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giovedì 7 ottobre 2010

Smarrimento a Da Lat

Scendo quasi spingendo il ragazzo che ci accoglie all'arrivo. E' sempre cosi'. La compagnia dei bus si accorda con l'albergatore per fermare il bus di fronte all'hotel. “Mafia connection”, dico a un coppia di inglesi che avrebbero voluto scendere in centro citta'. Loro emettono un paziente sorriso di intesa. Raccolgo la borsa tra le decine gettate per terra dall'addetto del bus e mi incammino alla ricerca di un alloggio, senza rispondere a taxisti e  procacciatori ansiosi. L'aria degli Altopiani centrali gia' mi elettrizza.
Questa mattina mi sono alzato presto, ho contemplato con un alito di nostalgia le calme onde del mare pensando a nulla, poi ho fatto un cenno di commiato verso quell'acqua venata da obliqui raggi solari.
Il bus scorre tra coste sabbiose e rocce nere che si inumidiscono nel mare Cinese. Vento caldo entra dai finestrini spalancati. Case di mattoni e hotel si strofinano nello specchio degli occhi senza rimanervi, mentre l'udito incontra il ritmo reiterato di All Things dei britannici cinematici. Cominciamo a vagare tra colline spelacchiate, abitazioni di paglia e bambini che tornano da scuole invisibili, respirando polvere illuminata da feroci raggi solari. Dopo un'ora il bus imbocca una pista squinternata dal monsone, dove l'asfalto e' uno spurio ricordo del passato; percorriamo altopiani carichi di storia e di guerra recente. Mille colline solcate da torrenti chiari accolgono il nostro mezzo, mentre la pianura  lattiginosa si allontana. Per lunghi tratti quasi ogni spazio verde -Aroudalatanche quello più in pendenza- è sfruttato, coltivato, raso al suolo dagli uomini-cavalletta di questo Paese. Sembra una corsa virtuosa ad eliminare l'ultimo filo di Natura libera. Scuoto il capo sconsolato.
Come in un gioco che non è gioco vengo presto smentito da una serie di catene montagnose rivolte verso ovest coperte da conifere: forse un parco nazionale. Salendo e spostandoci lontano dalla costa, agguerrite barriere nuvolose ci vengono incontro, donando refrigerio e qualche sporadica ondata di gocce sottili. Oltre una piatta collina scorgo porzioni di Da Lat. “Crepa caldo”, dico a me stesso, aggiungendo qualche parolaccia che filtra tra le labbra lunghe di sorriso.
Percorro veloce strade pendenti prima di trovare un alloggio. L'hotel è pieno di turisti locali, probabilmente una grossa comitiva. La signora mi mostra una stanza all'ultimo piano con bagno e acqua calda. Per abitudine cerco con gli occhi il ventilatore.
“Sarebbero sette dollari ma”, quasi anticipando una mia richiesta di ribasso, “ti sconto un dollaro”. Annuisco senza parlare.
Dalla camera vedo palazzi coloniali, case alte e aguzze, hotel, antenne; in là scorgo puzzle di colline spruzzate di verde, solcate da profondi e invisibili torrenti. Il sottofondo dei clacson perenni Da Lat che proviene dalla strada perfora e rimbalza su informi strati di nuvole grasse di umidità. Esse si muovono lentamente, quasi in accordo tra loro: prima le fasce più basse, quelle maggiormente rarefatte, poi quelle intermedie e quindi le nubi superiori che offrono una cappa impenetrabile. Una mandria affiatata nella loro scomposizione.
Mentre mi preparo per uscire, un lieve stato confusionale avvolge la mia mente. Lavandomi le mani, toccando la salvietta, intuisco che qualcosa di significativo è cambiato attorno a me; in quel lampo di mezzo che precede la soluzione, un istante prima di arrivare al motivo, mi sento strano: le abitudini di sempre sono declinate in maniera diversa causa qualcosa di incomprensibile, differente dall'ordinario, lontano ma al contempo familiare. Tocco il metallo dell'orologio e lo percepisco fresco... Ecco, tutto si risolve. Un palpito per rendermi conto che il cambiamento, la diversità, era veicolata semplicemente dall'abbassamento di temperatura. Eppur in quell'attimo lungo uno schiocco di lingua, dopo mesi scolpiti su un mondo bollente, con il sudore cucito all'epidermide, ritrovo a sorprendermi per una serie di cambi di sensazioni che avvolgono la mia persona.
Ma ora è tempo di uscire. Fuori qualcosa di nuovo è in attesa.

venerdì 2 aprile 2010

Cerchi speculari

cer

Navigo veloce tra l'aria fresca del mattino con occhi seri. Avverto ogni particella impalpabile che mi viene incontro strofinandosi su ogni parte del corpo come se la conoscessi da sempre, come se l'impressione dell'incontro etereo non fosse solo una spuria sensazione. Il vento si insinua con discreta tenacia tra i fili lunghi e sottili che mi sovrastano il capo, portando una sensazione estraniante. In realtà la mia faccia compassata cela un piacere segreto provocato dall'odore indescrivibile dell'aria che porta l'anticipo della primavera. È una felicità intima, istintuale, piena.
Mentre premo i pedali, con gli occhi semichiusi che osservano il Mondo, nella mente circola una melodia ammaliante che proviene da un gruppo norvegese; è strano, ma quando queste sonorità mi fluttuano nel cervello, e non capita di rado, le percepisco nella loro più limpida purezza, come se ogni neurone emanasse omeopaticamente la scansione precisa dell'armonia.
Troppe auto veloci sulla strada, anche se alla fine mi sembra di raggiungerle tutte. Chissà perché quel signore con la fuoriserie nera mi guarda in modo strano. Avrà qualche problema, poverino.
Sono maledettamente libero. Oggi dovrei lavorare ma forse più avanti devio a destra per il bosco e poi nel parco per continuare il libro di ieri sera: bisogna sfruttare al meglio le opportunità della vita. Così, per piacere.

Guarda quello. Va in giro con una bici nera che pare essere stata rimorchiata da una discarica di un altro mondo. Ma perché non compra un'auto? Non ha i soldi?
Aggiusto il sedile con un lieve tocco del dito mentre i miei Jaga Jazzist circolano con voluttà nello stereo nuovo e un profumo emulo-di-gardenia esce dal condizionatore. Vetri e carcassa metallica nera hanno visitato scrupolosamente ieri l'autolavaggio. Come siamo avanti con la tecnologia, ma non è roba per tutti. Fortunatamente posso permettermelo.
Sono maledettamente soddisfatto. Oggi è una bella giornata per andare veloce sul nastro d'asfalto, assaporando compulsamente i miti di libertà on the road americani... beh, se quello davanti a me accelerasse. Oh no, la coda, ancora... Ma non riescono a costruire  nuove strade in questo Paese?
Uh, ecco il tipo con la bici nera che mi ha preso e ora sorpassa con gli occhi velatamente ghignanti; nello stretto spazio concesso dalle palpebre, e per qualche secondo, due chiare iridi mi hanno fissato. Poveretto. Forse dovrei acquistare una bici anch'io. Così, per piacere.

 
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