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mercoledì 8 giugno 2016

Ritorno a Bogotá

Da Barichara scendo a San Gil. 150 metri di dislivello e pochi chilometri di distanza fanno la differenza. Lascio il pomeriggio caldo e secco di Barichara per digradare nel buco dove si adagia San Gil. Piove a dirotto. Esco dalla buseta imprecando sottovoce. Quando arrivo all'hostal sono completamente bagnato; chiedo alla responsabile di prenotarmi un bus notturno per Bogotá.
Nell'hostal c'è solo una coppia di giovani europei che sta leggendo riviste patinate colombiane.
Anche se è lunedì, i bus serali con migliore orario d'arrivo sono pieni. Devo partire alle 21. Non importa, il biglietto è scontato e non devo andare fino al terminal di San Gil. Pago 30.000 pesos ed ho il voucher di viaggio con la buona compagnia Copetran. Nel frattempo fuori ha smesso di piovere. Esco a prendere un paio di birre Aguila al Metro.

Il viaggio scorre senza contrattempi: posto ottimo, televisore spento, autista non particolarmente creativo. Riesco a dormire un poco con il suono dei Cinematic Orchestra nelle vene.
La ferita provocata dagli ultimi giorni di viaggio viene un poco sanata dalla nuova visita alla metropoli grigia e stimolante, barocca e pericolosa che porta il nome di Bogotá, Distrito Capital.
La sensazione di perdita provocata dall'imminenza del ritorno non è oggetto di guarigione. Se la partenza è frattura, lo sfilacciarsi dei legami http://travel-ontheroad.blogspot.com/search/label/Prima%20della%20partenza , nel ritorno prevale la tristezza della privazione. 
Le ore volano e rapidamente iniziano le prime fermate per i passeggeri che abitano in periferia.
Sono le 4:07 quando entriamo nella gigantesca La Terminal di Bogotá. Recupero svelto lo zaino e mi infilo al caldo della struttura, non prima di aver dato una veloce occhiata al cielo nero e basso che si muove sopra la capitale.
Anche alle 4 del mattino la stazione dei bus è piena di gente. Trovo un posto quieto presso le partenze, in attesa che il crepuscolo faccia comparizione tra le Ande.

Sono le 5:50 quando la luce di un giorno lattiginoso mi vede uscire dal teminal. Il quartiere benestante di Salitre è già in fermento: autobus, auto e taxi scivolano da qualche parte, prima del grande traffico. Cammino tranquillo, osservando gente che esce a correre, gente senza speranza, donne e uomini di campagna diretti verso il terminal. Palazzi residenziali pieni di telecamere e filo metallico elettrificato.
L'indulgere nel quartiere mi costa caro: quando arrivo alla fermata El Tiempo, i bus metropolitani J6 diretti verso il centro sono inverosimilmente pieni. Sono quasi le 6:30 e la frequenza è alta, ma gli autobus sono impenetrabili. Dopo aver visto passare 4-5 mezzi non ho alternativa: spingo per trovare un alito di spazio nel bus. Alla fine le porte riescono a chiudersi senza mangiarsi lo zaino che tengo in mano.
Le braccia, il corpo, sono completamente indolenziti quando la gente comincia a scendere. Tutti usciamo al capolinea Universidades. Cammino fino a Las Aguas e quasi sono arrivato nel quartiere La Candelaria.
Nell'angusta Carrera 3 vige il perenne rumore delle busetas e dei taxi. Ai lati della strada gruppi di studenti in divisa si dirigono a scuola.



martedì 24 maggio 2016

Viaggiatori a Cartagena

Il caldo di Cartagena ti affoga. La pressione scende in basso, la pelle è unta da crema e sudore, i suoi pori sembrano bocche di vulcano. Tento di ingannare la fatica con la bellezza della città. Birra, aria condizionata, doccia fresca, acqua, vento. Sono dieci giorni che, dalle Ande, respiro polvere sulla costa caraibica. Non riesco ad ambientarmi. Torno verso il mio dormitorio nel quartiere Getsemaní.

Linda è distesa sulla parte bassa di uno dei tre letti a castello. Lo zaino sotto la rete, la stanza senza finestre, l'aria condizionata pulsante. Dove il suo corpo non è appoggiato, sul lenzuolo trovano spazio vari oggetti come mappe, biglietti da visita, chiavi, aggeggi da toilette, un asciugamano, dei braccialetti.
Linda parla bene il castellano. Viso e corpo abbronzato, capelli lisci, altezza media. Trent'anni. Il suo modo di vestire non particolarmente curato si sposa con il disordine del letto. Ma è solo spuria apparenza. Dietro gli occhi azzurri ed il modo fare distratto si cela una personalità. Psicologa, ha lasciato il suo posto di lavoro in Olanda per girare sulle strade del mondo, per conoscere meglio sé stessa. Ha lavorato nei bar, ha raccolto frutta in qualche piantagione nel centro America, e poi ha conosciuto gente che noleggia imbarcazioni nel mar dei Caraibi. Da mesi accompagna turisti su una barca a vela. Ora è in vacanza a Cartagena, in attesa di imbarcarsi di nuovo. E' interessante parlare con una persona che conosce le cose, dissimulando di conoscerle.
Linda mi racconta della sua instabilità con felice sicurezza. Linda è imprendibile. Vado a far la doccia e, al ritorno, è uscita.
   
Sempre in quel dormitorio di Cartagena de las Indias incontro Peter. Arriva da non so quale parte durante la sera, prima che tutti usciamo per andare incontro alle brezze notturne.
Peter giunge con un altra ragazza, ma non sono insieme. Lui è tedesco, lei è venezuelana. Lui prende il posto letto sopra Linda, lei sopra un altro. Si ignorano.
Anche se il giovane viaggia in modo autonomo, si individua la sua insicurezza nel muoversi, la non facilità nel parlare spagnolo, il difficile controllo delle cose. Chiede alcuni consigli. Peter studia architettura ed è in Colombia per viaggio. Mi pare molto interessato alle strutture coloniali. E' arrivato nel posto giusto.
Esco dal dormitorio di Getsemaní con l'aria condizionata. Nel traffico caotico della Calle 30 il crepuscolo emette gli ultimi affannosi respiri di luce.

martedì 11 agosto 2015

Percorrendo la Panamericana verso sud

Il gruppo di rumorosi turisti colombiani hanno cominciato a fare rumore nell'hotel dalle 4 del mattino. Alle 6 sono in strada, sulla strada lastricata del bel centro storico di Popayán, diretto verso il terminal. Le vie vuote, da poco la luce dell'alba, il problema della sicurezza in Colombia. La mente si consola con un ritmo dall'ultimo lavoro del britannico Lapalux.
Arrivo alla 6:20 al terminal. Niente. Il minivan diretto a Pasto e' completo. Impreco.
Alle 6:50 parto con un minibus non esattamente dell'ultimo modello. Quasi tutti i passeggeri hanno i tratti somatici degli indigeni andini. "It's over, I am older", recita il pezzo di Lapalux. Velocemente prendiamo la Panamericana inforcando la direzione sud.
Prospettiva di viaggio piu' che discreta: e' mattina, siamo a 1800 metri di altitudine, raggiungeremo i 2500 di Pasto, il bus senz'aria condizionata forse non sara' un problema. Forse. Invece subito scendiamo diritti diritti verso il caldo, addentrandoci tra valli e montagne. Nonostante sia domenica, grossi camion sbuffanti fumo nero rallentano l'odiata discesa. Metto le cuffie cercando brani che infondano buon umore. Il ragazzo simpatico vicino a me con il quale ho scambiato due battute si addormenta.
Verso i 1100 metri, quasi l'altitudine di Cali, dopo solo un'ora di viaggio, facciamo una pausa; evidentemente l'autista vuole fare colazione. Pace. Mi concentro sul panorama circostante ricco di alberi tropicali che esprimono tutta la loro grandezza, espandendosi in alto ed in largo. In mezzo a questi boschi ci sono alberi dai fiori rosa e rosso vivo, quest'ultimi somiglianti alle bellissime piante che portano il nome di gallito o ceibo. Accanto alle rare fattorie sorgono piccole piantagioni di banani, mais, yuca e grossi alberi di mango.
La discesa del bus sembra non finisca mai, incuneandosi tra stretti tornanti e vegetazione sempre piu´arida. Il sudore corporeo comincia ad esprimersi con intensita'. Dopo essersi riaddormentato, il ragazzo accanto a me si sveglia e mi chiede se siamo arrivati ad un dato paese. Gli rispondo che non lo so. Evidentemente il rumore del bus gli ha in precedenza impedito di scovare il mio accento straniero. L'informo che siamo a 700 metri di altitudine e nel mezzo di una valle quasi desertica. Lui annuisce assonnato. L'autobus percorre per diversi chilometri questa valle costituita da alberi bassi, cespugli, cactus e terra gialla.  Nel mezzo scorre un torrente, un alieno nel secco desolante. Poche le abitazioni.
Il sudore scompare risalendo oltre 1700 metri sopra il livello del mare. Il ragazzo dallo sguardo gentile e' gia' sceso da un pezzo.

Dopo circa sei ore di viaggio ed aver oltrepassato un passo a 3100 metri, raggiungiamo Pasto. Come dice il nome (pasto = erba, pascolo) l'umidita' e la pioggia raggiungono con generosita' la citta' rendendo i boschi e la vegetazione di un verde intenso. La Panamericana prosegue verso sud, verso Ipiales e la frontiera con l'Ecuador. 

mercoledì 8 luglio 2015

I 3000 metri della valle di Cocora, Colombia

La nuova escursione nell'incantevole valle andina ha oggi una meta molto ambiziosa: raggiungere la finca el Bosque, a 7,2 chilometri dalla localita` El Planchon, 2430 metri di altitudine, dove mi trovo ora. Un ponte costituito da due grossi tronchi di legno e un parapetto attraversa il torrente Quindío, portandomi nel bosco subtropicale che si rannicchia nei luoghi piu' bassi e riparati.
E' prima mattina ed in mano ho una mappa disegnata da un locale che mi ha spiegato come arrivare alla fattoria

Il bosco, dopo aver passato le palme tipiche della zona, le palme del Quindío. Non esistono mappe  del parco della valle di Cocora. Il personale dell'ufficio informazioni della riserva consiglia di prendere una guida per inoltrarsi nei sentieri meno battuti e affatto segnati. Questo e' uno di quelli.
Il cammino rimane nell'ombra fino ad un terzo attraversamento del torrente. Sui 2650 metri appaiono pini dai lunghi e morbidi aghi. Forse perche' solo solo e mi muovo silenziosamente sugli aghi caduti a terra, sicuramente per fortuna, seminascosto tra felci e altra bassa vegetazione si aggira a quattro metri da me un vecchio ricordo della querida Bolivia tropicale http://travel-ontheroad.blogspot.com/search/label/Bolivia%20tropicale , un animale  dal muso allungato, con le orecchie d'orso e la coda simile ad una marmotta. I boliviani lo chiamano Tejón, un mammifero della famiglia dei procionidi. Magari perche' si trova qualche metro sopra il sentiero, l'animale si allontana dall'umano con tranquillita', preoccupato piu' per la ricerca del cibo che d'altro. Quando proseguo il ripido sentiero lo sento ancora raspare nel sottobosco. Proprio adesso mi torna in mente un altro incontro casuale avvenuto ieri: stavo camminando quando sento un rumore, simile a quello del calabrone, che si aggira tra i fiori di un alberello, mi giro ed invece vedo un minuscolo colibri'.
A 2910 metri raggiungo il bivio che porta alla finca Santa Lucia; il vento e' forte. Sotto di me l'ingarbugliata ed impervia valle del torrente Quindío, sopra cime di 4000 metri che spradicamente si svelano dalle nuvole. Alberi simili agli aceri dalle foglie quasi marroni, costellano i pendii piu´ esposti. Quando sono costretto a scendere di
cento metri per guadagnare un'altra montagna mi accorgo che la meta sta diventanto impossibile, anche perche´ voglio tornare presto. Procedo comunque spedito nel sentiero tracciato dagli animali rimanendo lungo il crinale della montagna.
L'altimetro segna 3180 metri proprio ad un prato dal quale posso individuare la finca el Bosque: si trova sotto di me e ancora piu' a nord. Su queste distese verdi crescono dei cespugli dai fiori dai colori blu-violetto, forse rododendri. Mi godo il panorama sfidando il vento, solo, senza aver
incontrato umani, con il sole forte e le nuvole che si fanno sempre piu' imponenti.

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giovedì 2 luglio 2015

Prima escursione nella valle di Cocora, Ande Colombiane

Passo i margini di una fattoria, attraverso un ponte dove sotto passa un torrente e sono nell'entrata della valle. Di fronte si apre una visione di pascoli verdi tenuti come prati inglesi, boschi che dalle cime scendono a picco in basso, fattorie, pacifiche mucche, cavalli liberi e soprattutto una delle principali attrazioni del luogo: le palme da cera native proprio di questa area, il Quindío. Esse spuntano dalla terra slanciandosi diritte e affusolate, rivendicando il diritto di conquistare il cielo. E' davvero strano vedere i boschi, i cespugli, i prati di montagna, punteggiati da questi altissimi tronchi sulla cui sommità svetta un ciuffo di foglie.
Il sentiero che porta in localita' Estrella de agua, dopo essere stato abbondantemente toccato dal sole, si infila basso nel solco del torrente. Sono piu' di due settimane che non piove ma qui, causa il passaggio di turisti, di mandrie di bovini e naturalmente l'umidita', a tratti il percorso diviene fangoso. Il bosco e' colmo di piante tropicali di diverso genere, oscuro e pregno di vita. La foresta e' anche infestata da umani di diversa origine che, come me, vogliono esplorare questa famosa valle. Ponti tibetani, da attraversare rigorosamente uno alla volta, sovrastano il corso d'acqua. Quando i miei sandali stanno cominciando a cedere nell'umidita' della fanghiglia, ecco che vedo il bivio: avanti si va a Estrella de agua, a sinistra si arrampica un sentiero che porta alla finca de la Montaña. Prendendo la seconda via magicamente rimango solo con la natura che lentamente si modifica con l'altitudine. Verso i 2700 metri compaiono i primi sempreverde. Sono pini ed essenze vigorose della famiglia dei cipressi, mischiate ad una variegata scelta di piante e cespugli sconosciuti. Salgo velocemente con il panorama vegetale che assomiglia sempre piu' a quello alpino, ma no... in mezzo al bosco di pini ecco che spuntano alcune basse
palme. Quasi sotto la finca de la Montaña ricompaiono i primi prati. Qualche cane svogliato abbaia avvertito dalla mia presenza, poi, dall'alto, si affaccia brevemente una figura femminile. La fattoria della montagna e' sita a 2860 metri di altitudine ed e' contornata da boschi e qualche prato. Da lassu' finalmente posso godere del panorama di una parte della valle di Cocora. Di fronte si innalza un picco ricco di vegetazione fin quasi al suo culmine, a sinistra si sviluppa lentamente verso l'alto la vallata che qualche buon amico definerebbe un buco. Il cielo d'America e' come sempre eccezionale, anche qui tra le Ande e l'umidita' che viene dal Pacifico: nuvole veloci dalle cime piu' alte scendono nel loro perfetto disordine verso valle, girando attorno a guglie, picchi e panettoni verdi per poi sparire da qualche parte. 
Nella finca de la montaña e' ancora il sole che predomina, supportato da una brezza da nord. Il sudore scompare velocemente ma non si volatilizza il mio interesse. La fattoria di legno colorato a bianco e arancione dal tetto basso di tegole e' contornata da un'immensa quantita' di fiori e cespugli colorati. Proprio su questi fiori, con
stupore, vedo librarsi piccoli volatili dal piumaggio azzurro-verde argenteo, quasi fossero animali provenienti da un mondo fantastico: sono colibri'. Le loro ali invisibili e veloci si destreggiano con precisione da un fiore all'altro.
Rimango diverso tempo incantato da questi volatili, fino a quando decido di prendere la via de la discesa attraverso un fitto bosco di sempreverdi ed eucalipti. Nel scendere incontrero' diverse altre specie interessanti, ma queste amenita' rimaranno a delizia del sottoscritto.

 
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