sabato 29 dicembre 2012

I dischi favoriti del 2012

Flying Lotus (USA) – Until the Quiet Comes – Warp Records, 2012

FL 

Hanne Hukkelberg (N) – Featherbrain – Propeller Recordings, 2012

HH

Lapalux (UK) – Some Other Time (EP); When You’re Gone (EP) – Brainfeeder Records, 2012

lap2  Lap 

Efterklang (DK) – Piramida – 4AD Records, 2012

Efterk

lunedì 24 dicembre 2012

Prima di partire: le appartenenze si confondono

La partenza è sempre una rottura,
una fine ed un inizio,
che evoca un Passato e proietta un Futuro
.
E. Leed

Ewan quasi per caso incontro' il Cazangero. Stava iniziando ad imparare il castellano ed a approfondire la conoscenza riguardo i paesi che avrebbe visitato, quando incappo' in quel brano musicale. Era sul punto di abbandonare le sonorita' caribeñas ricolme di colore e di superficialita', invece qualcosa lo trattenne. Il Cazangero aveva un ritmo incredibilmente diverso dai suoi soliti ascolti ma anche da quel poco di salsero che aveva ascoltato; non riusciva a spiegarselo, ma quella serie intrecciata di fonemi dai toni stordenti e meticci lo catturavano. Ascolto' e ascolto' Willie e Rubén, nomi alieni che da periodi in cui non era ancora nato entravano nel suo domani di viaggiatore in terre lontane.
Era l'imminente partenza che gli causava questo interesse, questa rinnovata apertura verso orizzonti estranianti? Gia', la partenza per il suo lungo viaggio si avvicinavar terribilmente, al punto che a volte era pervaso dall'ansia di non riuscire a fare tutto, freneticamente in ritardo all'appuntamento con la sua scelta di cambiamento; contemporaneamente in quei momenti confusi gli sforzi si indirizzavano nel tentativo di tornare in pace con i suoi cari e in qualche maniera recingere il vuoto che avrebbe lasciato.
In quella instabile condizione di mezzo temporale ed emotiva il giovane ricevette una telefonata. Era il suo amico Stu. Gli comunicava la data della festa di addio. Lo sapeva che avrebbero organizzato quella che gli ispanici chiamano despedida, il rito dell'addio, la celebrazione agrodolce della dipartita. Cosi' da sempre vanno le cose.
Fuori casa rispose al saluto del bambino dai capelli a spazzola, osservo' per qualche istante due gabbiani che si contendevano il comignolo della casa del vicino e, piu' in la', incrocio' le smussate colline della sua terra. Indosso' le cuffie audio e si diresse verso casa di Stu. Le dita scorrevano sul lettore musicale alla ricerca di quel brano dal quale aveva tradotto il testo.
Ewan, prosciolto dai legami, camminava insieme alla sua anima errante al ritmo dell'America Latina con il respiro del vento marino sulla pelle e il volo delle rondini dentro il sangue che accoglieva il Cazangero senza liberta', perché in quella straordinaria canzone il protagonista si trovava in carcere.  Invece Ewan, di liberta’…

mercoledì 28 novembre 2012

Prima di partire: i legami si sfilacciano

Ewan aveva sempre avuto un ottimo rapporto con il sonno. Negli ultimi giorni invece, prima dell'alba, navigava in modo progressivo verso la veglia. Come soldatini dalle figure sfumate, come luci dai colori spuri, i pensieri si affacciavano nella mente di Ewan. Dapprima riusciva a scacciarli perché voleva concedere spazio al sonno; quando riusciva ad azzerare una prospettiva, l'inquietudine successiva prendeva il suo posto con maggiore rilevanza. E allora pensava. Pensava alle cose ed alla partenza del suo lungo viaggio.
Dapprima erano stati i genitori, poi i parenti e qualche amico. Dubbi, consigli, approvazioni venivano trasmessi al giovane con pacata logicita', altre volte con toni e sentimenti che si umidivano di dolore. Gli stati d’animo di Ewan si spostavano dalla confusione all'eccitazione, quasi ugualmente alla variabilita' meteorologica del suo paese.
La notte precedente, al ritorno dal pub, calpestando l'acciottolato della strada, un'antica e semplice verità lo fece rabbrividire: era scandalosamente nsolo. Nonostante la rete di amicizie, la famiglia, la sua scelta e probabilmente il suo futuro avrebbero riverberato di consapevole solitudine. Sarebbe stato lontano, assente, una persona dall'esistenza fluida e mobile. Questa la prospettiva. 
Aveva appena lasciato gli amici che si erano raccolti nel rumoroso locale come ogni mercoledì sera, eppure un velo di distanza, un'aura che sapora di amaro distacco, si frapponevano fra Ewan ed suoi compagni di vita.
Mentre Ewan fissava ostinatamente la strada, chino su quello che avrebbe lasciato, sulla fallibilita' della sua decisione… se le sue iridi chiare si fossero spostate in direzione delle nuvole volteggianti nel cielo, probabilmente queste ultime gli avrebbero suggerito che qualcos'altro stava perdendo di consistenza, si stava sfilacciando per poi rompersi. Erano i legami che fino ad ora avevano definito la sua persona, il suo esserci in quanto tale. Ma si sa', solo le nuvole conoscono bene come funziona il mondo.
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giovedì 8 novembre 2012

Prima di partire: la scelta inizia a cambiare l'individuo

Minuti. Furono sufficienti una manciata di insignificanti secondi per modificare opinione sulla scelta che gli avrebbe cambiato la vita. Dopo l'iniziale euforia, nella mente di Ewan si erano affollate incertezze che magnificavano lo status quo. E quanta logica avevano gli spudorati tentativi di ritorno sui propri passi.
Mercoledì 8 maggio. Il giovane credeva che fissare la data era un punto di non ritorno, il versare buona parte dei suoi risparmi nel volo intercontinentale fosse il primo atto di cesura verso il passato, uno sguardo oltre la quotidianita', i prodromi del distacco.
Non era proprio così, non era affatto così. Come diceva il suo amico Stu, bisognava provare di persona le cose per comprenderle.
Ewan non comprendeva. Ewan partiva per un viaggio che sarebbe durato due anni. Un mese alla dipartita.
Ma ora aveva voglia di aria fresca, quindi scese le scale, infilo' il giubbotto di pelo e gli scarponcini alti. Il lettore musicale era in tasca dei pantaloni; penso' che un poco di musica gli avrebbe fatto bene. Invece non ascolto' il post-rock dei suoi connazionali e neppure qualcosa di dubstep, perché il suono del vento che si adagiava tra gli alberi, i richiami indecifrabili PdP1dei gabbiani, il fruscio delle scarpe sull'erba gialla e umida, il rumore di terra stanca d'inverno avevano assunto una tonalita' meno ordinaria. Ewan faticava a intendere che il tarlo della scarsita' si era timidamente e precocemente infilato dentro di lui. Un mese vola in fretta.
Subito pero' ripresero forza le prospettive della scelta: avrebbe realizzato innumerevoli desideri, avrebbe visitato colline diverse da quelle che aveva davanti, incontrato persone, lavorato quando i soldi scarseggiavano... magari la sua fresca laurea sarebbe servita a qualcosa. Non voleva piu' dipendere da alcuno.
Ewan camminava piano nel viottolo di campagna, la sua campagna, seguendo le delicate tracce della volpe e della lepre, guardando il cielo e le ombre proiettate dalle nuvole sui prati e nei boschi. 
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giovedì 18 ottobre 2012

Nuotare

Nuoto, con il respiro prolungato nel boccaglio e le iridi raminghe oltre il vetro della maschera. L'acqua e' sorella, compagni  pesci e coralli. Minuti, ore, volando di piacere immerso nel liquido trasparente di Tioman fino a rimanere travolto dai brividi di freddo. Un semplice movimento di spalle e percorro un universo sconosciuto e familiare, un mondo senza strade e con tante strade. Un mondo sotto il mondo, una terra immersa in qualcosa di diverso. Vago lentamente, cercando di imitare i pesci, la foglia  trasportata dalle onde, offrendo la parte  sottile del corpo all’armonia della corrente   nuotohttp://www.youtube.com/watch?v=H-iNOK3RayA
Riusciro' mai a considerare fratello il mare? Quando la profondita' aumenta e, la' sotto, il fondo diventa imperscrutabile e la mente germoglia lampi di incertezza, il volo pare meno stabile.
Lena nuotava bene nelle vie dell'imprendibile. La ragazza incontrata sotto i cieli d'America -i piu' belli- sapeva volare. Osservavo i suoi movimenti, gli occhi tranquilli, il capo, e contemporaneamente vedevo le difficolta' del viaggio, gli scogli dell'incontro con l'estraneo divenire in lei linfa ed espiazione. Lena comprendeva, incorporava le brezze di un luogo con una velocita' oscena e naturale; era antropologa, sociologa, era alunna ed insegnante, le bastava nuotare un poco in acque aliene per intendere. Carpiva la corrente, anche la piu' leggera, al punto che la gente del posto le domandava se viveva da tempo in quel territorio.
Stava presso le cose, umilmente, facendole proprie senza impossessarsene.
Scritto a Tioman, l'isola dai coralli infiniti
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venerdì 21 settembre 2012

Immerso tra le piantagioni di the a Ceylon

Una bancarella di frutta, un venditore di biglietti della lotteria, la panetteria, il negozio di vestiti, e dall'altra parte il traffico violento e rumoroso delle sette del mattino. Caldo? Dopo mesi di temperature elevate i 600 metri di Kandy sono un moderato paradiso. Mi sto apprestando a lasciare la bella citta' dell'estremo nord del Hill Country per andare piu' in alto e piu' a sud.
Questa mattina (quasi) come al solito: sveglia all'alba, ginnastica, bagaglio e decine di minuti a piedi evitando accuratamente le proposte dei conducenti di tuk tuk.
Attraverso parte della caotica stazione dei bus e salgo sul minivan espresso delle 6:50 per Nuwara Eliya, verso le piantagioni di the piu' famose del globo.
Dapprima la strada non differisce molto da quella percorsa per raggiungere Kandy: curve e saliscendi, case o chioschi, animali, e scatole a motore che usano il clacson. Dopo un paio di cittadine per nulla interessanti si comincia  a salire, e dai 900 metri di altitudine, terminati una serie di scavallamenti collinari, vedo pendii e pendii IMG_6442tappezzati ordinatamente a cespugli di the. Il sole illumina il verde intenso e vivace delle piante poste sempre in pendenza e associate a qualche albero. Le coltivazioni sono posizionate con estrema cura, rispettando le curve di livello.
Ora la strada e' circondata da alberelli di un metro con grossi tronchetti, un poco simili ai bonsai. Tra le piante che producono la bevanda piu' diffusa scorgo i movimenti fluidi dei raccoglitori; si spostano  tra unIMG_6441 cespuglio e l'altro muovendo velocemente le mani, prelevando i preziosi germogli verde chiaro. A queste donne e uomini di etnia Tamil pagati una miseria sara' concesso di bere soltanto gli scarti, la polvere, del loro raccolto. Le pregiate foglie essiccate -le Silver, le Orange Pekoe o Green- sono destinate prevalentemente al mercato straniero.
Il minibus si arrampica su nuove colline, le cui basi sono ricche di orti e punteggiate da qualche casa coperta da tetto in lamiera. I 1800 metri di Nuwara Eliya non sono distanti.
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sabato 1 settembre 2012

Infinite possibilita' filippine: le Jeepney

Se nell'arcipelago delle mille isole le varianti di tricicli a motore sono diverse, per le jeepney le cose cambiano. La loro origine pare provenga da una modifica in lunghezza delle jeep militari statunitensi. Infatti, sebbene abbia visto alcuni vecchi SUV adattati, la maggioranza  di questi mezzi conserva il muso della jeep ed una parte posteriore dedicata al trasporto passeggeri IMG_6268moolto allungata, come fosse stirata.
Il mio primo incontro con una jeepney e' stato un incontro significativo: 5:30 del mattino, sotto la luce rovente dell'alba, stanchissimo, ho visto questo mezzo bianco, lungo, cromato, lucente di adesivi e con una scritta: "Full air conditioned”; dopo pochi minuti volavo verso il terminal di Dau con le iridi assonnate impregnate di immagini di campagna che scivolavano tra i finestrini.
La maggioranza delle jeepney non hanno aria condizionata ma, come per i moto-tricicli, sono molto curate dai loro proprietari. Il driver accanto a se' puo' ospitare due passeggeri, mentre nel cassonetto posteriore si allungano due panche imbottite sulle quali arrivano a starci piu' di venti individui. Come per altri luoghi del terzo mondo, la fermata e' a richiesta; basta avvisare il conducente o suonare il campanello posto nell'abitacolo posteriore.
A differenza dei pick-up modificati per il trasporto pubblico che si possono trovare in Thailandia, le jeepney sono un'unica struttura comunicante dove i passeggeri pagano il driver alla fine del loro percorso.
I tricicli e le jeepney sono cromati, colorati eIMG_6316 ancora cromati di brillante acciaio, colme di insegne, di stemmi, di simboli religiosi e luci personalizzate posizionate con estrema cura, senza mai eccedere come nei micros boliviani. Come negli scalcinati micros cruzeños  http://travel-ontheroad.blogspot.it/2011/06/cavalcando-i-bus-di-santa-cruz.html, i tricile e le jeepney sono forniti di potenti impianti stereo che quasi sempre sparano musica occidentale (i boliviani ovviamente vanno a sonorita' latinos). Nelle affascinanti jeepney l'amplio spazio sulla carrozzeria e' utilizzato per indicare il percorso del mezzo, altre volte per grosse scritte come; "Gomez Family", o "God Bless". Nei percorsi brevi e medi le jeep allungate fanno concorrenza ai tricicli e, quando esistenti, ai bus o ai minivan pubblici. Un mezzo popolare e caratteristico difficile da scordare.
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lunedì 27 agosto 2012

Infinite possibilita' filippine: i Tricicle

Una memoria particolare da questo viaggio la dedico ai tricicli e alle jeepney nell'ambito dei mezzi di trasporto nel sud-est asiatico, in particolare nelle Filippine. Mentre i tuk tuk, autoriscio' o tricicli a motore sono molto diffusi -con le molteplici specifita' da paese a paese-, le jeepney sono un'invenzione dell'arcipelago in cui ora mi trovo.
I tricicli consistono in una moto di media cilindrata, prima era giapponese ora di fabbricazione indiana o cinese, alla quale viene fissata lateralmente una struttura diIMG_6264 metallo, come fosse un sidecar di dimensioni estese. Anche in questo caso la fantasia si declina in diverse forme di costruzione del sidecar; il tricicle che piu' apprezzo e' cosi' costituito: davanti due comodi posti a sedere e dietro due panche di legno imbottito ospitano fino a quattro persone. Con questa conformazione un tricicle puo' trasportare fino sette passeggeri (il settimo si siede lateralmente sulla sella della moto) escluso il driver!
Oltre che in lunghezza e larghezza, l'imponente struttura del tuk tuk filippino si sviluppa in altezza, in quanto e' previsto un tettuccio che copre i passeggeri (sopra il quale si possono posizionare ulteriori bagagli o mercanzie) fino ad arrivare a proteggere da sole e pioggia la moto del conducente. Il sidecar e' inoltre provvisto di paraurti e altre squisitezze che andro' raccontando.
Come puo' una moto di modesta potenza, progettata per il trasporto di due individui, IMG_6334riuscire a trascinare pesi cosi' atroci? Da quello che ho capito l'unica modifica effettuata sulla maggioranza dei tricicli e' quella di porre un doppio ammortizzatore sulla ruota posteriore della moto. Nulla piu'.
Cosi' li vedi sfrecciare rumorosamente tra le vie di citta' e paesi, intrufolandosi tra auto e camion, rilasciando generose dosi di fumo dal tubo di scappamento.
I tricicli servono anche per il trasporto di oggetti, tra i quali ricordo una serie esagerata di pali di bambu' lunghi almeno sei metri ciascuno.
La parte posteriore e quella anteriore del sidecar, oltre a contenere scritte e figure religiose analoghe alle piu' grandi jeepney, molte volte emula il muso ed i fanali posteriori di auto pregiate come Ferrari o Mustang.
I padroni dei tricicli sono gente allegra, cordiale, orgogliosa del proprio mezzo e della licenza di trasporto che hanno ottenuto a caro prezzo; a volte esagerano sparando prezzi alti per una corsa, ma raramente sono ossessivi come i loro colleghi indiani. Se i tricicle li percepiamo particolari, le jeepney sono marchingegni straordinari. E precisamente di marchingegni fuori dall'ordinario ne parleremo nel prossimo dispaccio dalle Filippine.
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mercoledì 22 agosto 2012

In prigione a Vigan, Filippine

 

Come per altri paesi la domenica e' un giorno speciale, ma nelle Filippine sembra che lo sia ancora di piu'. La partecipazione al rito della messa e le esposizioni sociali offerte prima, durante e dopo di essa, portano gli individui a vestirsi in modo accurato, farsi osservare ed osservare, incontrare persone, chiacchierare, sentirsi parte di una comunita', celebrare un evento, pregare e invocare la Trinita' ed i santi, toccando le IMG_6313statue consumate e, infine, concedersi un gelato o una birra in compagnia. Un momento di festa. Un giorno importante anche per i carcerati della prigione di Vigan che ho avuto modo di visitare in questo modo.
Dopo essere stato investito dallo sciame allegro dei fedeli al termine della messa nella cattedrale, costeggio plaza Salcedo, tocco uno slargo che porta ad un museo, quindi sulla destra vedo un grosso stabile coloniale. Quasi per caso mi dirigo in direzione di quest'ultimo e, quando ormai ne sono in prossimita', mi accorgo che si tratta della prigione di Vigan. Davanti al portone d'entrata e' posizionata una scrivania e li' e' seduto un uomo in borghese. lo saluto, lui risponde, e da qui cominciamo a parlare.
Con in corpo il valzer sintetico di Galaxy in Janaki del maestro Flying Lotus, attorniato dal caldo disarmante della prima mattina tropicale, sotto immensi alberi con chioma a cespuglio, il signore mi racconta la storia dell'istituto penitenziario e le avventure di alcuni reclusi. Poi mi chiede se voglio entrare. Certo. Oltre un massiccio portone di legno si procede per un atrio dove ai lati ci sono uffici e stanze con varie funzioni; di fronte a me vedo un'altra porta che conduce alle celle. Prima di questa entrata su una lavagna sono segnati in inglese il numero di reclusi ed il sesso: Cella 1, 30 persone; Cella 2, 17; Cella 3, 31. 61 uomini e 17 donne. Varchiamo la seconda porta apparentemente non controllata dietro la quale appare l'entrata della cella 3, una grande scritta consumata su un muro che recita "Welcome" e due cortili laterali interni. Da uno di questi provengono canti melodiosi. Si', un paio di sacerdoti stanno celebrando l'Eucaristia insieme ai detenuti. Quando chiedo al mio interlocutore se tutti gli ospiti stanno partecipando, lui risponde con una -per lui- scontata affermazione. Dai comportamenti sinceramente affabili della mia guida sembra che il clima all'interno del penitenziario sia piu' che discreto, anche se su questo non potrei giurare.
Dopo diversi minuti di visita sono fuori, in strada, conservando accuratamenteIMG_6318 immagini e volti e rituali pacifici di un luogo particolare di Vigan, affascinante cittadina del nord Luzon, Filippine.

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sabato 4 agosto 2012

Attraversando Mindoro, Filippine

Il giorno arriva con la luce dell'alba e con il suono invadente dei tricicli a motore. Mi trovo a Puerto Galera, una cittadina dell'isola di Mindoro nota per le sue spiagge. Sono gia' in strada, ed in una decina di minuti raggiungo lo squallido spiazzo dove partono i minibus diretti nel sud-est dell'isola. Prima di arrivare al terminal dei van, due conducenti di jeepney mi offrono la corsa per Calapan per venti pesos in meno. Rispondo in modo negativo perche' vedo solo un passeggero sul loro mezzo, mentre in minibus e' semipieno, quindi e' probabile che parta subito.
Dall'ultimo posto del pulmino posso osservare bene il panorama ed i passeggeri. Tranne il driver ed il sottoscritto, il resto dl mezzo e' composto da donne di differenti eta'. Alle 7:30 siamo fuori Puerto Galera, e come compagni abbiamo la strada, il movimento ed immagini di esotico che si tinge lentamente di familiare. Inutile aggiungere parole riguardo l'abilita' (o l'incoscienza) dell'autista il quale guida a velocita' sostenuta, tentando di oltrepassare senza troppi scrupoli ogni ostacolo sul percorso, facendo abbondante uso del clacson come metodo preventivo e di comunicazione. Forse e' la presenza di una corona del rosario legata allo specchietto retrovisore a concedere invulnerabilita' al veicolo.
Il tratto costiero sulla nostra sinistra e' spettacolare: ripide colline colme di vegetazione fanno spazio a lingue di sabbia chiara e mare, contornate da palme da cocco e cespugli. Dopo il sogno impossibile dell'incontro con una isola al contempo deserta e perfetta, quanto sarebbe  attraente esplorare ciascuna di queste baie ed immergersi nell'acqua cristallina scoprendoIMG_6275 la vita che essa offre! Sulla strada scivolano villaggi con tetti di foglie di palma o di lamiera, botteghe semplici, bambini diretti a scuola, magri cani liberi, galline e galli spesso usati per il combattimento in quelle che i filippini chiamano “arene”; oltre grosse piantagioni di palme da cocco vedo boschi e montagne.
Il minibus di ferma saltuariamente  in altri villaggi di case semplici ma arricchite dalla presenza di bambini e piante ornamentali con fiori. E poi chiese color pastello tenute con orgoglio e cura da parte degli abitanti, campi di basket, pubblicita' di sigarette ed alcolici. Il percorso stradale costiero offre molti saliscendi, con improvvise aperture di  panorama verso nuove baie.
In una ora e mezzo sono a Calapan; qui il driver mi accompagna gratuitamente alla partenza dei bus per Roxas, citta' meridionale di Mindoro.
Dopo diversi chilometri con il nuovo mezzo cominciano a farsi spazio pianure coltivate a riso con mezzi meccanizzati o con l'aratro trainato dai buoi e governato da un contadino.
E' molto particolare, eppure nella mente che tenta invano di  comprendere i mondi attraversati, si fanno strada ancora di piu' brezze disorientanti, brezze conducenti a Paesi queridos, come se le Filippine fossero un arcipelago emerso nel mare sbagliato, in acque che si trovano molto piu' a nord rispetto a luoghi dove lo spagnolo ed ilIMG_6252 portoghese sono parlati dalla maggioranza della popolazione.
Le ore passano in modo tranquillo sul minibus che solca asfalto e terra, i volti dei passeggeri cambiano e Roxas si avvicina. Da qui spero di prendere il ferry diretto a Caticlan, isola di Panay, un'altra terra germinata nel mare sbagliato. 

giovedì 26 luglio 2012

Kuala Lumpur viscerale

Kuala Lumpur ti stordisce, annichilisce, distrugge e poi ti ricompone.
Arrivo nella capitale sotto un cielo amorfo del tardo pomeriggio. Il bus mi IMG_6243scarica a Pudu Sentral. Passo dall'aria controllata del mezzo pubblico alla brezza satura di inquinanti e calore della metropoli.
Sono il primo a risalire le scale che portano ai piani superiori della stazione dei bus, dove luccicanti negozi  e uffici delle compagnie di
trasporto vedono passare una veloce figura con uno zaino/bagaglio che pesa meno di nove chili. Le gambe varcano il passaggio sopraelevato del viale Pudu colmo di flusso vitale e cancerogeno del traffico. Dall'altra parte c'e' l'hostel Pudu dove avevo dormito tre anni or sono. No. E' chiuso.
Chiedo conferma ad un corpulento taxista indiano che mi consiglia altri posti situati nella parallela superiore del Pudu. Passo un tempio hindu pieno di confusione e aromi dolci.
Nel primo alloggio che visito, un grosso stabile coloniale, ho due tipi di stanze economiche: con o senza finestra. Le visito: bagno in comune, locali  angusti con ventola a soffitta e pareti di cartongesso, odore di incensi e di corpi silenti. Il terzo hotel e' gestito da indiani. La signora mi porge la chiave per verificare la stanza che possiede muri di mattoni, finestra dalla quale entra il brontolio immortale della citta', televisione, ventola rumorosa, lenzuola con qualche macchia ma pulite, federe a posto, anche se e' meglio rimuovere dagli occhi il colore una volta bianco dei cuscini. IMG_6491Specchio crepato e scrivania con cassetto mancante. I bagni esterni non hanno lavandino, solo un rubinetto sotto il  quale un secchio (ed un contenitore piu' piccolo) servono a diversi scopi tra i quali docciarsi. Appendini arrugginiti e tubi del soffitto a vista. Prendo la stanza.
Fuori e' buio quando cerco un posto dove mangiare. Dal ristorantino malese-indiano pieno di ventilatori si domina una porzione di strada; sulle iridi passano babilonie di etnie e simboli. Scritte in cinese, malese, inglese, coreano, neon sgargianti che illuminano corpi dalla carnagione chiara, meticcia e bruna. Ragazzi vestiti all'occidentale, tudong, canotte, maglie con scritte psichedeliche, cappelli, visi che si specchiano su schermi di smartphone. E poi isolati turisti stravolti dal caldo, spaesati immigrati, genti con storie che sfuggono. Immagini reali ed al contempo cinematiche riconducibili a molte pellicole occidentali. Immagini di perfette convivenze ed impossibili integrazioni tra culture.
Il riso ed il curry sono spariti velocemente dal mio piatto, e la notte di Kuala Lumpur entra piano in questo locale appollaiato sul traffico, dispensando qualcosa che somiglia ad aria meno torrida. E' ora di uscire per muovere quattro passi in direzione della moschea Jamek.
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giovedì 12 luglio 2012

I gatti della Malesia

I felini, quelli piccoli, sono gli animali che incontri piu' facilmente in questo Paese. Nei mercati o nelle stazioni dei bus periferiche, nelle case e nei luoghi piu' impensabili i gatti estendono la loro ubiquita' in ogni dove. Sono tigrati, neri come le pantere che immaginava Salgari, neri variegati rosso, oppure meticci e siamesi dagli occhi limpidi, bianchi con macchie scure o tigrate a scelta; insomma, un un universo colorato che domina queste terre prossime all'Equatore. L'adattamento a climi decisamente caldi ha ricoperto i gatti della Malesia di un manto corto e poco fitto, permettendo di osservare meglio il loro corpo aggraziato: gambe lunghe e sottili con il capo proporzionato al tronco snello. Oltre ad apprezzare una forma ed un movimento che nel mondo animale non ha praticamente uguali, l'essenzialita' dovuta al pelo raso li fa apparire ad un occhio esterno quasi nudi ed ancora piu' magri di quello che sono.
Nella homestay dove sono ospitato scorazzano almeno tre femmine con altrettanti cuccioli. Questi ultimi li vedi giocare muovendo freneticamente zampe piccole e teste enormi sovrastate da orecchie altrettanto pronunciate, poi li trovi distesi sul pavimento esangui, a smaltire l'ebbrezza del gioco conoscitivo e del calore disarmante. Questa famiglia allargata lentamente ha imparato a conoscermi e sempre di piu' apprezza le mie attenzioni nei loro confronti; in particolare un gattino bianco e nocciola stile siamese mi si avvicina mordendo lievemente i bordi delle mie infradito, per poi farsi coccolare quasi a premio per l'azione compiuta. Spesso lo trovo dormiente su una sedia di plastica o in un angolo buio del patio.
L'altro giorno ho visto un maschio tigrato di rosso con testa e collo pronunciati, portante diverse cicatrici di guerre piu' o meno recenti. Ovviamente non ha fatto caso ne' alle femmine ne' ai cuccioli ma si e' diretto verso la cucina nel modo compassato di un ufficiale decorato prossimo alla pensione.
Quando la luce del giorno cede tempo all'imbrunire, quasi per comando alieno gli adulti cominciano a muoversi nel mondo, tornando a prendere effettivo e silente controllo del territorio.
I gatti della Malesia sono magri e minuti, forse per il pelo raso, forse per una non esauriente cura ed alimentazione, ma pare che il loro controverso rapporto con l'invasivo genere umano e con l'universo che li circonda non sia troppo detestabile, anzi.

giovedì 24 maggio 2012

Le viscere di Buenos Aires

E' seducente uscire nell’attimo del tramonto. Invasa dalla primavera che gira intorno ai volti e ai palazzi illuminati di chiaro rosa, Buenos Aires si disvela nella sua essenza. Muovo e muovo gambe che conoscono il suolo, mentre il sole viene prosciugato dietro la metropoli. Rilucenti bus vintage mercedes di linea sfrecciano lungo strade immense insieme ad auto e pedoni che tornano dal lavoro. Il traffico diminuisce lentamente e con esso si allenta Bs. As.la foga del giorno.
Scendendo qualche minuto fa dalla stanza dell'ostello nella avenida de Mayo, ho salutato Chantal, l'incaricata della reception, la quale mi ha invitato a un mate.
Mi allontano veloce dal centro per inoltrarmi nelle viscere del quartiere Monserrat. Trovo vie poco trafficate dove bambini giocano sul marciapiede, osservati dalle madri alle finestre, dove coppie di signori anziani escono a bere un calice di vino in locali stupefacenti nella loro austera semplicita', mentre uomini senza volto immigrati da Perù e Bolivia raccolgono informalmente carta ed altri rifiuti.
Prendo strade a caso inabissandomi sempre di piu' nell'oscurita' della metropoli che non finisce. Nel 2007 andavo a mangiare il bife nella zona di Parque Patricios prendendo la Subte, adesso in venticinque minuti vado al Nuevo Castel's. Mi è stato consigliato da diversi abitanti del quartiere. Dopo l'Independencia ho meno di due cuadras in giu' e sono arrivato a destinazione.
Questa sera il mate di Chantal mi ha preso del tempo, quindi devo mettermi in coda fuori dalla porta d'entrata. Il Castel's e' sempre pieno di gente.
Nella fila davanti a me ci sono una coppia di signori che pare abbiano conosciuto tempi migliori, una famiglia con tre bambini e due giovani. Arrivano altre persone che aspettano fumando sigarette silenziose.
Dopo un quindicina di minuti il cameriere mi invita ad entrare. Il Castel's è un ristorante come tanti in Argentina o in Europa del centro-sud: lungo e piuttosto stretto, piccoli tavoli e sedie in legno, pareti ricche di poster e fotografie a tema, prosciutti appesi alle pareti e formaggi stuzzicanti sulle mensole sopra il banco. Camerieri e cuochi veloci. Ordino un bife de chorizo jugoso con purea e verdure. Mezzo paradisiaco chilo di controfiletto di carne alla parilla.
Accanto a me due uomini d'eta' discutono nel loro enfatico accento porteño, animati da una bottiglia di vino. Cominciamo a parlare insieme. Sono entrambi attori in pensione residenti nel quartiere. Quando arriva il bife de chorizo chiedo loro qualche minuto per gustare la prelibatezza: una piccola montagna di carne tenera, sugosa, saporita, che il palato, la lingua e la bocca intera centellinano a lungo prima di ingerire. Carne alla brace con un pizzico di sale, null'altro per raggiungere l'incomparabile.
I due signori mi raccontano i loro ruoli nelle pellicole argentine, di quando conobbero un importante regista italiano nel tempo in cui: “Quel Paese produceva ancora film come si deve”.
Ormai inevitabilmente lontano dall'infuocatamarip Santa Cruz, sollevo ancora polvere di terra americana, accompagnato da un attore in pensione, mentre le parole sciamano lentamente nell'aria che non puo' tornare.
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lunedì 23 aprile 2012

Viandanti su Buenos Aires

E' sufficiente uscire dalle vie del grande commercio e del turismo per inalare la fragranza invisibile di Buenos Aires. Un'atmosfera impossibile da determinare che mischia odori di lavoro e di collettivita' irradiata a tela di ragno, vento di metropoli contaminato da vigorose brezze social-popolari provenienti da tempi non lontani e storie di genti. E' raschiando la pelle sulla strada, annusando i muri porosi delle case, inspirando il tempo per lasciarlo libero insieme all'aria che le cose si riescono lievemente a percepire. Un poco.
Nell'ostello ieri ho conosciuto Gu Tae, un ragazzo coreano alla scoperta dell'America australe. Altezza media, magro ma non esile, capelli neri indomabili. L'ho portato nel colorito ed intasato quartiere La Boca. LBAppena fuori dalle sgargianti vie colme di procacciatori, file di bus e comitive di turisti, abbiamo incrociato famiglie dedite al rito della carne alla parilla in strada, negozi d'altri tempi con proprietari che portavano gli stessi aromi della loro merce, case ingobbite, oscure, con tetti e pareti in lamiera ondulata e finestre piccole, trasudanti vicende antiche d'immigrazione.
Vagando casualmente per vie e strade siamo arrivati dietro lo stadio del Club Atlético Boca Juniors; non so come e non ricordo per quale strano percorso, qualche minuto dopo eravamo tra le scalinate vuote dello stadio, attorniati da boca jsedili di plastica e da insegne pubblicitarie vuote di significato, con sotto l'erba che guardava il cielo pieno di America.
Nell'area coperta dello stadio, sotto le gradinate, abbiamo trovato diversi gruppi di ragazzini guidati da giovani allenatori. Anche qui siamo stati ad osservare in silenzio le persone, cercando di guardare il mondo con le loro iridi: i bambini che si passavano la palla con la serieta' che emula gli adulti, lo scanzonato trainer, i genitori ansiosi e compiacenti pronti a riportare a casa i figli. Inspirando profondamente l'aria leggera e popolare del luogo.
Prima di prendere il bus di linea per tornare in centro, Gu Tae dice che vorrebbe mangiare un gelato. Immagino che avesse letto da qualche parte che a Buenos Aires fanno buoni gelati, oppure solamente aveva voglia di mangiarne uno, in ogni caso siamo andati alla ricerca di una gelateria.
Seduti su una panchina di legno saziandoci di gelato, con la calda primavera che vola sulla citta' della Buona Aria, Gu Tae mi ha raccontato del suo paese, delle colline verdi, del traffico e dei clacson di Seul. Io ho parlato di una citta' lontana piena di mercati e di case bianche, di caldo vento Norte che porta la sabbia dei fiumi tropicali e mescola ricordi privi di oblio.
Due citta', due mondi, veicolati da nostalgici epigoni della solitudine.
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martedì 27 marzo 2012

Il cuore di Buenos Aires

I pappagalli volano insieme nella citta' della Buona Aria. Il loro movimento in dissonanza col vento li ha fatti posare sui rami dell'immenso toborochi che si espande sopra di me. I piccoli e rumorosi uccelli verdi beccano il contenuto fibroso dei frutti del toborochi, il palo borracho, l'albero dal tronco panciuto.
Osservo in silenzio gli animali dal prato della plaza San Martín. Sono disteso sull'erba giovane che la primavera ha portato, mentre viaggiatori, funzionari, coppie di ragazzi, transitano dal centro verso le stazioni di Retiro. Rumore di brezza marina e di volatili che cantano la stagione della luce si mescola al rombo del traffico della grande avenida Del Libertador.
Pappagalli e palo borracho. Uno dei simboli di Santa Cruz è il toborochi. In mezzo a Toborsensazioni di tropico dove il sudore svanisce nell'asfalto bollente della strada e la pelle scorticata ogni giorno a sangue incontra se’ stessa nella solitudine, i pascoli immensi fuori dalla Citta' della Croce potenziata offrono visioni di palme motacú, bibosi rampicanti  e toborochi incastonati nel cielo d'America; nella selva che scompare per sempre dal patrimonio della Terra si possono ancora osservare pappagalli giganti Ara dal volo maestoso. In quella citta' lontana il mese di giugno esibiva pingui toborochi fioriti di rosa e rosso pastello.
Dopo aver vagato per il Microcentro, in tarda mattinata mi sono recato al terminal dei bus di Retiro per informarmi sugli orari delle destinazioni verso il Sur, il Sud. I prezzi sonoav. del Lib saliti in modo osceno rispetto al 2007. Da domani andro' a dormire nell'ostello vicino al mio alloggio. Guardo gli uccelli verdi sfibrare il bianco dei frutti dell'albero, addormentandomi nel cuore di Buenos Aires.
Mi fermo qualche secondo ad osservare il cartellone, tra la confusione di gitanti, venditori ed impiegati. E' una promozione turistica governativa della provincia norteña di Misiones. Non volevo passare per la calle Florida, invece mi trovo qui, assorto ad osservare il poster. In pochi istanti decido di modificare i programmi: “Acquisto un pass di cinque viaggi a lunga percorrenza con l'autobus, e mi lancio anche al Norte, dalle parti di Iguazú!”, dico con rinnovata contentezza. Un'amica conosciuta nella Regione dei Laghi, affermava: “La curiosita' verso il mondo, la liberta', si ingigantiscono nel viaggio indipendente”.
Sotto gli affascinanti palazzi bianchi la via pedonale è colma di lucidi negozi di artigianato, di caffe', di bancomat e di venditori ambulanti. A quell'ora pomeridiana la gente è tanta, troppa, che ti obbliga a rendere frammentaria e fugace l'osservazione; accelero il passo per dirigermi nella via San Martín, verso la piazza De Mayo.
La sera il mondo sembra diverso. Nelle grandi citta' l'imbrunire porta una fresca, elettrizzante tranquillita': la gente si muove con passo rilassato, parla forte, ride, gode dell'aria e degli spazi liberati.
Sposto i passi lievemente intorpiditi da una birra fino ad incrociare il viale immenso; forse correndo veloce veloce si potrebbero attraversare tutte le diciotto corsie della avenida 9 de Julio. Continuando a percorrere Congril viale De Mayo verso il Congreso, gli occhi si spostano dalle vetrine gaie dei ristoranti, ai platani dalle foglie giovani, per raggiungere gli edifici stile europeo che culminano in torri e cupole.
Dopo aver passato la Inmobiliaria ed il maestoso palazzo Barolo sono nella piazza del Congresso: negli spazi verdi, signori distinti portano a passeggio il cane ed improbabili sportivi fanno ginnastica su fazzoletti di prato. Nel lato sinistro della piazza intravedo diversi gruppetti di persone. Mi avvicino e capisco che sono uomini e donne senza fissa dimora che stanno ricevendo pasti caldi da un gruppo di volontari.
Sotto il buio della citta' che guarda alla primavera rimango ad osservare il palazzo del Congreso e le case, le persone sedute nei bar alla moda e i senzatetto curvi sui gradini della strada.
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giovedì 1 marzo 2012

La primavera gira su Buenos Aires

Veloce scivolano le orme sulle piastrelle della Suipacha, Microcentro, nel cuore della capitale piu' attraente dell'America del Sud. Le mie orme, la pelle, il mio fiato vorrebbero includere per sempre la primavera australe che gira sopra Buenos Aires. Nella via scorrono ragazzi in bicicletta e affrettati passanti; nei loro vestiti che anticipano climi piu' miti e nei loro ampli respiri riconosco l'afflato verso il tempo propizio.
Sono mesi e mesi che affronto stagioni che durano una manciata di ore, stagioni perdute, stagioni lontane che i venti modificano come girando un vecchio interruttore manuale pieno di polvere. Questo avviene a Santa Cruz, parecchio piu' a nord, nel tropico americano, dove le nuvole gareggiano pacificamente tra loro sopra le foreste arretranti; durante il mese di giugno e luglio la temperatura poteva variare di una ventina di gradi da un giorno all'altro. Poi è arrivato il caldo. E non è andato via.
Quando viaggio a volte mi viene da fare un gioco mentale che consiste nel catapultare una persona conosciuta o me stesso nel luogo dove mi trovo. Ovviamente non si deve conoscere il posto, con il proposito  -secondo quello che nell'immediatezza i sensi offrono- di avvicinarsi alla comprensione di dove ci si trova. Allora. Il clima è mite, l'odore intorno sa di primavera, di infiorescenze e di alberi di citta' dalle forme poco esotiche; gli imponenti palazzi sono in stile occidentale, la gente, be' la gente è soprattutto di carnagione bianca e la lingua... facile: sono in Europa; dai vestiti e dai movimenti delle persone, dalle scritte e dai volantini sui muri pare pero' un’Europa strana che incrocia modernita', rigore, decadenza, retrò, anarchia e ventate rivoluzionarie. Come in un film degli anni settanta ritoccato ai giorni nostri.
Ho preso la Suipacha perché lungo il tratto del Microcentro è una via libera dal traffico privato e meno affollata della parallela Florida. Portandomi verso il quartiere Retiro vedo negozi antichi gestiti da signori d'eta', banche, bar, chioschi dominati da palazzi costruiti nel vicino secolo scorso. Ma è nei ed1grandi viali che ora attraverso dove si puo' ammirare l'architettura francese ed italiana mescolata a qualche edificio piu' recente, mentre sulla sinistra scorgo l'imponente obelisco bianco che spunta dalla avenida 9 de Julio.
Sono arrivato da un paio di giorni nella citta' dalla Buona Aria e mi pare di essere qui da un mese. All'aeroporto ho chiesto a due taxisti se il bus di linea 86 si reca ancora in centro; con la consueta gentilezza disinteressata di questo popolo mi hanno risposto affermativamente, anche se ora il numero del mezzo pubblico e' diventato 8. Con i vestiti e l'epidermide che respirano la stagione dove tutto comincia, mi avvicino alla fermata del bus. Domando ad una ragazza che aspetta il suo turno per salire sul convoglio quanti soldi ci vogliono, lei mi risponde: “Due pesos in moneta”; le chiedo se mi puo' cambiare una banconota di piccolo taglio, lei mi regala i soldi come fosse la cosa piu' normale del mondo. “Sono a casa”, mi son detto.
Dall'autobus vedo pascoli, fattorie e piccoli centri urbani. Negli spazi verdi prossimilleg all'autostrada sono parcheggiate auto con adulti e bambini che si godono il clima mite domenicale. Dopo due ore di strada, di periferie e di viali infiniti sono sulla Yrigoyen, a due passi dalla 9 de Julio. Dirigo le gambe verso un piccolo hotel economico del centro. La prima notte nell'albergo ed il volo di ritorno è l'unica cosa che ho fissato in questo lungo cammino sulle strade d'America.
La primavera gira su Buenos Aires e colui che cerca senza mai trovare si muove lungo vie illuminate di bianco e di sole, verso la stazione di Retiro. Con il tempo una volta sovrano, ora liberato. 
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