giovedì 7 dicembre 2023

Passione per La Graciosa

 

La Graciosa è il mio deserto, l’amore, lo stato di coscienza inalterato. Tanti giorni passati godendo ciascuna singola particella di presente, dove la consapevolezza si congiungeva e si disperdeva nell’anima della isola. Camminare, osservare, camminare, conoscere, rendere grazie. E ancora muoversi.

Sono due settimane che vago per sentieri incontrando quasi nessuno, facendo tacere la voce in favore del silenzio, dell’ascolto.

All’interno della riserva marina dell’arcipelago Chinijo, La Graciosa è una gemma di terra vulcanica che misura meno di dieci chilometri per cinque, all’estremo nord delle Canarie.

Questa mattina La Graciosa mi accoglie al meglio. Finalmente sono tornati i venti alisei. Il cielo turchese è profondamente intrecciato con innoque nuvole procedenti da settentrione. Esco dall’alloggio posto all’estremo est del villaggio di Caleta de Sebo e sono Dentro. Basta un passo e sono nella Natura. Oggi andiamo a est e poi a nord.

Prendo un sentiero che guarda dall’alto la costa tra radi cespugli di matabrusca e aulaga, un sentiero di sabbia che il vento ha rubato al mare. A sud, oltre lo stretto, scorrono le imponenti scogliere di Lanzarote, mentre a nord sono protetto dalle rocce scure che virano nel color porpora delle Agujas, la cui altezza massima giunge a 226 metri. La temperatura è ottima.

Avvicinandomi alle pendici delle colline e ai solchi tatuati nel tempo dalla rara acqua piovana, tra lievi avvallamenti il deserto permette la crescita alla tabaiba, a vigorosi cespugli di balancón, al matomoro. E alla pianta endemica favorita: la Kleinia neiirifolia, il verode.

Arrivato al barranco Conejos, entro nella sua fenditura e la discendo agilmente fino la mare. A sinistra ho il sentiero costiero che mi porta alle poche case di Pedro Barba. Proseguo brevemente fino alla punta est dell’isola e, mirando al norte, puntando a nord, sono salutato dagli alisei.

Le prima parte del sentiero si sviluppa tra aguzze roccette vulcaniche avare di vegetazione, mentre in lontananza vedo una specie di geyser che sputa acqua. Appena arrivato scopro che questo getto è provocato da un foro nella roccia nel quale le onde marine trovano periodico sfogo.

Proseguendo la costa verso nord, il paesaggio cambia decisamente: l’ambiente torna a essere sabbioso, con insenature dove possenti cavalloni dell’oceano Atlantico divenuto aperto offrono spettacolo senza fine. In lontananza si notano le altre piccole isole dell’arcipelago.

Il pellegrinaggio mi conduce fino a playa Ambar, quindi torno inizialmente per lo stesso percorso ma leggermente più nell’entroterra, passando accanto a una area protetta modellata da dune di sabbia. Sono da poco passate le 17, il momento che preferisco: nessuno in giro tranne qualche gabbiano felice, e la luce del sole inclinata. Visioni paradisiache.

Ritorno a Caleta de Sebo percorrendo un sentiero alto sopra il barranco Conejos, con il sole che discende a ovest negli occhi.

Nel silenzio del territorio e nel mio silenzio, al riparo dagli alisei, sento le onde lontane che si frantumano sulla costa vulcanica, i passi, e percepisco il sussurro delle essenze canarie, le mie piante. Una passione che non si estingue.

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sabato 4 marzo 2023

Fratelli argentini nel parco nazionale Los Alerces

 

Leo e Fer li conosco per caso. Stavo cercando un alloggio a Trèvelin, e mi fermo a chiedere in una cartoleria accanto la scuola. Ne esco almeno due ore dopo con la promessa di rivedermi con i due proprietari. Insieme alla Bolivia tropicale, Argentina è la Casa adottiva.

Ho da poco attraversato il confine cileno al passo del río Futaleufú.  Ho lasciato la regione dei Laghi cavalcando le Ande, immerso nei suoi panorami indescrivibili, e ora mi trovo nella provincia Chubut. Trevelin. Come mi conferma l’amico John da Coyhaique, anche se siamo a fine febbraio, il clima della Patagonia pacifica sta lentamente peggiorando, così pure la sua variabilità. Meglio spostare lo sguardo (e la passione) da sud a est, nella Patagonia argentina.

Sabato mattina sono sulla Ford di Leo e Fer per una nuova visita nel parco nazionale Los Alerces. Questa volta con due guide di straprima categoria. Avvicinandoci alla catena andina si nota come l’umidità influisca sulla vegetazione: in pochi chilometri essa si fa più rigogliosa e potente. Varchiamo rapidi il posto di controllo dei guardiaparco con lo status privilegiato di residenti e penetriamo una delle riserve naturali più affascinanti della Patagonia.

La strada divenuta polverosa costeggia laghi e laghi, mentre il socievole Leo racconta le diverse località dove hanno vissuto, Terra del fuoco inclusa, per poi decidere di stabilirsi a Trevelin. La cittadina è piaciuta a Fer e al marito; la vicinanza delle università per i figli e, non ultimo, la contiguità con il parco hanno portato la famiglia a fermarsi nella provincia Chubut. Il racconto viene spesso interrotto per informare riguardo i vari punti del territorio attraversati.

Le mie esperte guide si fermano in un parcheggio gratuito dopo la conosciuta passerella sopra il río Arrayanes. Portiamo l’essenziale: acqua, il binocolo e una carta per riconoscere la fauna. Il clima si sta faticosamente riscaldando, nonostante il  vento occidentale offra continui tappeti di nuvole alte.

Il sentiero che subito inforchiamo serpeggia tra saliscendi nei boschi sempreverde di sua maestosità il coihue, accompagnati da maitén, e dai tronchi chiari e levigati del arrayan. Odore di muschio e acqua. Camminiamo in ascesa fino al mirador alto sopra il lago Verde. Gli occhi spaziano da montagne di alberi a montagne innevate verso il Cile, al sottostante lago Verde che viene alimentato dal lago Rivadavia attraverso un fiume. Quando Dio ha creato la fabbrica dei laghi ha pensato a questi luoghi.

Poco dopo Fer indica il cielo, esclamando: “Guarda Estefano, due condor!”. I rapaci dalle ali superiori di color chiaro volano in moto circolare, in equilibrio perfetto con quello che li avvolge, allontanandosi verso l’alto.

Nella passerella sopra il río Arrayanes incontriamo molti turisti. Attraverso il ponte è possibile raggiungere il lago Menéndez e porto Chucao. Da questo porticciolo immerso nel bosco riconosciamo cigni dal collo nero, un veloce Martin pescatore e anatre australi.

Raggiunta l’auto viene estratta la borsa del mate, quindi andiamo a sorbirlo lungo la riva pacifica del lago Verde. Yerba mate prodotta da Fer, un yuyo speciale, tassativamente senza zucchero. Sto bene. Un nuovo fratello e una sorella.

 

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mercoledì 15 febbraio 2023

La carrettera Austral. Patagonia occidentale

Nella complessa trama del viaggio si sta tatuando un ulteriore intreccio, un intreccio alieno: la carrettera Austral.

Da ieri sono a Puerto Montt, da dove tutto parte. Cerco inutilmente di mettermi in contatto con la Kemelbus, l’unica impresa che coraggiosamente copre l’insidiosa tratta fino a Chaitén. Nessun risultato. Il biglietto si fa sull’autobus. Se si riesce a trovare un posto.

Mi alzo prima delle cinque e lascio l’insipida stanza con le pareti di compensato per dirigermi al terminal di Puerto Montt. Nonostante la stagione estiva, la temperatura è bassa e le nuvole oscure non propongono nulla di buono. I passi si replicano veloci.

Alle 6:35 sono nella deserta stazione degli autobus. Kemelbus è l’unico mezzo presente. Diverse persone accanto a quest’ultimo. Assumo un basso profilo: saluto un addetto, forse l’autista, consegno lo zaino, salgo subito e, nella nebulosità che si ha di prima mattina, scelgo un posto libero. Numero 13, finestrino. A metà del bus.

Poco dopo si siede accanto a me una ragazza. Scambiamo due parole. Lei possiede già il prezioso biglietto. Spero che nessuno reclami il sedile n. 13.


Poco dopo le sette, l’autobus accende il motore e parte. Gioisco. Mercoledì 15 febbraio 2023, dopo tanta insicurezza, sotto la pioggia pesante proveniente dall’oceano Pacifico che bagna questo lunghissimo peduncolo di cono sud americano, sono prossimo a uno dei percorsi più impervi del globo. La carrettera Austral.

 

A La Arena prendiamo il primo ferry. Scendiamo dal torpedone e veniamo immediatamente, al tiro, rapiti dai panorami e dai giochi delle nubi con il cielo. Qualche nuvola riesce a tingersi di luce chiara e si specchia nel mare. Non piove più. Poi ancora la terra, Contao, il parco nazionale Hornopirén, il verde dei prati, piccole chiese in legno, colline e continui saliscendi. Veloci.

A Hornopirén la velocità si placa: per il maltempo la strada che precede Chaitén è interrotta. Se non viene ripristinata si torna a Puerto Montt.

Una ora e cinquanta in uno stato di sospensione, e poi il chofer annuncia che si va avanti. Kemelbus parte pieno, lasciando delusi diversi giovani che volevano salire a Hornopirén. Il ferry ci aspetta.

 

Nonostante la stanchezza e la tensione che sta appassendo, con un bicho sconosciuto nel corpo, godo appieno tutte le tre ore e mezza di navigazione lungo l’incredibile fiordo che il traghetto lentamente penetra. Visioni di isole, uccelli marini, piccole insenature, fiordi laterali che svelano montagne innevate sopra la fittissima vegetazione della Patagonia occidentale. Mi perdo nella Natura, affondo e poi risalgo, lontano dall’equilibrio, e pienamente in esso. In un'altra precarietà, quella atmosferica, il sole stende i suoi raggi, e pare abbia non abbia voglia di nasconderli. Si  torna sull’autobus.

A Caleta Gonzalo salgono su Kemelbus diverse persone che rimangono in piedi. Abbiamo appena terminato il terzo e ultimo trasbordo dal barcazo alla terraferma. La strada dissestata che solca il bosco viene affannosamente migliorata dalle ruspe e dai mezzi pesanti. Costeggiamo un paio di laghi, voliamo sopra fiumi, e infine, a pochi chilometri dalla meta, le ruote riconoscono faticosamente il manto asfaltato.

Verso le ore 19 sono a Chaitén. 250 chilometri in 12 ore di viaggio. Siamo pressoché all’inizio della ruta 7, la carrettera Austral.

 

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sabato 11 febbraio 2023

Il sentiero della Desolazione. Regione dei Laghi. Patagonia cilena.

 

Saluto con affetto Andrés, Dominica e i loro due biondi bambini e prendo il bus per Petrohué. Sono nel cuore della fantastica regione dei Laghi. Sotto il cielo blu della Patagonia navigano nuvole veloci spinte dai venti occidentali.

Dopo aver passato un lungo percorso nel bosco del parco nazionale Pérez Rosales, il micro ci scarica a Petrohué. Subito mi registro nel centro del Parco, chiedo una mappa a un guardiano e imbocco il sentiero che porta al passo della Desolazione. 11,5 km e 5 ore, andata. Non so se ce la farò, nel pomeriggio devo tornare a Ensenada.

Il cammino è composto da terra vulcanica prodotta dall’Immenso Osorno e si immerge in un bosco di coihue che lentamente si diradano. Attraverso letti di torrenti asciutti che d’inverno sono fecondi d’acqua dolce e, di seguito, inforco il sentiero che sale a sinistra. Verso il passo.

Da un punto panoramico posso ammirare tutto quello che ci circonda: a est, verso l’Argentina, oltre il mare di coihue, si vede un ampio lembo dell’ampio lago Todos los Santos; a sud e a nord spiccano cime le cui sommità sono nascoste dalle nuvole, mentre a ovest comincia a delinearsi la Sua figura. Ma di lui parleremo quando saremo più in alto e più vicino. Nessuna visione del cerro Tronador o del Puntiagudo.

L’altopiano della Desolazione lo raggiungo con fatica dopo una serie di ripide ascese sulla ghiaia vulcanica. Nessun essere umano è visibile; solo cespugli, piccoli alberi, erba, piante succulente e rocce grigie. Lontano dalla massa di turisti nazionali, soprattutto santiaguinos.

Il cammino che porta al paso de la Desolación prosegue quasi pianeggiante; alla destra scorrono una serie di montagne selvagge coperte da alberi nella loro parte inferiore, mentre a sinistra sto girando attorno a Lui, 2650 m, ancora pieno di neve nella parete sud. Il vulcano Osorno. Una maestosità conica notabile a centinaia di chilometri di distanza. Probabilmente la montagna più bella di tutta la regione dei Laghi.

Il passo della Desolazione lo guadagno con un totale di due ore e quaranta minuti. Il luogo in sé sarebbe insignificante, se non fosse per la vicinanza del Osorno. Qualche persona sale dalla parte opposta, dal lago Llanquihue. Ci sarebbe molto da scrivere su questo grande lago, ma per adesso ci limitiamo a scendere da dove son venuto. Le cicatrici ormai sono rimarginate.

 

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venerdì 27 gennaio 2023

La Laguna Corazón. Los Ríos, Cile

 

Il micro mi lascia all’entrata della via sterrata che conduce alla riserva. Per raggiungere il paese di Liquiñe il mezzo ha percorso una strada che violava enormi estensioni di tessuto boschivo; poi il minibus è precipitato in una valle enorme, ricca di pascoli, acqua e piccole fattorie in legno.

La strada rurale in costante ascesa e il secco di gennaio preannunciano l’unico elemento poco piacevole del giro: la polvere. Il traffico locale è almeno ridotto a qualche scassato pick-up. Così immagino.

Il sole costante potenzia con vigore l’estate australe, mentre la vegetazione delle zone coltivate collinari offre poca ombra. Cammino spedito sulla strada bianca di polvere, con la ferita aperta nella gamba che quasi non sento. Sento invece l’avvicinamento di un mezzo pesante. Mi sposto. Quando il camion a pieno carico passa davanti alla mia figura si ferma. Tra i fumi di polverume qualcuno lassù mi fa il segno di salire. Bueno. Conosco così Javier, un camionista che sta prolungando una strada di montagna facendo arrampicare il suo Iveco per posti quasi impossibili. Quando siamo al vero accesso alla riserva, Javier mi propone di conoscere il lavoro che stanno operando. “Andiamo”, rispondo.

Dopo la registrazione e il pagamento dell’entrata sono sul sentiero che porta alla laguna Corazón o Ancacoihue (mapuche). Presto abbandono i pascoli per entrare nel bosco. Nei luoghi dove gli alberi si diradano si possono ammirare in lontananza le spettacolari cime del vulcano che fuma, il Villarrica, e l’argentino Lanín, 3770 m.

Altrettanto affascinante si sta configurando la foresta che lentamente penetro. Grazie ai cartelli in spagnolo e mapuche imparo a conoscere piante come il vigoroso tepa e la sottile quila. Il sentiero ora diventa quasi pianeggiante, con una conseguente discesa che porta… alla laguna. È uno specchio d’acqua a forma di cuore contornato da giungla temperata impenetrabile. Alberi maestosi di un bosco che appare primario si riflettono nel liquido calmo, duplicando la loro presenza quali custodi immortali del passato, della mia fugace presenza, e di quello che avverrà dopo. Alti, più prossimi al Cielo.

Percorro una breve traccia che costeggia la laguna Corazón, accarezzando le cortecce degli alberi antichi, tutti coihue, appartenenti alla famiglia delle nothofagaceae, essenze native di questa parte di Cono Sur americano. Rimango a lungo su una panca di legno di fronte alla laguna a scrivere e a riflettere quello che ieri mi ha raccontato un istruito giovane mapuche, sulla vita dei suoi antenati e la convivenza pacifica e non della loro gente con il potere statale.

Le gambe vorrebbero portarmi avanti, nella selva pulsante.


 

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domenica 15 gennaio 2023

Identità sfocate. Da Santiago alla Araucanía lungo la Panamericana

 

In pochi minuti la metropolitana mi porta dalla Universidad Catolica al Terminal Sur. L’autobus a due piani salón cama della Transantin sta aspettando.  786 chilometri sulla ruta 5 Panamericana. Salgo verso l’alto. Partiamo. Volo ancora.

Incorporo tutta l’aria che passa attorno mentre mi libro piano, respirando tutti i chilometri, uno dopo l’altro, con il piacere che non declina, nonostante la stanchezza. Scorrono San Fernando, Talca, Chillán, con i frutteti carichi di colori che omaggiano l’estate australe, lasciando indietro l’aridità e le devastazioni umane della periferia di Santiago. Il vento che viene dalla Patagonia si insinua tra le foglie di pioppo e olmo che brillano alla luce dello scudo luminoso.

Ancora una volta Mirando al Sur, guardando a sud, ammaliato dalla strada e dai panorami. Le Ande si nascondono ancora nella foschia della lontananza; i loro fiumi irrigano le coltivazioni e il mondo circostante.

Cosa ci sarà dopo il viaggio di oggi e quello di domani? Chi è quella anima che si dirige a sud? Dove sono le sue appartenenze e le sue identità? Tutto muta così in fretta, eppure mi sento tremendamente a mio agio, come se sempre avessi compiuto questo percorso, i molti percorsi.

Il sole lentamente si sposta a occidente, cambiando le ombre determinate dagli alberi e dalle case in legno, mentre un cartello in basso annuncia che mancano 118 chilometri a Los Angeles. 

La Panamericana continua a fluire sotto e dentro me.


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