'uomo vaga indisturbato sotto il groviglio di fili elettrici che compongono una ragnatela instabile appena sopra la testa. Signore con qualche chilo di troppo conversano pacatamente davanti alle case. Il centro storico non è lontano ma ho l'impressione di trovarmi in un altro rione, più popolare, dove la gente si conosce bene. Saluto qualche raro passante.

Dopo una via in forte pendenza ed una strada di collegamento, arrivo al cammino che porta al cerro. Un percorso largo con panchine e lampioni. Lascio le abitazioni in basso e comincia la panoramica su Zacatecas. Voglio aspettare per ammirare bene la città. Uomini e donne praticano sport prima di recarsi al lavoro.

Appena sotto la cresta rocciosa, in uno spazio relativamente pianeggiante, sorgono il museo, un raccolto santuario e l'osservatorio. Mi dirigo verso il punto panoramico ombreggiato dal portico esterno al luogo di culto. Da poco meno di 2600 m domino Zacatecas, la Civilazadora del norte. Cento metri di dislivello consentono di ammirare il centro abitato, le colline circostanti che si perdono nella foschia lontana dell'altopiano brullo. La città dell'argento che ha arricchito i conquistatori spagnoli è sotto, nella sua conca, feconda di palazzi e chiese dai tetti vermiglio, da piccole piazze alberate, dalle arcate dei mercati, dal brusio incessante dell'urbe. La massiccia cattedrale con la cupola ed i campanili finemente decorati.

La cima è composta da una gobba attraversata da rocce lamellari che fanno sembrare la sua cresta ad un immenso bruco. Mi incammino in assoluta solitudine verso un sentiero che porta verso quelle rocce mascherate da cespugli e cactus in miniatura.







 
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