martedì 31 dicembre 2019

La musica preferita del 2019

Bon Iver (USA) - I,I - Jagjaguwar Records - Genere: Folk, Indie Rock, Folktronica





Big Thief (USA) - U.F.O.F. - 4AD Records - Genere: Folk Rock, Pop, Slowcore



  

Jessica Pratt (USA) - Quiet Signs - City Slang/Mexican Summer Records - Genere: Songwriter, Alt-Folk





Jamila Woods (USA) - Legacy! Legacy! -  Jagjaguwar Records - Genere: R&B, Soul, Hip Hop, Poetry

 




 Menzione per i lavori di: Floating Points (UK), Lambchop, Flying Lotus, (Sandy) Alex G, Nick Cave e Faye Webster.

martedì 24 dicembre 2019

Puerto de las Nieves, Gran Canaria



giovedì 19 dicembre 2019

Gran Canaria, sud


venerdì 8 novembre 2019

Il vagone delle meraviglie. Direzione Kunming, Yunnan

Regular train in Qinghai
Il vagone verde su cui mi trovo ha qualcosa di speciale. Il cuore percepisce l'alito ultraterreno che si è stabilito su questo convoglio colmo di valige dozzinali, strapieno di persone che tornano a casa, di famiglie, donne, uomini, bambini. Gente di campagna umile e gentile. Qualcuno direbbe che qui c'è Dio.
La carrozza verde appartiene ad un Regular train con cinque sedili per fila che viaggia a Sud. El corazón al Sur.

Per la verità quando sono salito sul vagone dopo essermi per la seconda volta accomiatato da Chengdu, in un primo pomeriggio di un prefestivo, il mio umore era piuttosto basso.
Passo tutti i controlli della stazione Nord della metropoli sconfinata, scendo ai treni ed individuo il numero della mia vettura. Sono arrivato tra gli ultimi in un treno completamente sold out e, tanto per cambiare, tutti i passeggeri mi osservano con occhi spalancati. Chengdu-Kunming 1100 chilometri e decine di ore di viaggio, dopo che ieri mi ero sparato 15 ore da Xining a Chengdu.
Il cuore batte piano, calmo, espirando aria calda, alla ricerca del mio sedile. Sono tra un ragazzo ed un padre di famiglia che tiene in braccio una bambina. Mentre sospiro una signora premurosa dice al figlio adolescente di prendere il mio zaino e incastrarlo da qualche parte sopra le nostre teste. La famiglia di fronte a me composta da madre, figlio e ragazzina, oltre ai paesaggi che dal Sichuan volgono all'altopiano Yunnan-Guizhou, saranno una delle cose più belle del lungo viaggio.

Quando fuori il sole comincia scendere verso monti lontani il vagone delle meraviglie comincia ad animarsi: piano piano da enormi sacchetti spunta ogni tipo di mangiare, tra i quali spiccano i
Regular train
contenitori di zuppa di noodles precotta. Anche il ragazzo di fronte a me, dopo aver per ore guardato video sul telefono, stimolato dalla madre, comincia a distribuire alimenti al resto della famiglia. A turno si recano verso un estremo del vagone con questi recipienti liofilizzati per riempirli di acqua bollente. I passeggeri mangiano di tutto: carne essiccata, fagioli dolci, snacks, frutta e soprattutto zuppa di spaghetti. Come se non bastasse e con molta frequenza passano gli addetti con carrelli pieni di alimenti e bevande. Quasi tutti acquistano qualcosa, socializzando il bene con i vicini.

La famiglia di fronte a me è proprio interessante: una ragazzina preadolescente allegra ma mai invadente, il fratello maggiore sovrappeso dai toni apparentemente burberi appiccicato perennemente al cellulare, una madre piccoletta sempre sorridente. Ovviamente lo straniero venuto da chissà quale paese è preso sotto le loro ali protettive. La ragazzina tenta inutilmente di farmi qualche domanda in cinese. Dice qualche sparuta parola in inglese. Dopo qualche ora mi comunicherà con il linguaggio dei segni che i miei occhi sono tanto grandi. Tutti rideranno bonariamente per la sua osservazione.

Le prime luci dell'alba illuminano un paesaggio esterno fatto di montagne e colline verdi immerse nella pioggia. Il monsone. Le fermate presso stazioni sconosciute sono lunghe, per dare la precedenza ai treni ad alta velocità. Gallerie, rocce e visioni a corta distanza. L'uomo con la bambina vicino a me scende. Il ragazzo riconsegna ad un addetto del treno il caricabatterie telefonico. Gente continua a mangiare. Ho l'impressione che il treno stia accumulando ritardo.  

19, 20, e con 21 ore di viaggio Kunming è finalmente conquistata. La famiglia del cuore era scesa qualche stazione prima. Mi sono alzato e ho stretto loro la mano in segno di rispetto e saluto. In venti ore a breve contatto ci saremo scambiati cinquanta parole ma una infinità di sorrisi. E' il vagone delle...

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mercoledì 30 ottobre 2019

Due guide per Yushu


Come faccio a trovare la stazione degli autobus?
Questo è il pensiero dominante mentre salgo veloce verso il grande monastero Dondrub Ling che domina la città di Yushu. L'aria dei 3600 metri entra forte nei polmoni, mentre fitte nuvole a tratti lasciano passare il sole delle altitudini.
Secondo giorno in questa città dove la cultura tibetana è dominante. Oggi è sabato e il grande monastero color rosso porpora sembra in festa: molti visitatori, gruppi di giovani monaci e monache girano allegri per i piazzali del luogo di culto. L'impressione è che i lama siano davvero benestanti. Troppo. Il palazzo principale ed altri edifici sono da poco stati ristrutturati e dipinti di fresco. I tetti d'oro a forma di pagoda guardano verso la città che si espande ed i suoi fiumi lattiginosi provenienti dai ghiacciai. Da questi altopiani tibetani nascono i fiumi più imponenti dell'Asia.
In un piazzale del monastero Dondrub Ling, con visioni di montagne verdi che ci circondano, dopo un paio di tentativi falliti provo ancora a chiedere l'ubicazione della stazione dei bus a dei ragazzi. Capiscono quello che sto cercando ma mi indicano soltanto la direzione della struttura.

Scendendo dal gompa mi imbatto in una coppia di cinesi che stanno prendendo posto sul loro SUV. Mi ispirano. Chiedo se parlano inglese e affermo che devo fare il biglietto per Xining, ma non ho idea dove sia il terminal. Dopo un breve loro parlottare mi dicono di salire e mi accompagnano all'anelata stazione. Le mie due guide sono molto socievoli e subito facciamo conoscenza. Si chiamano Joe e Sue, provenienti dalla bella Chengdu ed in vacanza in Qinghai. Sono curiosi di sapere tutto di me.  Sue ed il marito mi fanno il biglietto poi dicono che stanno per andare a visitare il Seng-ze Gyanak Mani Wall. "Vuoi venire?", chiedono. Accetto subito. L'amicizia è formata.
Il muro Seng-ze Gyanak Mani, composto da migliaia di pietre dove sono scritti mantra buddisti si trova a qualche chilometro dalla città ed è un luogo religioso importante per i buddisti di queste regioni. Famiglie di etnia tibetana si mescolano a turisti cinesi Han. Mentre passeggiamo per il Mani Wall, costeggiando muraglie di pietre tinte di rosso incise da scritte in tibetano e accatastate pazientemente, Joe e Sue mi raccontano della loro città, dei loro viaggi e dei figli che crescono. Etere salvifico scorre nelle vene erranti.



sabato 12 ottobre 2019

Dal Sichuan alla frontiera con il Qinghai

Lascio Ganzi/Garze quando è ancora buio. Il minivan è pieno di giovani di etnia tibetana diretti a nord-ovest. Da una settimana non vedo un occidentale e per vederne qualcuno dovrò aspettare fino a Xining. Quasi impossibile comunicare. Spero che l'autista abbia capito la mia destinazione, anche se il mio biglietto (scritto in cinese, non in tibetano) non lasciava dubbi. Lascio i 3300 m di Ganzi e le sue vette immacolate che toccano i 6000 metri con un briciolo di dispiacere ma devo fuggire dal monsone che conquista velocemente terre da sud.
Salendo le propaggini più orientali dell'infinita catena dell'Himalaya percorriamo la Sichuan-Tibet Highway quando ancora il crepuscolo non riesce a farsi spazio nell'oscurità. Passiamo il monastero Darjay con gli otto stupa bianchi di fronte e come sfondo le colline verdi sagomate dal tempo. Le nuvole permettono di osservare solo la porzione inferiore di montagne che si innalzano nell'empireo.
Un centinaio di chilometri e lasciamo la strada che porta in Tibet per voltare a destra, verso nord.
Cerco di eliminare l'umidità che appanna il vetro del minivan. Mentre saliamo ancora, fuori scorrono prati, poggi, torrenti e linee dell'alta tensione. Bandiere buddiste e monasteri isolati. Scritte in tibetano e cinese.

Dopo aver scavalcato almeno un paio di passi a più di 4000 metri il minivan si arrampica per la strada sterrata. Una jeep con un monaco è rimasta bloccata nel fango. Tra le nuvole e la stanchezza intravedo vette alte rigurgitanti neve e ghiaccio.

Al confine tra la regione del Sichuan ed il Qinghai c'è un posto di blocco della polizia. L'agente esamina il mio passaporto, vede il mio visto ma non intende a quale nazionalità appartengo: sono costretto ad usare il traduttore del suo cellulare perché tutti capiscano. Ripartiamo.
Sono nel grande e poco popolato Qinghai. Due ragazzi, probabilmente studenti, si fermano in una cittadina vicina. La bella donna davanti a me scenderà a Yushu, la meta finale.

L'altopiano verde mostra pascoli immensi, piccoli fiori di montagna, cime lontane e torrenti grigi gonfi d'acqua. Nuvole alte si dirigono da qualche parte. L'autista corre veloce, suonando forte il clacson quando entriamo nei centri abitati.

Sono otto ore di viaggio e almeno cinque passi ben oltre i 4000 metri quando entriamo nella città di Yushu, Qinghai, a un centinaio di chilometri dal Tibet. Come pattuito consegno 200 yuan all'autista, chiedendogli a gesti dove si trova il centro cittadino. Il cammino imperfetto continua.
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venerdì 4 ottobre 2019

Ganzi


venerdì 27 settembre 2019

Chengdu


domenica 22 settembre 2019

Hot Pot 100% from Sichuan

"Ma, alla fine, come per molte cose, la passione la vince e quindi il novizio riuscì a terminare con successo il grosso frutto che porta il nome di Durian. L'amore era scoppiato."
Bandung, 2009 

Come per il frutto più straordinario ed impossibile mai mangiato, mi viene voglia di raccontare, una decina di anni dopo, un'altra significativa iniziazione alla quale il corpo e lo stomaco sono stati sottomessi: l'Hot Pot a Chengdu.
Succede più o meno così.

Antecedente: ieri pomeriggio vagando per strade rigurgitanti di sensazioni, umanità e rumori, in quella che è una città che apprezzo sempre di più, mi trovo davanti ad un ristorante del centro. Mentre penso che la vita abbia un senso in una giornata appena calda dove la limpidità del cielo tracima dai manufatti di cemento e vetro e dagli alberi di Gingko, mi fermo incuriosito davanti a questo posto di ristoro.
Dopo aver tentato inutilmente di chiedere informazioni alla receptionist, una ragazza seduta ad un tavolo viene in mio aiuto. Le spiego che nei prossimi giorni vorrei provare l'hot pot in un ristorante tipico. Lei mi dice che Chengdu è la mecca di questo piatto e in città ce ne sono centinaia che fanno ottimi hot pot. Questo è uno di quelli.

Oggi, il Giorno: cammino fino al fiume Jinjiang e poi mi dirigo alla contigua stazione dei bus di Xinnanmen per acquistare il biglietto per Kangding nelle Tibetan Autonomous Prefecture (TAP). Fiero del successo, decido che l'hot pot mi sta aspettando. Ripasso il ponte sul fiume Jinjiang dove tra il verde gruppi di uomini e donne praticano ginnastica e si muovono a suon di musica, percorro la Hongxing con le moto elettriche che dominano su auto e bus per velocità e scatto. Bici free floating ovunque.

La Shangdong o Xiadong road la raggiungo da dietro percorrendo tranquille vie residenziali gremite di negozi di quartiere, quasi perdendomi nella sinuosità infinita della metropoli (infinita). All'incrocio con la Daye sono arrivato al ristorante.
Il locale è pieno per metà. La mia presenza attrae l'attenzione discreta di buona parte dei commensali. Scelgo un tavolo e mi siedo. Le cameriere già sorridono con un misto tra imbarazzo e divertimento.
Mi portano il menù ed una penna con la quale devo eleggere le pietanze da immergere nel hot pot. L'unica cosa che capisco è il prezzo base del piatto. Non è come andare in un ristorante economico dove scelgo a caso un prodotto completo in base al costo o alle foto e lo mangio senza reclamare...
Quando tutte le speranze di gustare la prelibatezza del Sichuan stanno svanendo, un ragazzo distinto, un cliente, si alza e mi viene in aiuto, disvelandomi come preparare le salse e gli intingoli e traducendo quali alimenti scegliere. Decido di mangiare agnello, tofu e, su consiglio del mio iniziatore, radici di loto, che si riveleranno molto interessanti.

Presto una timida cameriera mi porta l'hot pot, un recipiente circolare diviso in due dove in una abbondante metà (la piccante) galleggiano miriade di peperoncini rossi e altre spezie. Amo il fulmicotone. Da sotto il tavolo l'inserviente accende il gas per portare ad ebollizione il contenitore. Subito arrivano piccoli vassoi con gli alimenti da me ordinati. Tutto estrememente curato. Il giovane si alza ancora dal suo tavolo per guidare la mia inettitudine.
Immergo le fette di agnello ed il tofu nel comparto piccante per qualche minuto e poi lentamente estraggo gli alimenti. La carne cuocendo nella zuppa del hot pot ha assunto il meglio delle spezie diventando gustosa. Utilizzo gli intingoli fatti di olii ed erbe aromatiche. Nella scodella scivola qualche peperoncino e qualche bacca speziata aliena in più del necessario. Non importa, mangio tutto. Lo stomaco ed il palato assorbono con diligenza e passione le pietanze cotte dal bollente hot pot di Chengdu, fino a quando termino con successo il pranzo. Sono battezzato.


domenica 8 settembre 2019

Chengdu Giant Panda Research Center

Idea geniale: anticipiamo la visita al Centro dei panda il venerdì perché il fine settimana sarà una bolgia.
Attraverso Tianfu square con i suoi grattacieli che riflettono il mondo che gira rapidamente, i palazzi, il museo e il monumento di Mao sorvegliato continuamente da diverse brigate di fiori. Una piazza a questa ora giovane della mattina formicolante di studenti e lavoratori. Anche se camminerò un poco fino alla fermata della metro di Chunxi road il tempo è dalla mia parte. Attraverso una Daye road infestata da migliaia di moto elettriche, bici free floating, taxi e mezzi a motore di ogni tipo per prendere la Dongda. Da questa via alberata da centinaia di piante di Ginkgo mi immetto nella principale arteria pedonale dello shopping della città: Chunxi road. I negozi e i centri commerciali sono ancora chiusi, quindi riesco a muovermi veloce. Chiedo ad un presidio della polizia dove si trova la fermata della metro e un agente mi indica con il braccio la direzione.

Sotto, nella metro 3 di Chunxi, tutto è più facile grazie al bilinguismo: biglietto, passo i controlli a raggi X della sicurezza ed in poche fermate sono in Panda avenue. Dalla folla rumorosa che scende dal convoglio e da quello che vedrò poi mi rendo conto che l'idea geniale non è molto geniale. Non esiste un giorno ideale per evitare il turismo di massa cinese durante le vacanze.

Il Centro di ricerca e allevamento dei panda è una struttura molto conosciuta situata appena fuori la città in una grande area verde completamente organizzata. Diversi sono i percorsi  per raggiungere i vari siti dove vivono gli orsi. Prendo l'itinerario meno battuto, tanto è inutile. Cammino. Bambini mi salutano timidamente, adulti sorridono.

I primi panda giganti riesco a scorgerli all'interno di spaziosi recinti alberati. Gli animali sono al riparo dal sole e si muovono poco causa il caldo. Scatto qualche foto.

Uno dei posti più visitato del Centro è una struttura dove all'interno ci sono innumerevoli vetrate dalle quali possiamo ammirare dei giovani panda che si arrampicano boriosamente su tavole di legno e giocano tra loro.

Il luogo che gradisco maggiormente è un bosco vigilato dove vivono alcuni esemplari di panda rosso: in alto tra i rami, all'ombra, riesco a individuare uno di questi bellissimi animali. Riposa abbandonato tra un incrocio di rami esili come un trapezista esperto, con il muso bianco, nero attorno gli occhi e color marrone sul capo, le zampe e la coda penzolante foderate di pelo fitto. Lame di luce che filtra tra le foglie illuminano il dorso rosso. L'animaletto sognerà ancora di planare tra colline e le montagne dell'Himalaya?


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giovedì 29 agosto 2019

Hot Pot da Chengdu


lunedì 12 agosto 2019

L'arrivo a Chengdu

Il volo da KL giunge quando ormai il sole ha abbandonato queste terre. L'aereo pieno di turisti e commercianti rumorosi ha affrontato le propaggini di un monsone attivo che si spinge verso nord. Sul velivolo ho visto solo una occidentale.
Sono avvolto da uno spaesamento controllato. Troppo movimento veloce, troppo transito, troppi cambi in poche decine di ore.
Giunti all'immigrazione i chiassosi cinesi diventano improvvisamente quieti. Il funzionario esamina il mio passaporto, il visto, mi guarda, scatta una fotografia e poi mi riconsegna il documento. Sono in Cina continentale per la prima volta.

La mattina successiva esco dalla struttura dopo aver passato la notte in aeroporto. Gli occhi stanchi ancora conservano le immagini delle folle oceaniche che si prestavano a prendere un volo, telecamere ovunque e la difficoltà di farmi capire. Tranquillo, è solo un piccolo assaggio di quello che ti aspetterà, don Esteban.
Infatti. Infatti per chiedere quando arriva il bus numero 2 diretto a Tianfu square devo per forza usare il traduttore del telefono. 

Col viaggiare l'autobus lentamente si popola di gente silenziosa ed educata. Fuori scorrono catene e catene di scialbi palazzi residenziali, capannoni, insegne dal significato sconosciuto, strade e superstrade, svincoli imponenti ed il rumore dei clacson onnipresente.

Capisco che ci avviciniamo al centro di Chengdu quando imbocchiamo la Renmin south: grattacieli dalle forme sempre più ricercate, hotel immensi, alberi, pulizia e decoro urbano, gente a piedi diretta al lavoro, traffico e negozi indicanti prestigiose firme internazionali. Moto elettriche e bici pubbliche lasciate ovunque.
Non so se sono mai stato in una città che supera i 14 milioni di abitanti, ma già questa metropoli mi piace; l'autista mi avvisa che tra poco sarò nel suo cuore, Tianfu square.

Scendo, mi oriento un poco con la mappa mentre gente ben vestita passa velocemente davanti a me ed al mio zaino che ha visto e ancora tanto dovrà vedere. La Dongchenggen è ad un isolato e mezzo da qui. Passo davanti al monumento di Mao contornato de migliaia di fiori estremamente curati, infine termino l'attraversamento della piazza, la più grande del sudovest della Cina.
Mentre l'aria fresca della mattina all'apparenza non troppo inquinata scivola nei polmoni mi avvio alla ricerca dell'alloggio. Vorrei riposare un poco.



giovedì 11 luglio 2019

Chengdu


venerdì 28 giugno 2019

La Paz, Bolivia


giovedì 20 giugno 2019

Sulle strade di La Paz

Dal mirador Killi Killi si abbraccia la città e la si comprende. Partendo dal nucleo centrale subito si riconoscono i nuovi, sfarzosi, inutili, grattacieli delle istituzioni governative che nascondono i pochi edifici storici e le chiese del centro. Palazzi moderni svettano nel fondo della conca insieme allo stadio di calcio con qualche striminzita area verde, e poi... gli occhi si saturano di marrone che volge verso il cielo intenso. Il marrone della terra? No, quello dei mattoni di decine di migliaia di case che salgono sulle colline che circondano la capitale. A destra si riconosce la caotica El Alto, la città nella città, con i suoi 4000 metri di altitudine.
Il rumore infinito del conglomerato urbano arriva implacabile fino al mirador. La Paz, la città dove i luoghi del centro sono densi di ricordi potenti, con lo stupefacente teleférico e l'ancor più stupefacente catena dell'Illimani, una perla che risplende lontana.

Dopo essermi riempito il cuore dall'alto del mirador Killi Killi decido di raggiungere a piedi il cimitero monumentale. Arrivo fino a calle Comercio e la percorro nella sua interezza, passando per la centrale plaza Murillo, il museo nacional, insinuandomi apaticamente tra gli ambulanti che vendono abbigliamento, i turisti, i vagabondi, i mendicanti che si mischiano a persone vestite con giacca e cravatta.
Dopo aver visto appena la chiesa San Francisco, passo all'avenida América e qui il traffico diventa problematico. Con il respiro veloce che introietta aria rarefatta e fumo denso dei micros, guadagno la vecchia stazione dei treni e poi improvviso: per raggiungere il cimitero basta seguire dal basso la linea rossa del teleférico. Passo strade sconosciute brulicanti di mercati e botteghe occupate da avventori esigenti. La pioggia di ieri è riuscita a togliere l'onnipresente odore di orina che trasuda La Paz.
Quando i negozi cominciano a vendere prodotti cimiteriali, è facile intuire la vicinanza dell'obbiettivo. Infatti quasi subito individuo l'imponente muro bianco che circonda parte del cimitero.

Dall'entrata principale del camposanto si articola un efficace percorso guidato che passa per i monumenti funebri dei presidenti e delle personalità boliviane, dei militari e delle famiglie benestanti. Sto bene. Cammino piano con l'aria fresca di La Paz che gira intorno ai manufatti imponenti, agli alberi sempreverdi del cimitero, alla collina non lontana che sale verso El Alto.      
        
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martedì 28 maggio 2019

Lago Titicaca dalla Isla del Sol


giovedì 16 maggio 2019

La penisola del faro alla Isla del Sol

"Non passare per la mulattiera che porta all'altra parte dell'isola, perché gli stranieri non possono transitare", mi avvisa Leonardo dopo avermi spiegato con accuratezza il cammino per la penisola che vediamo da Yumani. Dispute tra popolazioni locali, la misteriosa morte di una viaggiatrice coreana e la metà dell'Isla del Sol chiusa al turismo non stanno facendo bella pubblicità a questa fulgida isola posta nel cuore del Lago Titicaca.

Alle 8:30 sono sulla mulattiera alta che porta a nord, verso la parte chiusa dell'isola; gli occhi ancora conservano la recente visione dell'alba sorta dalla Cordillera Real.  Il sole vergine illumina di sbieco i colli, i cespugli, le zolle arate a mano. Circa a 300 metri dal posto di controllo lascio la mulattiera che nei punti umidi è ancora gelata, per gettarmi verso la baia a sinistra. Costeggio due di queste anse e sono ancora una volta abbagliato dalle luci estreme, dai colori definitivi che mi offre questo mondo ultraterreno: il litorale costituito da pietre bianche, il lago turchino, le colline della penisola verde-cinerino e l'azzurro saturo di un nuovo cielo.

Dopo la seconda baia sono costretto a salire un colle e quindi raggiungere un ampio lido dove ci sono un paio di pescatori, degli uccelli marini. Un falco che si allontana. Da almeno mezz'ora sono nella parte dell'isola chiusa agli stranieri.

Nella stretta e selvaggia penisola mi sento più che mai libero, solo, fiero. Ma presto il sentiero che si inoltra tra boschi comincia ad assottigliarsi ed a moltiplicare le sue tracce. Cerco di seguire la via principale, con un occhio alla posizione.

Finito il bosco inizia un traverso tra pietre e cespugli mezzi secchi ed affilate piante grasse. Il percorso si frammenta ancora, inoltre il cammino rallenta causa la pietraia fatta da sassi appuntiti. Davanti ho una lingua sottile di deserto contornato da acqua dolce.

Sorpassato un poggio vedo il faro, il peduncolo del promontorio. Pochi passi e sono arrivato: due ore e quindici minuti dal villaggio di Yumani. Dal piccolo faro posso vedere le colline e le basse montagne della terraferma boliviana e peruviana.  

Un ultimo ricordo dell'escursione: per una parte di ritorno dalla penisola sono stato accompagnato dal suono del flauto di un pescatore invisibile nascosto tra i giunchi del lago. Le vibrazioni dello strumento aleggiavano dolci nell'aria austera ed enigmatica dell'Isla del Sol.

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martedì 30 aprile 2019

Le albe dalla Isla del Sol

Dalla stanza posta in cima al villaggio di Yumani ogni mattina ammiro l'alba che sorge dalla Cordillera.
Quando fuori i pendii umidi brinano, e la stanza dalle finestre esposte al sole riesce ancora a mantenere l'alito di calore del giorno passato, tra montagne di trapunte il mio volto si innalza per ammirare il nuovo mattino sulle terre alte del continente americano.

Scomparse le ultime stelle, il cielo limpido in alto è grigio piombo, diventando più chiaro e lattiginoso via via che si avvicina alle creste montagnose da dove sorgerà il sole.
Le pochissime nuvole sottili che vagano nella volta sono ancora cinerine, mentre le acque appena increspate del lago Titicaca riflettono qualche onda luminosa più dell'aria.
Aumentando la luce posso distinguere persone del villaggio che camminano silenziosamente in compagnia dei fedeli asini, i colori delle case, degli alberi, dei prati e della dirimpettaia isola della Luna.
Mentre la schiena avvisa i primi brividi di freddo, i raggi di un sole ancora invisibile proveniente dal caldo (querido) tropico boliviano rendono distinguibili i ghiacciai dalle rocce della Cordillera Real. Oltre il lago che non finisce mai, paradossalmente i monti appaiono incredibilmente limitrofi e vividi, forse perché perfettamente delineati dall'alba che sale. E il lago Titicaca, la Cordillera, il cielo dividono il mondo in tre parti distinte nell'aria rarefatta dei 4000 metri.
Un respiro forte, un sospiro ed il sole esce dalla montagna, illuminando il mio volto, il torace, il letto. Riempiendo di luce e calore la stanza sopra il villaggio di Yumani.
Cosa farà oggi il mio cuore ancora ammaliato dal crepuscolo che porta il giorno?

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martedì 23 aprile 2019

L'arrivo alla Isla del Sol

I colori totali, immutabili delle forme elementari entrano nell'anima. La luce abbacina gli occhi, il respiro è sempre alla ricerca d'aria. La barca che porta all'Isla del Sol parte lentamente dopo il controllo spurio dell'autorità militare boliviana di Copacabana. Tutti sanno che queste imbarcazioni piene di turisti, locali e merci spesso oltrepassano i loro limiti di portata.
I miei limiti di portata si sono estesi oltre l'immaginario: stanze che non superano i 12 gradi durante la notte, viaggi notturni lunghissimi, sveglie ad orari estremi, ubriacature infinite di dislivelli, l'altitudine vera.

La barca solca lentamente le acque tranquille del Lago Titicaca, con la brezza che viene sempre da nord-est, e la terraferma fatta da colline brulle, mucchi di alberi, rocce e qualche casa che si allontanano. Uccelli bianchi si confondono tra le piante acquatiche e le rive chiare.

In un'ora e venti siamo a Yumani, nella parte dell'isola aperta al turismo. Salgo velocemente il sentiero lastricato da pietre antiche alla ricerca di un alloggio. Oltrepassata una fonte d'acqua stupendamente sistemata, comincia la sequenza di donne che vendono prodotti artigianali provenienti da chissà dove, e asini che trasportano carichi troppo pesanti per loro. Senza convinzione chiedo qualche prezzo per dormire. Voglio giungere nel punto panoramico di Yumani, dove poter ammirare i due lati dell'isola.

Arrivato in cima alla costa un muratore, Leonardo, mi consiglia andare all'hostal Pachakuti. Nella cucina oscura dell'alberghetto incontro due donne; la più giovane mi mostra una stanza in alto, con tante finestre esposte al sole. Dico che voglio stare qualche giorno nell'isola e concordiamo per 35 bolivianos a notte, bagno e acqua calda inclusa. Il panorama dalla camera è una cosa incredibile, ultraterrena.



mercoledì 27 marzo 2019

Il sito archeologico di Pisaq

Il minivan per Pisaq parte da un dedalo di vie dopo calle Recoleta. Uscendo da Cusco, la città imperiale fondata a 3350 metri di altitudine, è impossibile non imbattersi in una miriade di siti archeologici. Passiamo vicino a Saqsayhuamán, per Q'enqo, fino a raggiungere i 3700 metri di Tambomachay. Il combi del trasporto pubblico sale ancora un poco per poi scendere nella valle Sacra a velocità illecita.
Raggiungo Pisac (Pisaq) in 50 minuti, passo a piedi il ponte sul fiume Vilcanota e qui ho la brutta notizia: per raggiungere il sito archeologico bisogna prendere il taxi. L'umore scende in basso. Un taxista mi domanda una cifra esagerata per arrivare alla meta. Neanche gli rispondo. Incontro una coppia di argentini che mi chiedono se voglio compartire il taxi con loro. "Massimo otto soles", propongo. L'autista approva. Partiamo. I due ragazzi sono di Mendoza. Simpatici come tutti gli argentini agli occhi e al cuore di noi europei. Mentre parliamo la strada risale una valle stretta ricca di fattorie e campi saggiamente coltivati. Da qualche parte risuona un ritmo downtempo dei Bent. Fatemi viaggiare all'infinito, così nel movimento incessante riuscirò a guadagnare la flebile speranza dell'immortalità.

L'entrata del parco archeologico di Pisaq ci accoglie sulla dorsale di una delle innumerevoli montagne che circondano la valle Sacra. Mi fermo qualche minuto a parlare con un incaricato che mi spiega la possibilità di raggiungere il villaggio di Pisac a piedi, passando per il sentiero ufficiale. 
Da questo lato della giogaia domino la valle sottostante, i sapienti e vasti terrazzamenti incaici e le diverse costruzioni antiche che si mimetizzano perfettamente con l'ambiente.
Dopo essere passato lungo delle fonti d'acqua mi arrampico per quello che probabilmente era un fortino. Da quassù il panorama è ancora più vasto: cime rocciose che digradano verso zone coltivate, i boschi di eucalipti e la valle irrigua.
Il sentiero che porta al pueblo di Pisaq si svuota totalmente dai gruppi turistici, rendendo giustizia all'austerità del sito e consentendo alla mente di poter vagare in solitudine tra natura e rovine.
Continuo a scendere passando per un angusto passaggio scavato nella roccia, una serie di torri, abitazioni con muri costituiti da pietre perfettamente incastrate a secco. E poi terrazzamenti dove ora cresce l'erba, i muri di contenimento e il vento delle Ande che passa tra i cespugli aridi. Mi muovo senza sosta. 





lunedì 11 marzo 2019

Tra le mura del Machu Picchu



sabato 23 febbraio 2019

Machu Picchu

Troppa umidità a Aguas Calientes. Troppo buon ossigeno a duemila metri, mi dice il centro del corpo.
Alle 3:40 anticipo la sveglia. Due esercizi essenziali, impacchetto lo zaino grande e lo lascio in un angolo della stanza. Alle 4:30 sono fuori.
La frontalina illumina per qualche metro un binario, poi la strada sterrata che conduce al ponte. Cammino veloce nell'aria fresca e appiccicosa. Decine e decine di figure si muovono nella stessa direzione. 

Almeno sessanta persone sono in coda davanti a me per il primo controllo. Alle 5 del mattino parte la macchina organizzativa di uno dei siti più visitati al mondo. 5:12, passo il ponte e comincia la salita verso il Machu Picchu. Il sentiero affilato si arrampica nel buio tropicale, dove sospiri e secrezioni umane si congiungono a richiami di animali alieni. Sorpasso molte persone, con la camicia che diventa velocemente fradicia, mentre il crepuscolo si accende intorno.
La prima luce illumina il sentiero, gli alberi con la rugiada e sagome di montagne aguzze. Un pellegrinaggio affollato. Da qualche parte si sentono gli autobus che cominciano a salire.

Sono le 5:52 e più 2400 metri di altitudine quando arrivo all'entrata del sito. Altra coda. Gente in maglietta si somma ai gruppi in giacca a vento arrivati prima col torpedone.
Alle ore 6 il Machu Picchu apre. Sono tra i primi 40 ad entrare. La passione e l'istinto mi indicano di dirigermi subito al Mirador. Un sentiero tra boschi bassi si inerpica dritto. Volo. L'americano che era salito con me ora sarà quasi in mezzo alla cittadella.
Il bosco si dirada, appaiono muri a secco del terrazzamento incaico. Salgo una scala di pietra, passo un prato eternamente verde e arrivo al View point-Mirador del Machu Picchu.
Sono il primo.

Con tanti metri di etere sotto i piedi e il cuore che riconosce quello che la memoria ha perduto, non posso che genuflettermi davanti a tale spettacolo. La volta attorno le creste lontane assume color lattiginoso, mentre in alto si fa grigia, via via azzurra. Sotto, a sinistra ma anche a destra, si vede la valle verdeggiante e profonda dove scorre il fiume Urubamba. E davanti...
Davanti ho la cittadella ancora deserta che porta il nome di Machu Picchu, protetta posteriormente dal Huayna Picchu. Muri costituiti da imponenti pietre a secco, portali finemente intagliati, rocce e terrazzamenti che scendono a precipizio verso il vuoto. Un fortino, un castello, semplicemente un luogo appartato e sicuro. Una visione unica, personale.
Un addetto al controllo stranamente socievole si offre di scattarmi le foto: "Ora che non c'è nessuno...", dice.
In direzione ovest montagne innevate cominciano ad essere illuminate dal sole della giornata più lunga.


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venerdì 15 febbraio 2019

Dislivelli intorno al Machu Picchu

Lasciami sognare la prima volta al Machu Picchu: il treno in seconda classe insieme alla gente comune e la salita con l'inseparabile Andrea. La cittadella, le montagne tropicali e non troppi turisti. Come la bruma densa che si leva tra le felci e fitti cespugli, l'oblio ha offuscato i ricordi di altre vite.
Lasciami sognare il ritorno al Machu Picchu: il viaggio troppo lungo, la fatica e l'alba sul Huayna Picchu. Primo al Mirador, carajo.

I sogni che non sembrano sogni cominciano una mattina naturalmente fresca a Cusco. Il minivan lentamente raccoglie le persone. Quasi tutti single, quasi tutti giovani, quasi tutti americani. Machu Picchu by Car, 55 soles, scontati. Niente treno.

Usciamo dalla convulsa e misera periferia di Cusco al preludio della Festa del Sole per salire nell'altopiano. La strada porta vicino a siti archeologici straordinari come Chinchero, Maras, e i vetri del combi che lasciano passare la luce forte, i campi cinerini coltivati a graminacee, lagune e montagne innevate che quasi conoscono l'aria dei seimila metri. Poi si scende in basso: lunghi tornanti ci gettano a picco verso una profonda valle, la valle Sacra.

Raggiungiamo Ollantaytambo dopo circa due ore. Sosta convenzionata, tanti altri minivan che nel pomeriggio raggiungeranno il sentiero che porta a Aguas Calientes.
Dopo aver scambiato due parole con una tedesca che accarezzava i gattini il viaggio continua.

Da Ollantaytambo, 2750 m, la strada asfaltata sale prima tra paesini agricoli ombreggiati da eucalipti per poi penetrare gole strette che nascondono cime imprendibili. Tornanti vertiginosi. In pochi minuti l'aria torna fresca, fredda, fino ad un passo a circa 4300. I prodromi della valle successiva sono inizialmente brulli, macchiati da neve nomade. La ragazza messicana del posto davanti finalmente si addormenta dopo tante parole con la vicina.

A Santa Maria, 1250 m, fa caldo. Qui comincia la strada sterrata che porta alla central Hidroeléctrica. Salita. Santa Teresa ci accoglie nel primo pomeriggio. Il conducente del combi ci indica il ristorante dove pranzare. Mangio in un altro posto. Acquisto qualche banana.

Alla central Hidroeléctrica, 1800 m, dopo più di sei ore di viaggio ed una ubriacatura infinita di dislivelli, la strada termina. C'è una stazione il cui binario porta a Aguas.
Il cammino comincia nel delirio di gente che parte, rientra, grida, venditori ambulanti e polvere.

Presto la persone si diradano, quindi posso assorbire il panorama subtropicale che mi circonda. Alberi alti dalle foglie enormi, sottobosco fitto, richiami di uccelli esotici.  Il sentiero che guadagna Aguas Calientes costeggia il binario del treno. Il fiume Urubamba, ormai quasi nell'ombra, scivola placido verso il basso, col sole a destra che illumina montagne affilate piene di verde fino alla cima. Da qualche parte, oltre le ripidità, c'è il Machu Picchu.

Una dozzina di chilometri di cammino e Aguas Calientes è vinta in un'ora e quarantacinque. La mia polo è completamente bagnata.

Prima del paese un ragazzo simpatico mi chiede se ho prenotato un alloggio. "No".
"Sono il nipote del padrone del Puñuy Wasi", dice.
"Vero?".
Chiedo altre due cose e con ottimo umore per la prestazione fisica, mi faccio accompagnare all'hospedaje.

Lasciami allontanare la fatica, la sete sconvolgente e riposare perché domani sarà una delle giornate più spettacolari di sempre. Prima però una passeggiata serale ed una birra Cusqueña negra, la più forte.


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sabato 26 gennaio 2019

Cusco


martedì 15 gennaio 2019

Pranzo al mercato San Pedro, Cusco

Tutta la mattina spesa nella sfarzosa plaza de Armas. Gruppi di bambini appartenenti alle diverse scuole sfilavano travestiti in onore della ricorrenza del Inti Raymi, l'evento più importante di Cusco. Le consumate mattonelle di pietra andina della piazza trasmigravano all'aria suoni di piccoli piedi che eseguivano movimenti antichi.
Un poco infreddolito dallo star fermo, a una manciata di giorni dal solstizio invernale, e con gli occhi ancora pieni di musiche, danze e colori delle comparse, mi muovo verso il mercato. Calle del Medio, Garcilaso, la chiesa San Francisco. Prendo stradine meno trafficate del centro eludendo inutilmente la moltitudine di turisti venuti in occasione delle feste. Ho fame.
Nella plaza San Francisco gruppi di piccoli studenti vestiti con abiti tradizionali vengono fotografati da genitori ed insegnanti. La calle Santa Clara rigurgita come sempre del rombo assordante degli autoveicoli e puzza di smog pesante, eppure, sì, la bellezza del tutto cancella le inezie.

Quasi mi posso considerare un nomade che ha messo sottili radici al Cusco, 3350 m, la città d'America.
Entro nella struttura architettonica del mercato San Pedro.
Il mercato è pieno di ogni tipo di persone: turisti locali e stranieri, ladri, mendicanti, avventori quotidiani, più qualche cane randagio clandestino. Passo il settore dell'artigianato, quello che vende jugos frescos, frutta e verdura, carne, formaggio, spezie, ed entro nel padiglione della ristorazione. Qui decine e decine di ristorantini offrono ogni tipo di alimento. Don choco ne ha provati diversi ed ora si dirige verso quello che ritiene migliore. Se arrivo all'ora di punta devo aspettare. Don attende qualche minuto, poi si libera uno sgabello. Metto lo zaino saldo tra le gambe, saluto la signora del ristorante che subito mi scodella un piatto di zuppa. Verdure, tra cui l'immancabile patata e la non scontata yuca degli amati tropici, si sommano a cereali e ad un quadrato di carne. Prendo un bel pezzo di carta igienica come tovagliolo e quasi immergo il volto nella pietanza calda. La figlia della signora sorride porgendomi un bicchiere di tisana. Accanto a me mangiano venditori, una coppia di ragazzi spaesati provenienti dalle montagne, qualche turista, gente normale. Nessuno parla. Sono a casa, come Ada nella sua Intro sfornata dalla Pampa.
Dopo aver chiesto il bis di minestra, per secondo opto per il lomo saltado con riso. Domando un altro bicchiere di tisana calda.

E' tempo di tornare nell'alloggio in Choquechaka. Porgo cinque soles alla signora del mercato San Pedro.
   
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