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domenica 30 gennaio 2022

Il soffio dai vertici del Teide


Non è facile trascrivere le aspettative provate alla vigilia della salita sulla la montagna alta, simbolo e icona dell’arcipelago canario: il Teide. Quello che è sicuro sono le incertezze legate alle condizioni del tempo nelle alture del vulcano.

Il bus 348 ci lascia poco dopo le 11 alla fermata Montaña Blanca, a 2350 metri di altitudine. La neve caduta qualche giorno fa e il gelo notturno osservato già parecchio più in basso fanno nascere qualche preoccupazione nella mia mente e in quella di Nando, compagno di escursioni alpine con il gruppo SEI. Ma la bella giornata e la potenza di questo sole meridionale incoraggiano le speranze.

In seguito di una ascesa sulle facili pendenze della Montagna Bianca, dove sbucano floridi cespugli di retama del Teide, la ginestra indigena, siamo ai piedi della impervia muraglia che conduce al rifugio di Altavista. Qui un cartello avvisa che il sentiero è chiuso causa ghiaccio e neve. Una coppia sta salendo mentre un individuo torna a valle. Poso lo zaino a fianco di una solitaria pianta di jara. Ci guardiamo negli occhi di califfi SEI e subito partiamo verso l’alto, alla ricerca della cima vulcanica.

Quasi subito raggiungiamo la coppia polacca rimasta a chiedere informazioni all’uomo discendente. Il duo viene dietro di noi con baldanza. Anche se la pendenza è forte, tranne per alcuni limitati tratti, la neve ghiacciata con il calore del sole diventa cedevole, permettendo una buona aderenza e velocità. Dopo una ventina di minuti i polacchi sono spariti dalla vista.

Solo in prossimità del refugio de Altavista, 3270 m, il vento meridionale comincia a farsi sentire. È proprio la calima, vento che porta sabbia dal Sahara, colpevole oggi della scarsa visibilità a quote medio basse, che offusca le visioni lunghe proposte dal rifugio Altavista. In alto il cielo è straordinariamente azzurro, consentendo di vedere parte della corona di cime dell’altopiano del Teide. Un poco d’acqua, due parole con dei ragazzi canari saliti con i ramponcini, e poi ancora in alto, per respirare da vicino il soffio del Pico che ancora si cela dietro aguzze rocce appena innevate.

Solo quasi al termine dell’ultima ascesa Lui diventa visibile: prima la punta, infine tutto il cono montuoso si mostra nella sua interezza. Qualche passo sulla neve e siamo al Mirador de la Fortaleza, 3540 metri di altitudine.  Sono quasi le ore 14. Sotto, a ovest, è solo possibile sognare l’oceano e l’isola di La Palma, il cui vulcano ha da poco cessato di vomitare lava, mentre gli ultimi duecento metri del picco del Teide appaiono così vicini, così familiari. Qualche nuvola portata da venti veloci tenta inutilmente d'incoronare la montagna regina.

Il nostro tempo è finito; dopo un inchino non rimane che tornare in basso, fino alla calima e poi fino alle acque dell’oceano Atlantico.



 Testo e foto diritti riservati Creative Commons 

 




 

giovedì 13 gennaio 2022

Consumando suole al Lomo Centeno


«The call of the wild

is driving me crazy»

Jimi Tenor

 

La roccia lavica consuma le forze, erode le suole come fossero formaggio, ma ti porta in alto. Siamo quasi a metà gennaio, sotto i cieli indulgenti di Tenerife. Alla ricerca dei preamboli della montagna alta.

Inizia da Barranco Hondo, 400 m, l’ascesa verso l’area speciale denominata Las Lagunetas, sul crinale nord est dell’altopiano che si arrampica così tanto nella volta celeste. Barranco Hondo con i suoi peschi in fiore e i piccoli angeli volatili che chiamano la primavera li lascio presto, iniziando un sentiero che segue una rugosa lingua di lava dai colori purpurei, addobbata ai lati da vegetazione che lentamente sta recuperando il caldo arido della stagione passata: gli endemici balo, aeonium, tabaiba amarga producono timide foglie nuove, nella speranza che le nebbie donino gocce di vera pioggia.

Salgo su quella lava rafferma con velocità, con il sudore che impregna la camicia, fino a 700 metri di altitudine, quando il mare di nuvole inonda parzialmente la visuale, abbassando le temperature. Ora l’oceano e la stupenda Gran Canaria con il Roque e le montagne di Tamadaba a est sono più lontane.

Dopo gli 800 metri l’anello di nubi viene oltrepassato, e il sole forte è solamente mitigato quando si entra nella foresta perenne di conifere canarie. Mai un attimo di respiro concede il cammino che ora è infinitamente morbido nel tappeto preziosamente intessuto da aghi di pino. Senza quasi percepire quella fascia intermedia di vegetazione arborea, gli occhi si sono presto abituati alla luce debole filtrata da imponenti piante di pino canario che più avanti si mischieranno sì, a faya e brezo.

Las Lagunetas e il Lomo Centeno, 1400 m, li raggiungo in una ora e trentacinque minuti, con tanta adrenalina da vendere. I luoghi offrono ben poca visuale. Solo una radura permette di osservare la costa est e il mare che guarda l’Africa perennemente invisibile. Il Teide? Ancora troppo, troppo lontano. E alto.

 

Testo e foto diritti riservati Creative Commons

 





 

giovedì 29 luglio 2021

Al cospetto del vulcano Teide

 Il sottobosco è spoglio causa l'aridità, il terreno e il fitto manto di aghi. Altri aghi quasi gialli spuntano da pini canari di qualche anno che sono riusciti a sopravvivere a un incendio passato. Le foglie delle conifere endemiche riflettono la luce del sole che benedice la foresta e accoglie bipedi che camminano in silenziosa adorazione. La luminosità sovrasta la coltre di nuvole sottostanti che ristagnano a est. Proprio a est la cortina di umidità viene bucata dalle cime più elevate dell'isola Gran Canaria; il suo profilo roccioso quasi si confonde con il cielo lontano dell'Africa.
Sarà questa una delle giornate più importanti della lunga permanenza nelle Canarie?

A un certo momento dell'ascesa la foresta scompare lasciando posto a un terreno costituito da lapilli grigi, quasi neri. Solo qualche isolato cespuglio riesce a crescere ai lati del tratto che si inerpica dritto verso l'alto. Prima d'iniziare il percorso scambio due parole con due escursionisti canari che astutamente mi lasciano andare avanti. Parto a piccoli passi il più possibile veloci nella ghiaia profonda, sotto i poderosi raggi solari della media altitudine purificati dall'aria tersa. I due canari all'inizio sono appena dietro. Tengo duro per un tempo imprecisato senza perdere minimamente il ritmo, impegnato in quella competizione dell'orgoglio, senza voltarmi. Quando finisce il mare di lapilli in pendenza mi fermo per una foto con un accenno di sorriso sulle labbra.

Il sentiero 131 termina quando entra nel parco nazionale del Teide a 2370 metri di altitudine sopra l'oceano Atlantico. Sono due anni che tento di visitare questo luogo e ora sono al suo interno. Reprimo con difficoltà la gioia concentrandomi sull'ultima fatica: la cima della montagna Guajara, 2715 metri. Il terreno, i sassi e le rocce ora sono di colore beige chiaro.

In poco più di trenta minuti sono sul monte Guajara che porta il nome di una leggendaria principessa, e davanti il panorama cattura tutto il respiro rimasto. Gli occhi volano lontano, portati dai venti alisei: a ovest, a sud, a est si distinguono chiaramente La Palma, El Hierro, La Gomera e Gran Canaria, mentre una corona di vulcani protegge quasi totalmente Las Cañadas del Teide, un vasto altopiano a 2000 metri di altitudine che posso interamente ammirare sotto i miei piedi. Poi ci sono loro, anzi, Lui.
La montagna Blanca ma anche il pico Viejo appaiono nullità a lato del Teide che si innnalza oltre i 3700 metri, con i fianchi coperti da detriti grigi, la neve e il suo becco finale il cui cratere sommitale guarda verso il cielo.
L'oceano verginale, le isole che tentano di celarsi tra le nuvole, l'altopiano ultraterreno, i visitatori, gli animali, le ginestre del Teide ora in fiore, tutti siamo sotto di lui.

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martedì 29 giugno 2021

Camminando fino a Ifonche, Tenerife

«Che cosa c'è nel transito
che consuma le motivazioni ad esso estrinseche
e genera fini propri?»
Eric J. Leed

Il clima a Vilaflor de Chasna da due giorni non è piacevole. Notti serene e molto fresche, sole al mattino fino alle undici, poi una fitta cappa di nuvole copre tutto. Gli affabili abitanti del borgo situato a 1400 metri di altitudine ai piedi del Teide accendono stufe a legna e carbone per scaldare le case.

Speriamo oggi vada meglio. Esco presto, domato dall'intenzione di raggiungere a piedi Ifonche. Con i raggi solari che illuminano dal mare sottostante fino alle montagne più alte passo le due caratteristiche chiese di Vilaflor, incrocio la strada asfaltata, quindi imbocco il sentiero affondando nei pini canari. Nuoto senza respirare pieno di ossigeno nel centro in quella flora che ogni giorno mi cattura sempre più. L'amore cresce nel silenzio. È qualcosa che fonde fisicità con istinto, la necessità, l'immaterialità, una tensione nata dalla convivenza e dall'ardore: quale vincolo della perfezione rappresenta la Natura!

Il percorso discende lentamente mostrando scorci di una costa oceanica lontana, cime e colline arrotondate coperte dal verde. Gli alberi, i cespugli di retama e le Cistacee con i fiori bianchi e rosa affondano le radici nella terra rossa sgorgata dai vulcani. Paesaggi di altri continenti mi si affastellano nella mente.

Dopo aver passato un luogo di raccolta dell'acqua, i boschi si alternano a sporadici spazi agricoli. Siamo a inizio marzo e le coltivazioni in altitudine sono ancora in pausa anche se piante di fico e qualche vite cominciano a diffondere germogli primipari. Dove la foresta arretra i prati sono fioriti con un pullulare di insetti e richiami festosi di volatili. Due quaglie si alzano rumorosamente in volo. Oltrepasso e sprofondo in diverse vallette scavate dalle intemperie incrociando rari escursionisti canari. In una di queste gole vedo germogli di erba cipollina selvatica, l'ajillo, che al ritorno probabilmente raccoglierò.

Ifonche, 1000 m, è una delusione: qualche casa, una fermata della guagua, un posto di ristoro chiuso causa COVID. Neanche un filo di vento. Verso Arona e la costa di Los Cristianos osservo lo sviluppo di umidità che convergerà in alto. L'oceano di nuvole.

Permango qualche minuto nel nulla della non-meta per tornare presto nella pienezza dello spostamento, del cammino, nello stato di transitorietà. Undici chilometri immerso nel piacere, alimentando la passione, prima che il manto di nubi salga fino a disgiungere il mondo inferiore da quello superno dei vulcani di Tenerife.  
 
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martedì 25 maggio 2021

La costa di Puerto de Santiago. Tenerife sud

 «Le cose visibili sono d'un momento,
 quelle invisibili sono eterne»
San Paolo

Da quando la permanenza nelle Canarie si è dilatata in modo inverosimile, molto è cambiato. Come la familiarità con l'ambiente ogni giorno diventa più naturale, così anche l'approccio con il tempo e l'impostazione delle giornate è mutato. Si attenuano per poi tornare a esplodere momentaneamente alcune caratteristiche del viaggio come l'esplorazione, la tensione verso l'alterità, la purificazione e l'essenzialità. Ma poi... basta uno spostamento, una nuova inaspettata situazione per riattivare gli oliati meccanismi del cammino che assapora appieno la libertà, mandandola giù fino al fondo del cuore.

Il sole sulla costa sud di Tenerife è forte quando scendo calle La Hondura per raggiungere la costa che divide Los Gigantes da Puerto de Santiago.  11 del mattino di uno degli ultimi giorni di febbraio 2021. Presto sono sulla passeggiata che segue la costa in direzione sud est. Oggi respiro un vento meridionale meno caldo rispetto ai giorni passati. Con l'aria dell'oceano che fronteggia bonariamente i miei passi scendo nella playa di Santiago, una insenatura stretta di sabbia grigia dove le onde entrano mitigate dal litorale; passo velocemente da ville per stranieri a case canarie.

Digrado e salgo spiagge accuratamente vigilate ai lati da imponenti scogliere dove piccole porzioni di flora canaria riescono a colonizzare l'impossibile roccia lavica che viene dal Vulcano che solo ora posso ammirare: dopo l'urbanizzazione Varadero gli edifici terminano, lasciando affrancato lo sguardo verso le colline che in alto si arricchiscono di (quella relindura che sono i) pini canari e quindi appare Sua Imponenza, Il Vulcano più alto. El Teide ancora innevato sorride all'arcipelago e alla Macaronesia tutta dai suoi 3715 m. Attorno alla cima scivolano nuvole ventate formando un cappello effimero. Una corona.

Cammino lungo la pista ciclopedonabile che porta a Alcalá, accompagnato a destra dalla sagoma dell'isola La Gomera oltre la quale ogni sera l'astro luminoso si cela, mentre sulla costa ragazze e ragazzi sfidano le onde oceaniche muniti di surf o bodyboard. Bisogna scegliere il flutto giusto.
Il sole specchia la sua potenza nell'acqua disvelando da dietro ogni singola goccia e spruzzo che si infrange negli scogli aguzzi. Il riflusso lascia fasce di spuma chiara che vengono coinvolte da nuovi vigorosi cavalloni. Lo spray marino arriva fino a me e si inoltra per poco nell'entroterra con quell'odore caratteristico difficile da descrivere.
Bisogna scegliere?

Muovo le articolazioni, muovo l'organismo, senza sapere cosa farò l'attimo successivo, slegato dalla meta, cercando l'invisibile oltre lo stupefacente che continuamente si manifesta.

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domenica 18 aprile 2021

Coscienza alterata nel parco del Teno, Tenerife sud

Per raggiungere la traccia che porta a Santiago del Teide da Los Gigantes bisogna percorrere un breve pezzo di strada asfaltata. Fortuna che con la pandemia il traffico è ridotto. Fortuna che anche i turisti sono pochi. Poco prima la vista era stata affascinata dal punto panoramico che guarda sulla impressionante muraglia di scogli vulcanici di uno dei luoghi più avvenenti di Tenerife sud.

Il forte vento meridionale tiene lontano nuvole che accampano attorno al maestoso Teide mentre mi arrampico lungo una stradina costellata da piantagioni di banane incapucciate da serre. Ortaggi e alberi da frutto passano lentamente sul percorso che porta a Tamaimo; sulla sinistra montagne tropicali senza alberi definiscono la porzione meridionale del parco del Teno, la mia meta. In poche centinaia di metri di dislivello la vegetazione diventa più fitta, più rigogliosa: avvicinandosi ai rilievi e all'entroterra, minuscole ondate di umidità riescono a lambire una delle zone più aride dell'isola.

Prima del paese di Tamaimo prendo l'indicazione a sinistra che conduce alla montagna Guama. Salgo serpeggiando, con i sensi ancora una volta inebriati dalla flora canaria. Quando sono prossimo alla ubriachezza raggiungo un dosso dove posso dominare il mare increspato, le innocue nuvole che passano come frecce sotto il sole inclinato ancora verso sud e l'isola La Gomera. Il vento sulla montagna Guama si farà sentire. Eccome!
Con la lingua secca causa l'ebbrezza ascendo l'ultimo tratto che porta alla cima, nascondendo l'ombra tra fitti cespugli di euforbia "cardón" 100% canaria. Prima di raggiungere la meta riesco a vedere per qualche minuto la punta gialla del signore delle montagne.
 
Dalla Guama osservo il mondo: il selvaggio parco del Teno cosparso da picchi aguzzi e da canyon che scivolano pericolosamente nell'oceano tra imponenti scogliere di vulcani, e poi a  sud e a ovest raggiungo facilmente La Gomera e tutta la costa Adeje quasi fino a Los Cristianos. Il vento imprendibile gira attorno al cardón, alla tabaiba, alla ginestra, al verode in fiore. Le piante, le foglie, gli steli autoctoni si piegano di fronte alle correnti ma rimangono integri. Solo una anima imperfetta vacilla.   
 

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lunedì 1 marzo 2021

Nel parco di Anaga. Tenerife nord

  

Il tranvia risale dal mare per raggiungere i 540 metri de La Laguna. Nella stazione degli autobus scopro che hanno ridotto le corse per Cruz del Carmen. Cambio il programma invertendo il giro: partirò da Punta del Hidalgo anziché arrivarci.

La costa di barlovento appena fuori dalla Punta è selvaggia, aspra, con le scogliere alte e nere di lava che trattengono la potenza dell’oceano. Sono le 11 e 50 del primo giorno di marzo quando le suole consumate delle scarpe si appropriano del sentiero numero 10 che conduce alla Croce del Carmen.

La luce diretta e potente irradia montagne aguzze coperte da bassa vegetazione, mettendo a nudo una valle strettissima che serpeggia lunga verso est, verso lo sconosciuto.

La traccia sale ripida a sinistra rispetto alla gola, immergendosi nella meravigliosa vegetazione endemica canaria di bassa quota: cespugli di tabaiba, il gommoso e strano verode che si gonfia d’acqua quando essa arriva, il cardón che sembra esattamente un cactus, aeonium a scelta. Piante da fiori gialli e azzurri si mescolano a qualche essenza introdotta dall’America come il fico d’india e l’agave.

Salgo svelto sul sentiero costituito da uniformi rocce chiare che virano al rosso, rigurgitate dalle profondità dell’oceano Atlantico, cominciando a incrociare stranieri e canari che sono partiti da Cruz del Carmen. C’è anche un gruppo di ragazze accompagnate da una suora.

Raggiunto il mirador di Aguaide, lo sguardo finalmente spazia dalle frastagliate coste che conducono alla fine settentrionale di Tenerife, per poi dirigersi nell’entroterra fatto da picchi affilati coperti dal verde. Il parco di Anaga.


Arrivato alla località di Chinamada, avverto che qualcosa di importante sta cambiando nel tempo: vento molto forte da est, e un cielo azzurro e trasparente che diventa via via fosco. Calima!?


Risalendo ancora verso la Croce la vegetazione cambia, dando sviluppo a boschi ombrosi di lauracee e, negli spazi più assolati, a bassi cespugli di jara di Anaga. Quando la pendenza si mitiga e le cime diventano rotondeggianti, compaiono prati e piccole coltivazioni agricole.

Anche se l’occhio destro è malmesso per qualcosa entrato col forte vento, nonostante la potente calima in arrivo che porta polvere dall’Africa, non riesco a non apprezzare l’ambiente circostante quasi prealpino, con colline boscose, piante da frutto e l’erba in fiore corteggiata da insetti che vogliono assolutamente ricominciare.

 

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