sabato 23 febbraio 2019

Machu Picchu

Troppa umidità a Aguas Calientes. Troppo buon ossigeno a duemila metri, mi dice il centro del corpo.
Alle 3:40 anticipo la sveglia. Due esercizi essenziali, impacchetto lo zaino grande e lo lascio in un angolo della stanza. Alle 4:30 sono fuori.
La frontalina illumina per qualche metro un binario, poi la strada sterrata che conduce al ponte. Cammino veloce nell'aria fresca e appiccicosa. Decine e decine di figure si muovono nella stessa direzione. 

Almeno sessanta persone sono in coda davanti a me per il primo controllo. Alle 5 del mattino parte la macchina organizzativa di uno dei siti più visitati al mondo. 5:12, passo il ponte e comincia la salita verso il Machu Picchu. Il sentiero affilato si arrampica nel buio tropicale, dove sospiri e secrezioni umane si congiungono a richiami di animali alieni. Sorpasso molte persone, con la camicia che diventa velocemente fradicia, mentre il crepuscolo si accende intorno.
La prima luce illumina il sentiero, gli alberi con la rugiada e sagome di montagne aguzze. Un pellegrinaggio affollato. Da qualche parte si sentono gli autobus che cominciano a salire.

Sono le 5:52 e più 2400 metri di altitudine quando arrivo all'entrata del sito. Altra coda. Gente in maglietta si somma ai gruppi in giacca a vento arrivati prima col torpedone.
Alle ore 6 il Machu Picchu apre. Sono tra i primi 40 ad entrare. La passione e l'istinto mi indicano di dirigermi subito al Mirador. Un sentiero tra boschi bassi si inerpica dritto. Volo. L'americano che era salito con me ora sarà quasi in mezzo alla cittadella.
Il bosco si dirada, appaiono muri a secco del terrazzamento incaico. Salgo una scala di pietra, passo un prato eternamente verde e arrivo al View point-Mirador del Machu Picchu.
Sono il primo.

Con tanti metri di etere sotto i piedi e il cuore che riconosce quello che la memoria ha perduto, non posso che genuflettermi davanti a tale spettacolo. La volta attorno le creste lontane assume color lattiginoso, mentre in alto si fa grigia, via via azzurra. Sotto, a sinistra ma anche a destra, si vede la valle verdeggiante e profonda dove scorre il fiume Urubamba. E davanti...
Davanti ho la cittadella ancora deserta che porta il nome di Machu Picchu, protetta posteriormente dal Huayna Picchu. Muri costituiti da imponenti pietre a secco, portali finemente intagliati, rocce e terrazzamenti che scendono a precipizio verso il vuoto. Un fortino, un castello, semplicemente un luogo appartato e sicuro. Una visione unica, personale.
Un addetto al controllo stranamente socievole si offre di scattarmi le foto: "Ora che non c'è nessuno...", dice.
In direzione ovest montagne innevate cominciano ad essere illuminate dal sole della giornata più lunga.


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