venerdì 23 dicembre 2011

La costa atlantica della Patagonia

I sandali raschiano sassi ovali e terra color mattone. Davanti a me cespugli, colline, cielo e vento da ovest: ora tocco i panorami a lungo osservati dal bus. Le gambe conducono nella riserva del ría Deseado a Puerto Deseado, Patagonia centro-sud. Sulla sinistra un golfo ricco di isole e dell'incontro tra acqua dolce e salata (ría). In questi spazi brulli con alberi pressoche' inesistenti, l'acqua calma della baia riceve una moltitudine di volatili ed animali acquatici.
La terra mi entra nei piedi, ed in testa un delizioso e acido mantra dei Mogwai si combina perfettamente con il rumore dei passi. L’ambiente quasi desertico di cespugli spinosi in fiore, erba secca e sabbia potrebbe farmi immaginare l’incontro con un rettile velenoso, se non fossimo in latitudini altre. E poi il vento. Vento imperante che determina il volo degli uccelli, la dimensione e forma delle piante, la temperatura, l’erosione…
La pelle che ha assorbito il (caldo) tropico, in queste settimane incontra il clima duro delle pendici australi. Istintivamente sento quasi necessaria l’urgenza di essere purificato e contagiato dagli elementi atmosferici; insieme a lasciare dietro le cose e l’inessenziale, il cambiamento, la ricerca, sono tutte dimensioni spirituali del viaggio. Una spiritualita’ arcaica, naturale, inevitabile.
is quiDopo aver passato un'isola rocciosa ed arida, separato da un breve tratto di acqua vedo e sento l'isola Quiroga. Qui e' un brulicare di animali dai colori bianchi, neri e grigi. D'apprima riconosco i rumorosi gabbiani reali, poi distinguo con chiarezza i pinguini di Magellano. Questi ultimi sul terreno assomigliano a: 1. Statue gommose, quando sono fermi; 2. Piccoli zombie sperduti, quando camminano. Essi si muovono in fila tra i cespugli per poi fermarsi in attesa quasi di un comando alieno, o forse pentiti di tanta strada su quel suolo per loro difficile. Rimango a lungo ad osservare gli animali dell'isola, mentre nell'acqua e sopra passano cormorani, anatre e ostreros dai richiami dolcissimi.
Con l'odore di salsedine e di polvere e sotto la possanza del cielo d'America attraverso la steppa fiorita della Patagonia, incrociando lepri solitarie ed impassibili rapaci dal voloria des immobile. Cammino e cammino su sentieri inventati alla ricerca di nuova costa e dei suoi abitanti, con il respiro forte che sottraggo al vento.
Dopo aver attraversato un canyon che l'alta marea inonda parzialmente di acqua salata, arrivo ad una scogliera dove nidificano i colorati cormorani grigi. Ancora una volta contemplo animali, il mare verde, il ricco deserto privo d'ombre, i rivoli di polvere alzati dal vento. A pieno contatto con il mondo.

mercoledì 14 dicembre 2011

Nel Parco de los Glaciares, Patagonia

Siamo a El Chaltén, Patagonia argentina, nel Parco nazionale de los Glaciares. Per una manciata di giorni mi ritrovo con Marco e Matteo. Il primo e' un compagno di escursioni alpine con il gruppo di amici del SEI http://sei-i.blogspot.com .
Imbocchiamo eccitati il sentiero che conduce ai piedi del Fitz Roy appena fuori il paese di El Chaltén. Per ora la giornata e' limpida con un vento assolutamente piu' calmo del giorno precedente. Saliamo un percorso coperto da prati, cespugli e alti alberi di lenga. Camminiamo veloci, superando gruppi di escursionisti iper equipaggiati che quasi sorridono vedendo i miei jeans acquistati al mercato Mutualista di Santa Cruz de la Sierra e le (mitiche) scarpe BK trovate in svendita per 6990 pesos a Punta Arenas.
Molto presto si domina l'infinita valle rigata valleda un torrente di cobalto che porta alla frontiera cilena; ai lati del solco glaciale si arrampicano porzioni di verde e roccia che sfumano nel cielo d'America, il cielo piu' bello.
Dopo un'ora di cammino affatto ripido siamo al cospetto di una delle cime piu' spettacolari che esistano: 3400 metri di pareti di chiaro granito con ai lati e sotto ghiacciai e ancora ghiacciai. Il cerro Fitz Roy. Ai piedi della montagna rendono omaggio vallate sconfinate di alberi, cespugli, acqua e torbiere. Dopo una ripida e pietrosa salita arriviamo al punto panoramico sotto il cerro, la Laguna de los Tres. In alto svetta la Montagna che Fuma, il Fitz Roy, con nuvoleFR lievi che le fanno il giro nella parte sommitale; a sinistra si ammira la ripida parete del Poincenot ed in basso due lagune create dai ghiacciai arretranti. Ogni tanto si ode un boato di ghiaccio che si getta nel vuoto. Nonostante l'esigua altitudine, il vento da ovest penetra con insistenza nella pelle, comunicandoci che la visita presso sua maesta' e' ormai conclusa.

martedì 6 dicembre 2011

Parco nazionale della Tierra del Fuego

Il minibus mi lascia sulla strada sterrata nelle vicinanze del sentiero Pampa alta, nel cuore del parco. Oltrepasso gruppi di turisti che scendono dal trenino panoramico e, dopo un chilometro, imbocco il sentiero. Nonostante l'estrema variabilita' del tempo, da ore il cielo e' coperto da uno strato di nuvole persistenti. In assoluta solitudine comincio a salire lungo il percorso ben segnalato da listelli gialli; all'inizio penetro un bosco fittissimo di piante giovani, poi la foresta si apre, mostrando grandi piante di lenga e coihue (faggio australe) sempreverde. In alto il vento si intrufola fra i rami muovendoli e provocando scricchiolii dei piu' disparati. Con attorno gli alberi che discorrono tra loro salgo lentamente la collina respirando muschio, fiori e mare. La temperatura e' cosi' dolce che rimango in maniche corte.
Sulla sommita' della collina il panorama e' mozzafiato: a sud il canale di Beagle e lert montagnose isole del Cile; a nord cime rocciose parzialmente innevate ricoperte a meta' da foreste e verde. Ma e' a ovest dove gli occhi e la mente incontrano il massimo piacere soffermandosi su picchi e ghiacciai della cordillera di Darwin. Quest'ultima estremita' del sistema andino raggiunge altitudini prossime ai 2500 metri.
Nella discesa incontro delle specie di lagune che hanno qualcosa di strano; infatti a valle sono sbarrate da tronchi, rami e terra, creando piccole pozze artificiali punteggiate da tronchi di alberi morti per asfissia. Sono opere edili compiute dai castori, specie introdotta incoscientemente dall'uomo. La foresta si sviluppa a macchie: zone di alberi deceduti e coricati cui sui tronchi semidecomposti crescono nuove giovani essenze. In altri punti crescono gruppi di alberi giovani e meno giovani. Il ciclo naturale del bosco lo si osserva chiaramente, come si nota l'assenza di alcun presuntuoso intervento umano.
Il sentiero costiero e' forse il piu' affascinante perche' percorre una baia rocciosa del canale di Beagle, tra alberi ed attivi volatili. E' qui, sopra un basso scoglio erboso, che decido di consumare il mio pranzo al sacco. Lo scarso vento mi permette di rimanere pacificamente ad osservare gli alberi, il mare e le montagne. Sopra l'acqua 5volano gabbiani, cormorani australi, anatre e oche del Kelp. In lontananza scorgo due grossi petrel che volano ad una velocita' ed una grazia incredibile senza praticamente muovere le ali lunghe e sottili. "Hanno quasi piu' stile dei rapaci", mi dico. Nonostante il sole sia quasi inesistente, la temperatura supera i 15 gradi.
Proseguo la camminata della senda Costera, passando alberelli a foglie laminate dai fiori rossi, i notros, cespugli di calafate e di ribes selvatico, con sopra alberi di lenga, ñire e coihue modellati dal vento.
Tra rocce e spiagge di sabbia scura trascorro le ultime ore nel parco della Terra del Fuoco. Anche se la giornata in questa stagione di fine primavera e' molto lunga, prima o poi mi tocchera' tornare ad Ushuaia.

martedì 22 novembre 2011

Alla fine del mondo: destinazione Ushuaia

Ancora pascoli e vento e rari alberi. Di nuovo sull’autobus verso Sud. Questa volta il mezzo e' tadella compagnia Tecni-Austral ed e' decisamente meno confortevole di quello a due livelli della Andesmar sul quale ho vissuto un giorno e mezzo. L'autobus ha il vetro anteriore schermato da una rete metallica come protezione dalle pietre della strada sterrata. La destinazione invece... ovvio, e' la fine del mondo.
Le immagini che scorrono fuori dal finestrino sono simili a quelle viste da Comodoro Rivadavia in giu': colline, animali, cielo e vento proveniente da nord-ovest.
In fretta raggiungiamo il confine cileno dove si perdono molte decine di minuti nelle pratiche di immigrazione. Un addetto del bus mi confida che le ore per raggiungere Ushuaia saranno 15 e non 12. Questa e' la destinazione: la citta' piu' a sud del mondo.
Poco dopo essere entrati nel territorio cileno il mare comincia a vedersi sul lato sinistro; in breve la strada si infrange sull'oceano dello stretto di Magellano. Causa il vento cheem supera i 120 km orari il ferry non effettua il servizio di trasporto. Bisogna attendere che le condizioni siano piu' favorevoli. Nel frattempo usciamo ad ammirare il severo passaggio delle antiche rotte navali verso il Pacifico. Se non fosse per il vento, la temperatura sarebbe piacevole.
Ad un certo punto arriva il ferry ed in 20 minuti siamo sulla isola Grande della Terra del Fuoco. Si'.
Sulla pista sterrata i vetri del bus della Tecni-Austral vedono morbide colline, pecore e guanachi, prati e ciuffi di cespugli dagli estremi rinsecchiti. Nelle vallate scorrono TFtorrenti color etere contornati da piccoli fiori. In alcuni momenti mi pare di stare in quei minuscoli eden che si scoprono sopra i 2000 metri sulle Alpi; le iridi si adagiano piacevolmente su tali orizzonti. Come nella querida Santa Cruz in alto le nuvole proseguono a gareggiare tra loro.
Passata la frontiera argentina torna la strada asfaltata e, con essa, la Ruta Nacional 3.
Dopo le ore 22, quando la luce australe comincia decisamente ad abbassarsi, insieme a fitte foreste scorgo il grande lago Khami ed i picchi innevati che rendono eccezionale il sud della Terra del Fuoco. Le valli sono bagnate de torbiere ed acqua senza fine.
Sono le 23 passate quando i piedi toccano l'asfalto di Ushuaia alla ricerca di un alloggio economico. La Ruta Nacional 3 ha da poco oltrepassato i 3050 chilometri; il mio corpo li conosce tutti, uno per uno.

venerdì 18 novembre 2011

Rotta Australe: da Buenos Aires a Río Gallegos

Arrivo nella stazione Retiro di Buenos Aires in un tardo pomeriggio di piena primavera. Il terminal dei bus e', come sempre, pieno di viaggiatori e di autobus a due piani che si irradiano in tutte le arterie della nazione. Il mezzo che mi condurra' a Río Gallegos e' della compagnia Andesmar. Il viaggio che sto per intraprendere e' il piu' lungo che abbia mai percorso. Buenos Aires-Río Gallegos: 2600 chilometri sulla Ruta Nacional 3, dal Río de la Plata alla Patagonia del sud, a 50 chilometri dallo stretto di Magellano. 
Il mio posto a sedere e' quello panoramico del piano superiore del bus. Lasciamo alle 20 passate una Buenos Aires con il tramonto appena consumato, passando per Puertobs as Madero e poi verso sud, inforcando la Ruta Nacional 3 (RN3). Al Sur.
Scorrono veloci i chilometri nel buio stellato, con ancora i riverberi della piu' affascinante capitale dell'America del sud. Accanto a me e' seduta una ragazza danese con la quale comincio a discorrere. Poi arriva il pasto ed un buon bicchiere di vino di Mendoza. Quando si chiudono tutte le luci del bus osserviamo in silenzio il nastro asfaltato che scorre sotto di noi.
Il preludio dell'alba ci accoglie a Bahía Blanca con il vento proveniente dall'oceano ed i gabbiani che sfrecciano nella prima luce. Con la musica dei Cinematic Orchestra nella mente e gli occhi piantati sulle due corsie della strada ornata da minuscoli fiori gialli, nasce un nuovo giorno di viaggio. E' una cosa impossibile da spiegare, eppure qui, nel piano rialzato del bus, con il mondo perfettamente diviso in due colori, di cui uno -quello verde- partito a meta' dalla riga d'asfalto, la monotonia e' oggetto alieno; il sangue ramingo annega di piacere nella strada e nel movimento, assaporando la pat3lentezza e godendo l'interminabilita'. Attorno al bus della Andesmar scorrono mari di praterie e di cespugli. Il cielo tagliato da ombre di nuvole sottili preannuncia una giornata di sole. Ad un certo punto, ad un lato della carreggiata, vedo un autoarticolato immenso coricato su un lato: come il suo conducente pare che stia riposando sui prati della infinita Patagonia.
Sebbene la Patagonia argentina fosse iniziata dopo il río Negro, e' al solcare la provincia Chubut che vediamo i cartelli che annunciano questa immensa zona.

Dopo 24 ore di viaggio il cartello sulla strada segna 1752 chilometri; parecchio piu' avanti il crepuscolo si adagia sui pascoli bitorzoluti della Patagonia centrale. Lame di raggi di sole attraversano il panorama frustato dal vento. Río Gallegos dista ancora 870 chilometri.

Il giorno dopo, alle 8 del mattino, arrivo a Río Gallegos: 36 ore precise di viaggio non-stop; sono stanco ed eccitato. Fuori dal bus della Andesmar il fiato fuma leggermente, il vento e' forte, ma si capisce che la giornata sara' abbastanza mite.

venerdì 4 novembre 2011

La pelle (assorbe il tropico)

La pelle è la spugna sul mondo.
Esce ora dalla mia abitazione ancora rinfrescata dai sospiri della notte e dagli aliti del ventilatore, per scontrarsi con l'inevitabilita' dell'aria bollente di Santa Cruz. L'epidermide cozza con i rumori dei micros, dei clacsons, delle voci e dei lavori alle otto del mattino. La pelle incontra altre pelli che si approssimano quasi a venir a contatto, vede gli ambulanti di salteñas, yuca e empanadas, di refrescos, sentendone gli odori emessi; percepisce il brontolio continuo del viale Cañoto in avvicinamento.
Dopo aver goduto dell'ombra degli alberi, delle tettoie e dei palazzi, l'epidermide avverte la presenza dei raggi solari: come puo' essere il sole delle otto tanto terribile? Gia' il fumo nero ed il braccrumore dei micros bianchi e verdi avevano fatto abbassare il suo umore, ora si aggiunge il sole dei tropici americani. Sì.
Percorrendo la calle Mexico le labbra della pelle salutano la signora dei computer, il dito della pelle saluta il portinaio di un palazzo ed il signore delle arance. Quest'ultimo risponde con un: “Buen día don Choco”, e comincia a spremere gli agrumi. L'epidermide assorbe il tropico assorbendo il succo delle arance di Yapacaní, e con esso l'u(a)more comincia a salire. E il rumore, e le persone che quasi ti vengono addosso, ed il caldo portato dal Norte, e le auto che non fanno attraversare la strada, e tutto, sembra davvero meno aspro.
La pelle supera il viale, poi risale la Cuellar evitando rifiuti scodinzolanti al vento, ignorando le ondate di urina che traspirano dai muri, emettendo sudore e cercando l'ombra magra verso la calle España. Le orecchie della pelle incontrano anche oggi la voce conosciuta dello strillone dei giornali.
Prima di salire sul micro 57 la temperatura che si legge sull'orologio attaccato alla pelle segna 35 gradi. Nel mezzo pubblico probabilmente quel numero salira' di un grado, ma l'epidermide sa che il piu' difficile sta passando.
Così la pelle assorbe il tropico (che ama).
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lunedì 24 ottobre 2011

I colori della Bolivia che guarda alla biodiversita'

Dopo quasi un mese torniamo a Cuevas, con le Ande tutte intorno,  a 1100 mt. di altitudine. Quando giungiamo con la jeep in prossimita' dell'istituto scolastico del paese ci rendiamo conto che ci aspetta un evento importante. Infatti, per il primo concorso pittorico “Prendiamoci cura della biodiversita'” promosso dal nostro progetto di cooperazione, la scuola ha fatto le cose in grande: autorita', impianto audio, esposizione dei lavori e rinfresco.

Anche questa volta salutiamo l'umida e querida Santa Cruz con il buio del vergine mattino. Dovevamo partire il giorno prima per combinare la visita con il piccolo istituto di Tres Quebradas, ma le piogge cadute su tutto il dipartimento hanno fatto franare parte della lunga pista sterrata che porta al paesino. Durante il viaggio ancora per una volta assaporo i pascoli e gli alberi di tropico ringiovaniti dalla pioggia, le ondulazioni del paesaggio, le montagne rosse del Bermejo ed i panorami quasi scozzesi delle colline sopra i 1200 metri di altitudine che portano a Samaipata.

Insieme a Liliana e Fabiola veniamo subito accolti dai quasi 200 studenti e dal direttore di Cuevas che immediatamente propone il programma della mattinata. Tra gli ingredienti ci sono l'inno nazionale con alzabandiera, discorso delle autorita', costituzione della giuria, visione degli elaborati artistici divisi per classe e premiazione dei vincitori.
Sotto e dentro le montagne d'America, e con l'aria frizzante attorno a noi che sapora di festa, partecipiamo con passione all'evento. cuev
I disegni a contenuto ambientale sono davvero interessanti, rendendo difficile l'elezione dei vincitori. Sono elaborati che propongono una maggiore responsabilita' verso la Natura, contro gli incendi che distruggono animali e piante, l'importanza della diversita' biotica, contro l'abbandono dei rifiuti e altro ancora: disegni fatti con passione e con coscienza.
Viene quindi scelto e premiato uno studente per classe; qualche bambino si mette a piangere per la delusione di non trovarsi tra gli eletti. Anche i ragazzi piu' grandi partecipano con disciplina ed interesse.
Prima di lasciare la scuola e gli studenti consegniamo del materiale didattico cartaceo e digitale al direttore perché venga utilizzato dai professori durante le loro lezioni.

lunedì 10 ottobre 2011

Insieme agli studenti nei boschi tropicali di Avaroa

La partenza avviene da una Santa Cruz ancora immersa nel buio. Liliana passa a prendermi con la jeep grigia del CEPAC presso il quartiere Panamericano. Inforchiamo il viale Centenario e passiamo da Radio Alternativa dove ci aspetta Fabiola. Nonostante il mattino presto percepiamo che ci attende un'altra giornata torrida.
Con scarso traffico usciamo dalla metropoli fino ad assaporare gli immensi pascoli bagnati da un sole infuocato che attorniano la citta' della Croce potenziata.
Una strana coincidenza attende il nostro viaggio verso Avaroa: 150 chilometri di asfalto e 17 di pista sterrata; gli stessi precisi numeri per arrivare a Tres Quebradas, la  scuola che visitammo in settembre. In cambio adesso non dobbiamo arrampicarci tra le pendici delle Ande ma dirigerci verso nord e poi ad ovest, costeggiando il lato sud del parco Amboró.
Proseguendo per la strada che porta a Cochabamba passiamo circYapacaní e dopo 27 chilometri arriviamo a San German; in quest'area un'operazione della polizia due mesi or sono ha sequestrato piu' di una tonnellata di cocaina.
E' proprio da S. German che entriamo nella zona di boschi e pascoli tropicali per dirigerci a Moile-Avaroa. Pochi chilometri dopo aver imboccato la strada sterrata veniamo fermati da una fune metallica che blocca la strada. Con uno scarno spagnolo il signore del controllo, immigrato dall'altopiano, ci chiede soldi per poter transitare. In realta' questo casello illegale                          –dicono realizzato dai narcotrafficanti- ha lo scopo di monitorare le entrate dall'unica strada di accesso alla zona del Moile. Proseguiamo abbastanza velocemente lungo la pista polverosa ben livellata, incontrando qualche jeep ed un paio di scassati camions. All'avvicinarsi delle montagne del parco Amboró il panorama diviene maggiormente ondulato mettendo in mostra alberi, smilzi torrenti e qualche casa.
La scuola di Avaroa è posta su una collina dalla quale si colgono ulteriori visioni di tropico.  I ragazzini che ci attendono in questa lontana comunita' sono 26. Due gli insegnanti. Zero corrente elettrica.
Il mio gruppo inizia con una presentazione da parte dei singoli studenti ed una breve introduzione al nostro programma didis educazione ambientale. Scorrono accompagnate da disegni, domande e idee le tre ore insieme a questi ragazzini seri. Tra loro mi colpisce Moira, una bambina minuta con la coda di capelli color pece ed una intelligenza particolare. Prima di uscire dalla scuola le dico: “Cerca di studiare perché sei molto brava”. Lei mi guarda, poi si incammina lungo la strada bollente  in direzione di casa.

giovedì 22 settembre 2011

L'educazione ambientale tra le preande dell'Amboro'

Giovedí e venerdí scorso con le colleghe della ONG boliviana CEPAC Marlene e Liliana abbiamo iniziato una parte della campagna di educazione ambientale nelle scuole. Partendo da una calda Santa Cruz la mattina presto, assaporando panorami collinosi e poi le preande a ovest della metropoli della croce potenziata, dopo quattro ore e mezzo di jeep abbiamo raggiunto la prima scuola. Questa  struttura semplice si trova nella localita' Tres Quebradas/Hierba Buena, un piccolo villaggio a 1100 metri di altitudine circondato da montagne sulle quali si arrampicano i boschi del parco Amboro'. Nella stretta valle che porta a questo pueblito scorre un fiume, si vedono zone coltivate ad ortaggi ed una strada sterrata rigata da torrenti che in questa stagione secca paiono ruscelli. Gli abitanti della frazione impiegano ore per raggiungere a piedi la strada asfaltata ed i mezzi a motore sono molto scarsi.
Discesi dalla jeep subito siamo stati accolti dai ragazzini e dagli insegnanti. Attorno alla scuola e alle abitazioni il boscosdfas semiumido tropicale palpitava di vita e di rumori lontani. Dopo i saluti iniziali abbiamo riunito in un'aula i circa 40 studenti di diverse eta' per presentare il nostro progetto sulla biodiversita' e la responsabilita' ambientale. Le tre ore trascorse insieme a questi studenti attenti e timidi sono volate tra visualizzazioni di slides, la realizzazione di giochi e dinamiche, mentre il cielo dei tropici passava, in alto, tra le cime gonfie di verde e di verginita’.

Dopo la trasferta nella bella cittadina di Samaipata per effettuare alcune visite, il giorno successivo abbiamo raggiunto la localita' jovedi Cuevas. In questo caso la scuola era grande, quindi ognuno di noi ha seguito un differente gruppo di studenti. A me sono toccati quelli piu' grandi, con eta' tra i 14 e 16 anni. Nonostante il loro numero e l'eta' adolescenziale, sotto il caldo tetto a vista di eternit dell'aula, i ragazzi si sono dimostrati attenti e partecipativi. Come diverse scuole di periferia, l'istituto si trova in condizioni  critiche: nell'aula dove ho compartitoescuel l'educazione ambientale il tetto di cemento-amianto aveva alcuni buchi, i banchi decisamente usurati, la lavagna era rotta e per cancellare usavano un pezzo di carta accartocciato. Nonostante tutto la reattivita' e la freschezza di parecchi giovani, sommata all'iniziativa di qualche insegnante, possono far sperare in un futuro piu' limpido.

lunedì 29 agosto 2011

Le nuvole dentro Santa Cruz – Panorami metropolitani

Anche se nessuno lo sa, le nuvole gareggiano tra loro nel cielo. Non è una competizione insana come avviene più in basso tra scatole di latta a motore, ma un divertimento appassionante. I globi con maggiore esperienza cercano aliti propizi di corrente con lo scopo di guadagnare qualche metro rispetto ai loro compagni, tuttavia l'impresa risulta non facile. Il Norte è troppo maledettamente uniforme, e l'America è il luogo dove si celebra il viaggio per eccellenza.
Dopo la cavalcata sul mare di foreste e sui coralli montagnosi che lentamente si innalzano verso ovest, le nuvole sono al cospetto della Città. Là sotto è sabato pomeriggio e tutto pare più tranquillo. Meno micros e clacson in giro, meno esseri a due zampe che inseguono l'affanno: sono condizioni favorevoli per abbandonare per qualche minuto il gioco della velocità nel cielo e osservare quello che succede in basso. 

 
Due milioni di abitanti, la stessa quantità di bancarelle nei mercati, decine di migliaia di pick-up e tanti cani liberi. Bianca SCZcome le pareti delle case, verde come i pascoli immensi che la circondano, marrone di tetti e di sabbia su cui è fondata. Negli alberi dei suoi viali le nuvole si ammantano di giallo, arancione, malva, rosso, impregnandosi di pollini e di aromi straordinari; incontrano piccoli gruppi di pappagalli verdi il cui suono acido arriva in alto, vedono le piastrelle esagonali delle strade che portano al centro.
Anche se in basso il vento del Norte ha aumentato la sua intensità causa la distruzione della riserva forestale del Choré, passato il tercer anillo le nuvole scendono di quota per osservare da vicino il nucleo di Santa Cruz. Qui cominciano i palazzi dei benestanti, i semafori, le ville chiuse da muri con filo spinato elettrificato, le case a quadrilatero con il patio centrale, i locali del divertimento. Qui si raccolgono anche ragazzi di strada che sniffano colla, prostitute e uomini sventrati dalla vita. Sulle chiare strade pavimentate scivolano tranquilli mezzi a motore, mentre negli angoli più oscuri odoranti di orina piccoli vortici trasportano un insieme di carta, sabbia, plastica.
E' sabato pomeriggio con il sole tropicale in ritirata verso altri mondi ma ancora ricco di calore, e dai cortili inizia la preparazione del rito della festa: sedie di legno poste in circolo, pentole ricche di cibo, pile di piatti di vetro, musica a livelli pornografici, pornografiche quantità di alcol che nei casi migliori dura fino alla luce del giorno successivo. E sbornie e balli infiniti.
Ora le nuvole passano radenti il campus dell'Università autonoma, attraversano il primo anello e sono nel cuore della metropoli. Risalgono la breve pendenza della calle Junín contando le sue piastrelle dai sei lati e le case basse dai tetti sporgenti sorretti da colonne in pregiato legno tropicale. Quasi al termine della via ci sono un paio di alberghi dove dei giovani europei venivano a passare il fine settimana; gli occhi delle nuvole respirano ancora i sentieri raminghi dei loro amori e l'eroica solitudine che impregnava i loro corpi magri. Mai sarà dimenticato tutto questo.


In un soffio i globi sono sopra la piazza principale. Vedono palazzisczplaza chiari in stile coloniale e quasi toccano le guglie della cattedrale. Con addosso il profumo dei fiori di frangipane, quando ormai si trovano tra la calle Sucre e la René Moreno, le nuvole prendono quota senza distogliere l'attenzione dall'epilogo del centro cittadino, dove forse si raccolgono gli angoli più belli della metropoli.
Le ultime occhiate sopra la Città della Croce potenziata sono destinate ai locali più alla moda a sud, tra il primo e secondo anillo, di seguito le nuvole veleggiano definitivamente in alto. Ora possono tornare e dedicarsi alle loro pazienti competizioni, in attesa che il cielo d'America le accompagni verso nuove mutazioni di mondo.

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mercoledì 10 agosto 2011

Le nuvole sopra Santa Cruz – Panorami di preludio

Le nubi generano un lungo sospiro quando intravedono la Città della Croce potenziata. Si sa che esse preferiscono le montagne, le foreste, i fiumi e gli animali, ma per questa città riservano un sentimento di affezione proveniente da lontano.

Prima di giungere a Santa Cruz i globi immacolati hanno conosciuto cittadine come Warnes e Montero, passato una moltitudine di corsi d'acqua, tra cui primeggia il rio Piraí; tappeti di pascoli infiniti con fattorie, panorami di alberi tropicali e bovini a scelta, visioni di piantagioni di canna da zucchero e di stabilimenti dell'agroindustria, di strade asfaltate e strade marroni. Immerso tra le palme e i prati ad un certo punto spunta il rettangolo scuro dove risiede l'aeroporto Viru Viru; anche se non è nulla rispetto a quello conservato nella memoria delle evoluzioni nuvolose, i viaggiatori che qui atterrano hanno assaporato piacevoli visioni.

Quasi tutti siamo a conoscenza del potere omnisciente delle nuvole, tuttavia qualche giovane paffuto virgulto non ancora bene formato, vedendo quello che gli scivola sotto, potrebbe perifimmaginare che il vento del Norte riservi loro la savana secca del Chaco e poi le lunghe terre del sud. Invece la Città de la Sierra, la metropoli costruita sull'erosione naturale delle montagne, arriva come giungono i fenicotteri nel documentario musicato magistralmente dai Cinematic Orchestra.
www.youtube.com/watch?v=3smd5Ni3C0g

Le nuvole volano alte nell'empireo con il vento e gli uccelli e le stelle come compagni, eppure non riescono a scorgere la fine del conglomerato urbano che si dipana laggiù, in basso. All'inizio sono i nastri  d'asfalto che diventano sempre più trafficati, poi le fabbriche, i magazzini, i distributori di combustibile e case basse disposte a mosaico da un architetto fantastico. Già dalla periferia si intravedono molti puntini a due zampe in costante evoluzione: vendono in strada qualsiasi cosa possa risultare commerciabile, salgono e scendono dai micros, suonano il clacson, entrano nei supermercati, attendono un amore perduto, offrono piacere vuotato d'amore in cambio di denaro, controllano le ville e i condomini alti dei ricchi per pochi denari, cercano una vita nuova o ingannano la propria sfortunata esistenza. Si muovono come formiche ubique assetate di qualsiasi bene. Sono le stesse formichine che a nord, ad est ed a ovest divorano foresta  senza fermarsi. Alle nubi immacolate piacciono poco gli uomini. Quasi per nulla.

Il vento proveniente dall'Amazzonia boliviana riesce a spazzare via l'umidità e lo smog che aleggia sulla Città della sabbia, permettendo alle nuvole di dominarla meglio dall'alto: ecco i suoi anelli concentrici, le sue strade larghe ed i suoi alberi in fiore. Ecco i tetti di tegole marroni imbrunite dal tempo e dai licheni, le lamiere e i teli dei suoi mercati rionali.
 
Prima, non tanto tempo fa, era solo il segundo anillo, poi, per quei giovani europei colmi di vita dai capelli lunghi era il tercero, ora sono quasi una decina gli anelli che circondano Santa Cruz.
E' il preludio della città.

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lunedì 25 luglio 2011

Le nuvole prima di Santa Cruz – Panorami di tropico umido

Dalle nuvole si osserva bene il mondo. I venti regolari dell'America offrono immense visioni e lunghe cavalcate alle amiche nubi. Nella stagione invernale la supremazia del Norte viene a volte minacciata dal Sur, il vento dell'Antartico che raggiunge ed oltrepassa Santa Cruz per spegnersi ai bordi dell'Amazzonia, dopo aver percorso un tragitto lunghissimo che tutte le nuvole vorrebbero compiere.

Bisognerebbe chiedere a questi globi informi che volano rapidi sul mondo dove nasce il Norte. Forse le nuvole non saprebbero rispondere con precisione, ma sicuramente racconterebberonub cosa vedono da lassù. Centinaia di chilometri prima della Città della Croce, l'immacolato colore delle nuvole rimane impregnato di verde e marrone: sono le foreste e i pascoli che vengono solcati da fiumi torbidi di sabbia delle Ande indirizzati verso il Mato Grosso e poi ancora verso sud.
Le nuvole accompagnate dal Norte vedono passare a ponente quello che gli uomini chiamano Chapare, un'area ricca di montagne impervie con una diversità di vegetazione ed animali straordinaria, quando non violentata dagli stessi esseri a due zampe che si considerano scioccamente i padroni del mondo. E' qui, nelle montagne umide del Chapare, che diverse sorelle nubi si tramutano in acqua.

Entrando nel dipartimento di Santa Cruz le cose cominciano a cambiare: ad est continuano le corrugazioni che prendono il nome di cerro Amboró e cerro San Rafael, un Parco nazionale dove vivono ancora puma e giaguari, tucani, orsi, colibrì e tanti preziosi alberi; i corpi nuvolosi più in là scorgono le montagne rosse di Samaipata e la zona di Vallegrande dove è morto trucidato il Che Guevara.
Sotto di loro passano cittadine come Yapacaní, cresciute troppo in fretta grazie all'immigrazione incontrollata dall'altopiano; attorno ai centri abitati -e per centinaia di chilometri- ci sono infiniti appezzamenti di terre coltivate che hanno preso il posto della giungla arretrante.
Anche se cavalcano veloci veloci il vento del Norte, le nuvole non perdono la visione di paesi come San Carlos e Buena Vista, popolati da altra gente, gente del tropico. Esse sanno che qui diversi giovani europei hanno lasciato il cuore; ci sono ancora i resti dei loro spericolati passaggi e l'alito delle loro emozioni invincibili. I loro amori saranno per sempre.

tajiInvece a ovest, sì, a ovest si esprime al meglio l'essenza di questa terra Camba, con gli alberi panciuti toborochi, palme motacú e piante immense come il tajibo rosado che a luglio colorano le nuvole di viola e arancione dei loro fiori. Qui ancora si scorgono paesi a maggioranza indigena come Ascension de Guarayos con attorno i boschi, le lagune, i prati costellati da grandi nidi di termiti e case con tetto di paglia. Uomini a cavallo con cani sottili si muovono per raggiungere i loro piccoli appezzamenti di terra, uomini dalla pelle scura governano migliaia di bovini dei proprietari terrieri bianchi. Il bianco -quello integro- delle nuvole scivola sulla terra che cambia sotto di loro. In silenzio si osserva bene il mondo.
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venerdì 8 luglio 2011

Le donne della fatica

Da mercoledi’ sto partecipando ad una tre giorni di sostegno alle donne che si dedicano alla piccola impresa agricola, organizzata dalla ONG boliviana CEPAC. Sotto una pioggia frutto dello scontro tra venti caldi del nord e quelli freddi patagonici, le signore arrivano piano piano a gruppi nella sede del CEPAC di Yapacani', cittadina a circa 120 chilometri da Santa Cruz. Ora sono nelafue salone e ascolto Yaque, un'esperta della Casa de la Mujer che coinvolge e stimola le donne a raccontare le loro storie, le difficolta' di essere imprenditrice e donna nelle localita' rurali. Osservo queste signore cosi' diverse tra loro: sono donne giovani e meno giovani, che provengono dalle zone collinari delle preande e dalla pianura tropicale, signore vestite con la gonna voluminosa, i sandali e i capelli neri intrecciati secondo le loro origini dell'altopiano, ragazze dalla pelle chiara in jeans e scarpe da tennis. Donne che non hanno paura. Anche se sono cosi' eterogenee tra loro, tutte rivendicano l’urgenza di assumere un maggiore ruolo nella societa' boliviana. Ascolto parole come perseveranza, responsabilita', compassione, partecipazione, onesta', mentre fuori la pioggia cade sulle piante di mango, sui cespugli e l'erba delsal giardino, con galline libere che zampettano indisturbate.
Ieri sera Trinidad, una signora con il volto scolpito da rughe profonde, raccontava la sua storia, la sua vita di giovane donna proveniente dai climi secchi all'altopiano catapultata a coltivare la terra nella selva tropicale con strumenti arcaici insieme al marito ed un figlio piccolo, in un lotto senza vie di accesso offerto loro dallo stato. Per muoversi avevano solo sentieri tra alberi alti ed una vegetazione dimenticata che ora si rifugia sempre piu' tra le montagne o nelle riserve naturali.
Insieme ad un altro signore siamo gli unici uomini presenti in questa sala, eppure qui, avvolto nell’energia di queste donne con le mani segnate dalla fatica e dalle difficolta’, mi sento troppo a mio agio.

venerdì 24 giugno 2011

Cavalcando i bus di Santa Cruz

Esco dalla casa di Miriam, chiudo il cancello con lucchetto e sono sulla strada. Subito il vento caldo del Norte mi investe, lambendo insieme a me i bus e le persone, i cani raminghi e gli alberi dei giardini. Cammino con passo veloce lungo questa strada tranquilla di quartiere formata da case basse con tetti di tegole; oltrepasso alberi di ibisco colmi di colori e palme che si piegano al vento. Nella via pavimentata ci sono un po' di rifiuti attorniati da sabbia delle Ande trasportata fin qui dai tanti fiumi che corrono verso il Mato Grosso.
Fuori dal quartiere i sensi sono investiti dal traffico del tercer anillo externo e dal grande mercato della Mutualista. Donne dell'altopiano sotto le loro bancarelle mobili vendono di tutto: dalle custodie per i cellulari alla verdura, dal pane fresco alla biancheria intima. Dopo aver chiesto il prezzo mi fermo a bere un succo di arancia spremuto al momento. Tre pesos, il suo costo.
Raggiungo velocemente il tercer anillo interno e sono pronto per prendere il bus. Quasi subito arriva il numero 74, il mio. Un micro 74cenno della mano e salgo. Questi micros sono corti e bassi, quindi mi tocca per qualche minuto rimanere in piedi con la testa piegata in attesa che qualcuno scenda. Dopo poco si libera un posto dietro al conducente; dalle sue spalle senza collo vedo quello che succede nella strada. Auto bianche dei taxi si intercalano a jeep, camion e tanti altri micros. A Santa Cruz ci sono poche moto e nessuna bicicletta.
Il mio sguardo rimpicciolisce la prospettiva per muoversi all'interno del bus: il cruscotto è foderato da una copertura in pelle marrone con frange stile cowboy, la sua strumentazione e' distrutta, logora, usata e ancora usata. Un portamonete di legno appiccicato non so' come suddivide secondo il valore i soldi ricevuti dai passeggeri; le banconote sono conservate in due distinte tasche di plastica. I pulsanti fondamentali come clacson e luci chissa' da quale reperto elettrico alieno provengono! Nella carrozzeria anteriore un buco nel metallo fornisce ulteriore areazione e -con essa- ci porta il fumo degli altri veicoli e la sabbia dello sterrato a lato delle strade. Sulle pareti del bus campeggiano una serie di autoadesivi di Topolino e macchie rosse casuali di una antica vernice.
I minuti passano e con essi gente di tutti i tipi: bianchi con in mano cartellette, signore piccole e tozze con vestiti dell'altopiano, meticci carichi di borse, persone povere e meno povere, donne con bambini piccoli in braccio. Umanità viaggiante.
Ora il sole riscalda con forza l'interno del bus mentre il guidatore si ferma ogni momento per raccogliere o scaricare gente. Tra poco arrivero' nella sede del Cepac, una ONG boliviana che lavora nel nostro progetto Centinelas de la Biodiversidad. Anch'io mi faccio lasciare dal micro nel punto piu' prossimo alla destinazione.
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lunedì 13 giugno 2011

Santa Cruz de la Sierra - La Casa

Io sono, lo vedi, un cavaliere che cerca ciò che non può trovare. Molto ho cercato e nulla trovo.
C. de Troyes

Mi trovo nella Casa de la Mujer -la Casa della Donna- e nella sua radio Alternativa dove ho incontrato e parlato con signore che lavorano per migliorare i quartieri periferici di Santa Cruz de la Sierra, dove vivono. Stanno registrando un programma riguardante il loro impegno sociale e la discriminazione di genere. Sono donne espansive, dirette, senza peli sulla lingua, e dai loro occhi traspare il peso di una vita dura. Dal loro corpo deformato esce la fatica, i tanti parti avuti, la disillusione nei confronti di uomini all´inizio corteggiatori ma poi violenti e molesti. Signore che respirano la difficolta´ ogni giorno, combattendola con l´arma dell´impegno sociale.casam
Accanto a noi c'erano delle ragazze e un ragazzo che preparavano una dimostrazione sull’identita' femminile che si svolgera' nella piazza principale di Santa Cruz. I cartelli e i loro travestimenti che testimoniano contro la donna come puro oggetto sessuale sono molto, molto espliciti.
Con la stessa radio prepareremo e manderemo in onda una serie di programmi di educazione ambientale previsti dal nostro progetto di cooperazione internazionale.
Miriam, colei che ha dato vita a questa articolata struttura di accoglienza e informazione, in questi primi giorni mi sta ospitando nella sua casa che si trova fuori dal tercer anillo della citta' che conta quasi due milioni di abitanti.
Questi fermenti virulenti mi trasportano nel tempo migliore.
Qui ci sono sempre stato...

giovedì 7 aprile 2011

Spaesante primavera

L'asfalto era duro, quasi adamantino. Ewan camminava sopra di esso, e in giro, dentro, attorno, scorreva la grande citta'. Brividi di irrequietezza circolavano attraverso il suo corpo ad ogni passo, sulla strada, e un alito di spaesamento gli volteggiava intorno.
Pensava all'ultimo luogo perduto che ora si raccoglieva nella memoria: il bosco, la baita con le travi di larice, gli animali liberi e l'aria. Se ne ando' quando anche in alto era nata la primavera. Non c'erano motivazioni che lo avevano portato ad abbandonare la montagna: stava a suo agio nella solitudine del rifugio; semplicemente era venuto il momento di fare altro, di cavalcare un successivo ed incostante altrove. E poi lassu' veniva a trovarlo qualche valligiano con il quale compartiva pastose parole e silenzi significanti. Nel panorama risoluto che li circondava discorrevano di stagioni o di tempo, di incontri e di persone. E qualche volta parlavano di scelte impossibili.
La memoria lo faceva tornare a quel momento in cui si accorse che la primavera aveva minato l'assolutismo invernale. Vedeva i colori dell'erba che stavano virando dal giallo paglia ad una specie di verde, notava l'ingrossamento delle gemme di alcuni alberi, e sentiva gli animali agitati, ma la cosa piu' straordinaria accadde una sera. Ewan era uscito dalla baita per raccogliere la legna dal ripostiglio quando, con il cesto tra le mani ed il naso e la pelle che guardavano verso il tramonto scomparso, capì che qualcosa nell'aria era mutato: era un odore dolce indescrivibile, un aroma di caldofresco che anticipa la pioggia, quell'odore per cui inaleresti una vita e poi ancora. Perché lo sai cosa viene dopo.
Rimase per alcuni minuti fermo e gioioso, cercando inutilmente di decifrare il fluido che l'aria, attraverso le narici, gli portava al cervello. Una primavera stava timidamente aprendo la porta.

La montagna era uno dei tanti passaggi che Ewan aveva esperito, l'ultimo di una interminabile serie. Ora nella citta' ritrovava tracce di spaesamento che aveva conosciuto dopo due anni passati in Asia. In questo conglomerato di asfalto aveva vissuto p-smolto tempo, conosceva le vie, i quartieri e le persone, sapeva dei negozi e dei loro odori. Ewan percepiva il tutto contemporaneamente familiare ed estraneo, riconosceva l'ambiente ma non trovava piu' il suo significato quasi lo avesse dimenticato o appartenesse ad altri. Così si muoveva, tra certezze e ricamate stonature imitanti sonorita' lisergiche alla Hackett.
Ad un certo momento si fermo' davanti alla vetrina di un grande negozio di libri. Dopo aver osservato i titoli, guardo' la gente che si muoveva tra gli scaffali, e infine gli occhi focalizzarono la sua figura riflessa nella vetrata. Vide una persona robusta e slanciata, che non riusciva -o non voleva- trovare il suo futuro, un corpo imbevuto di irrequietezza nomade alla ricerca perenne del sentiero: l'invincibile e avversa strada delle possibilita', l’inutile percorso dello scopo.
Se mai fosse arrivata, la primavera in citta' era ormai lontana, e lui alieno in mezzo a volti sconosciuti, con addosso frammenti impalpabili di se stesso. Attraverso e nonostante questa apparente confusione, il futuro gli ammiccava ancora.

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mercoledì 16 marzo 2011

Una solitudine leggera

L'aveva vista tra le ombre conturbanti del bosco. Veloce e lieve.
Ewan si trovava ai limiti della radura per fare legna in una mattina solitaria e senza vento; ora che la neve si ritraeva di fronte alla temperatura della primavera poteva muoversi agilmente attorno alla baita.
La prima volta che la vide fu li', nel bosco. Piccola, affusolata, imprendibile, la volpe aveva deciso di fare la comparsa di fronte all'essere umano. Ewan conosceva le sue tracce composte, il suo pelo arancione e panna lasciato su qualche cespuglio, e qualcosa gli disse che l'avrebbe incontrata.
La seconda volta trovo' l'animale nei pressi della baita quando il sole era tornato a celarsi al di la' delle creste montagnose; fece appena in tempo a focalizzare la sua grande coda, ma era così svelta che anche questo incontro rimase confuso. Nonostante avesse visto quasi solo la porzione finale dell'animale la chiamo' Speedy, perché quello era il suo nome.

La solitudine era una compagna di Ewan. La piu' fedele. L'incrociava mentre guardava il panorama della valle, mentre tagliava la legna, quando preparava da mangiare. Prima di addormentarsi. Incontro' la solitudine molti anni prima, lontano, al di la' dell'oceano Atlantico, e temette per il suo effetto destabilizzante che si sommava al fatto di essere un ventenne in terra straniera; ma poi le era diventata amica e comincio' ad apprezzare alcuni suoi tratti. In quei momenti Ewan aveva sbandato un poco, aveva sbirciato oltre l'acido confine del non ritorno e, nel momento di maggiore spaesamento, ne era uscito forte, quasi inattaccabile. Quasi. Certo lassu' a volte parlava con essa -o forse dialogava con il proprio io- utilizzando breve frasi, parole con le quali aveva familiarità, intrecci di fonemi che scandivano le azioni; pensava che non c'era nulla di male sentire la voce, far risuonare la presenza della sua persona tra i solchi delle travi di legno della baita, disporre pacati suoni vocali tra le dune bianche di neve e, piu' lontano, tra gli alberi. Era un comportamento naturale come il respirare.

Quelle settimane solitarie in montagna provocavano in Ewan ulteriori effetti. Come si era abituato al sole equatoriale, a mangiare in condizioni di pessimo igiene nelle bancarelle di cibo sulla strada, agli ejenes e mariguís della selva che ti davano un prurito infinito, a parlare per anni una lingua diversa divenuta familiare, a mille e mille persone di citta' immense, Ewan stava conformandosi ai ritmi e le pause della terra alta a fine inverno.
Quasi a compensazione del suo parlare, ed in concomitanza con esso, dopo qualche giorno di permanenza nella baita il giovane era stato invaso dal silenzio interiore, un silenzio che si posizionava da qualche parte della mente e a volte interagiva con la solitudine. Molti sensi ne erano stati coinvolti: l'udito aveva allontanato i clacson infiniti dei tropici, affinandosi ai rumori lievi della Natura, l'olfatto riconosceva il cambio del vento e le ondate di primavera consumata provenienti dalla valle. Con questa attitudine a volte si diceva che sarebbe vissuto in quel posto tutta la vita. Aveva imparato a muoversi come si muove il vento tra gli RFalberi, camminando leggero e consapevole, e aveva visto e toccato come fanno gli animali della montagna.
Forse per questo Speedy, un giorno, le si mise di fronte. Ewan era seduto sulla panca con la schiena appoggiata al muro della baita, raccogliendo l'ultimo sole pomeridiano con gli occhi semichiusi, quando improvvisamente focalizzo' una forma ad una decina di metri da lui. Speedy era ferma, e lo stava guardando con quegli occhi imperturbabili a mandorla. All'inizio penso' che doveva fare qualcosa, invece non fece nulla. Uomo e animale erano fermi, straniati l'uno dall'altro, consci di cosa avrebbe portato quell'incontro.
Incorporati da un sole morente Speedy e Ewan si specchiavano nelle iridi immobili, in quelle lenti sul mondo, cercando in esse il significato sperduto della vita e delle cose; un significato antico come la terra, vicino e al contempo lontano, che a tratti gli esseri viventi percepiscono.
In quegli occhi leggermente a mandorla Ewan trovo' brandelli di sensazioni che aveva compreso ma mai condiviso: la fatica, la sofferenza e le perdite, ritrovo' passioni e incontri caduchi, memorie lontane e l'irrequietezza, tracce di comune appartenenza nomadica. E una composta solitudine.
Nessuno ricordo' quanto le iridi azzurre di Ewan e quelle gialle di Speedy si annullarono le une nelle altre, sotto lo scenario definitivo del cielo che si adagia verso il crepuscolo.

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venerdì 25 febbraio 2011

L’altrove

Dai molti altrove, Ewan era stato scelto da uno. Un posto temporaneo, una delle tante sistemazioni che il destino ramingo gli aveva offerto. Aveva vagato per stagioni in panorami torridi o battuti dal vento gelido del sud, attraverso stanze con la ventola a muro, con i condizionatori vecchi che si spegnevano ad una ora imprecisa del buio, pareti leggere, porte rumorose di alberghi squallidi dalle lenzuola bucate, pulci, niguas, cessi esterni puzzolenti, clacson, birra e rambutan, chicha camba e empanadas che lo facevano lacrimare, polvere dai finestrini del bus. E ancora uomini e donne soli, giovani immortali dai capelli lunghi, ragazzi spaesati, bambini di strada. Le sue iridi trasparenti avevano sentito, toccato, intuito, assorbito e respirato a lungo senza respiro.

Ora era supino sotto il piumone, attorniato da un nuovo altrove. Un non altrove.
Ora che dalla mente gli stavano scivolando via affascinanti ondate di confusi viaggi onirici, ancora libero dall'imminente quotidiano, con il soffio di una rarefatta musica elettronica depositata nelle meningi, muoveva gli occhi chiari sul suo non altrove.
Una, tante, quali case. Una baita in montagna a duemila metri di altezza.
Gli occhi di Ewan erano posizionati giusti per l'alba. Dal suo letto una finestra guardava fuori, la' in fondo, dove il chiarore del crepuscolo segnava i contorni delle creste montagnose, dove la neve lentamente si illuminava a giorno, prima di una tenue luce bianca, poi il colore rosa che vira verso il rosso. Fino a quando l'illuminazione naturale non era preminente, e da almeno un paio di settimane, nelle albe serene c'era una stella che lo accompagnava verso il nuovo giorno. L'osservava muoversi attraverso i vetri, con la sua luce forte e appena intermittente, in un movimento definitivo sopra le cime della valle, un semicerchio nell'orizzonte basso dell'inverno decaduto. Se distoglieva da quel punto giallo lo sguardo per qualche secondo, alla successiva visione individuava quanta strada aveva percorso l'astro attraverso il cielo del mondo.
Ewan rimaneva sotto il piumone, con la mente pulita, sbattendo le palpebre, e gli occhi e il volto illuminati dal nuovo che scorreva attorno a lui. Da quella posizione, quando il giorno era entratoaltr nella baita di legno, a volte gli altrove gli venivano addosso, come la maglia di lana cotta che indossava sopra il petto nudo: ruvida e calda e incomprensibile.  Erano altrove di tutte le forme, tracce di memoria profonda e quasi perduta che riaffioravano grazie a concatenazioni spurie, schegge di passato le cui cicatrici credeva fossero divenute invisibili, costruzioni splendide e abbandonate che solo i sogni riuscivano a rimodellare.
Allora si alzava e andava ad accendere la stufa a legna, ponendo sui suoi anelli metallici dell'acqua da scaldare e un paio di fette di pane per la colazione. Quindi si metteva la giacca e usciva nella neve a inspirare l'aria alta veicolata ogni volta da una brezza diversa; a volte era l'odore della resina delle conifere, altri momenti un'indecifrabile profumo portato dal vento del nord, oppure la giovane primavera che risaliva dalla valle. 
Tante piccole azioni quotidiane reiterate nei giorni e nelle settimane, le quali si mischiavano ad eventi straordinari come l'ombra dell'aquila che ogni qualvolta faceva un giro sopra il rifugio, l'incontro veloce con un camoscio, oppure la lettura di un nuovo libro. Anche la vista sulle montagne e gli alberi e la valle era qualcosa di diverso ogni volta; credeva di conoscere ogni angolo dei pendii, ogni solco di ciascun torrente, ogni cresta che si rifletteva sulle iridi chiare, ma sbagliava: c'era sempre qualche impercettibile novita' nel complesso mosaico che si dispiegava attorno alla baita.

Di sera, accanto alla stufa calda di legna appena tagliata, gli altrove tornavano. Allora Ewan sembrava piu' giovane e piu' vecchio, saggio e immaturo. A volte dalla finestra gelida si poteva vedere la sua figura massiccia che si raggomitolava su se stessa; in altri momenti aveva lo sguardo che danzava con l'immortalita', e pareva avvolto dall'aura che solo alcuni vagabondi posseggono.
Presto Ewan avrebbe abbandonato la baita per prendere un altro cammino sulla strada, in movimento verso un incessante altrove.

mercoledì 26 gennaio 2011

Bangkok oscura

Ad una certa ora della notte il tempo diviene cosi' rarefatto che la sua significanza si scioglie negli antri della mente; le cose evolvono attorno a noi, le azioni modificano il presente ma pare di essere in una condizione di mezzo posta tra l'infinito ed un futuro immaturo.
Sono seduto insieme a Wende sul bordo della vetrata di un negozio nel quartiere Patpong. Dai bicchieri di plastica trasparente sorseggiamo the amaro in silenzio mentre nel vicolo illuminato, a qualche metro da noi, vediamo scorrere la babilonia: spacciatori ed intermediari del sesso vestiti in modo distinto, vecchi occidentali accompagnati da puttane sformate a fine carriera, uomini di mezza età insieme a giovani dai capelli folti, gruppi di ragazzi ubriachi che parlano forte. Persone col bisogno disperato di denaro, uomini disperatamente illusi, uomini impauriti dalla solitudine, persone che mettono paura solo ad incrociare i loro occhi oscuri. E' il rito quotidiano che si celebra dall'arrivo di ogni liberatorio crepuscolo sulla Citta' degli Angeli; e' solo una misera, poco significante, a tratti folcloristica, porzione di vita in questa vasta citta'.
Sorseggio il the freddo nella canicolare metropoli insieme a Wende, mentre rumori di musica sincopata dei locali e dei go-go bar si affastellano perversamente nel cervello. Luci abbaglianti vorticano rifrangendosi nella plastica trasparente del mio bicchiere ormai vuoto. Con i sensi vigili aspettiamo Lin Lin ed il ragazzo allegro che sono ancora dentro un negozio non-stop.

Una volta scesi dal taxi proveniente da Banglamphu, abbiamo percorso il mercato notturno di Patpong colmo di prodotti orientali, occidentali, copie di oggetti di lusso accanto a bancarelle del cibo. Lin Lin e Wende osservavano con compassata attenzione le offerte lanciate dai venditori ambulanti, mentre con il ragazzo vivace ci divertivamo a fare battute sui diversi prodotti clonati con abilita'. A questo gioco scherzoso si è poi unita l'aggraziata Lin Lin, passando accanto alle discoteche ed ai go-go bar pieni di turisti intrattenuti da ragazze in abiti succinti. Lungo la Thaniya, la Surawong e altri vicoli oscuri si dipanavano locali s-pdai nomi esagerati, pacchiani, osceni, dai prezzi gonfiati, zeppi di musica e luci accecanti. Uomini tarchiati della sicurezza alle porte dei luoghi piu' esclusivi dall'apparente profilo dimesso, accanto ad intrallazzatori dai volti sfuggenti. Ai nostri corpi pallidi irradiati dai neon delle insegne venivano offerti volantini o cataloghi reclamizzanti locali, donne, uomini e massaggi esclusivi.
“Diversi thailandesi ci hanno detto che la vera prostituzione si e' trasferita in altre zone della citta'”, afferma Lin Lin, incrociando una serie di locali molto simili tra loro, tra i richiami delle ragazze.
“E allora andiamo...”, provoca il ragazzo vivace.
“Anche se non me ne intendo, alcuni di questi posti assomigliano alle copie degli orologi di marca che abbiamo appena visto: più apparenza che sostanza”, aggiunge pacatamente Wende, “copie annacquate”.

E' un'ora impossibile da definire; succede quando si scavalca abbondantemente la barriera invisibile della notte che degrada lentamente verso la sconfitta con la luce del nuovo giorno. Ma qui pare che tutto possa continuare per sempre.
Una volta ricongiunti con Lin Lin ed il ragazzo allegro decidiamo di uscire dal triangolo di Patpong per dirigerci a piedi lungo la Ratchadamri ed il parco: abbiamo voglia di cambiare aria prima di tornare a Banglamphu.

Bangkok oscura accompagna sotto le sue ali tolleranti i Vagabondi del viaggio fuori dalla iperbolica commedia di Patpong, e loro inalano finalmente la brezza misurata, il caldo trattenuto di una citta' riposata dal traffico e dal commercio.
Una nuova lattiginosa alba si avvicina alla prossimita', e Bangkok, la Citta' degli Angeli, l'invincibile cortigiana di silicio sempre pronta a schiudersi di fronte ad un inchino mellifluo e' qui, generosa, attorno alle cose.
Cammina piano l'eclettico quartetto che a tratti si moltiplica nelle vetrate dei grattacieli di Sala Daeng: e Wende con la sua flemma di cinese dominante nella benestante Penang, istruito nelle universita' del Regno Unito; ed io, occidentale, affine al centro Europa, senza paese e ricco di molti paesi. E le dissimulazioni provocatorie del ragazzo allegro; e poi Lin Lin, sì, con la grazia e una tenacità profonda che guarda oltre e oltre.
Quattro spiriti incontrollabili. Quattro eredi della solitudine.

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sabato 1 gennaio 2011

Due di tre: i favoriti del 2010

Libri:
Cormac McCarthy - Trilogia della frontiera – Einaudi
triofr
Anthony Burgess - Trilogia malese – Einaudi
triomalese
Dischi:
Flying Lotus  (US) – Cosmogramma – Warp records, 2010
flying_lotus-cosmogramma
Jaga Jazzist (N) – One-armed bandit – Ninja Tune records, 2010
Jaga_Jazzist

Film:
Roman Polanski - The Ghost Writer/L’uomo nell’ombra – o1 Distribution, 2010
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Chistopher Nolan - Inception – Warner, 2010
Inception_Poster_locandina_segreti
 
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