mercoledì 15 febbraio 2023

La carrettera Austral. Patagonia occidentale

Nella complessa trama del viaggio si sta tatuando un ulteriore intreccio, un intreccio alieno: la carrettera Austral.

Da ieri sono a Puerto Montt, da dove tutto parte. Cerco inutilmente di mettermi in contatto con la Kemelbus, l’unica impresa che coraggiosamente copre l’insidiosa tratta fino a Chaitén. Nessun risultato. Il biglietto si fa sull’autobus. Se si riesce a trovare un posto.

Mi alzo prima delle cinque e lascio l’insipida stanza con le pareti di compensato per dirigermi al terminal di Puerto Montt. Nonostante la stagione estiva, la temperatura è bassa e le nuvole oscure non propongono nulla di buono. I passi si replicano veloci.

Alle 6:35 sono nella deserta stazione degli autobus. Kemelbus è l’unico mezzo presente. Diverse persone accanto a quest’ultimo. Assumo un basso profilo: saluto un addetto, forse l’autista, consegno lo zaino, salgo subito e, nella nebulosità che si ha di prima mattina, scelgo un posto libero. Numero 13, finestrino. A metà del bus.

Poco dopo si siede accanto a me una ragazza. Scambiamo due parole. Lei possiede già il prezioso biglietto. Spero che nessuno reclami il sedile n. 13.


Poco dopo le sette, l’autobus accende il motore e parte. Gioisco. Mercoledì 15 febbraio 2023, dopo tanta insicurezza, sotto la pioggia pesante proveniente dall’oceano Pacifico che bagna questo lunghissimo peduncolo di cono sud americano, sono prossimo a uno dei percorsi più impervi del globo. La carrettera Austral.

 

A La Arena prendiamo il primo ferry. Scendiamo dal torpedone e veniamo immediatamente, al tiro, rapiti dai panorami e dai giochi delle nubi con il cielo. Qualche nuvola riesce a tingersi di luce chiara e si specchia nel mare. Non piove più. Poi ancora la terra, Contao, il parco nazionale Hornopirén, il verde dei prati, piccole chiese in legno, colline e continui saliscendi. Veloci.

A Hornopirén la velocità si placa: per il maltempo la strada che precede Chaitén è interrotta. Se non viene ripristinata si torna a Puerto Montt.

Una ora e cinquanta in uno stato di sospensione, e poi il chofer annuncia che si va avanti. Kemelbus parte pieno, lasciando delusi diversi giovani che volevano salire a Hornopirén. Il ferry ci aspetta.

 

Nonostante la stanchezza e la tensione che sta appassendo, con un bicho sconosciuto nel corpo, godo appieno tutte le tre ore e mezza di navigazione lungo l’incredibile fiordo che il traghetto lentamente penetra. Visioni di isole, uccelli marini, piccole insenature, fiordi laterali che svelano montagne innevate sopra la fittissima vegetazione della Patagonia occidentale. Mi perdo nella Natura, affondo e poi risalgo, lontano dall’equilibrio, e pienamente in esso. In un'altra precarietà, quella atmosferica, il sole stende i suoi raggi, e pare abbia non abbia voglia di nasconderli. Si  torna sull’autobus.

A Caleta Gonzalo salgono su Kemelbus diverse persone che rimangono in piedi. Abbiamo appena terminato il terzo e ultimo trasbordo dal barcazo alla terraferma. La strada dissestata che solca il bosco viene affannosamente migliorata dalle ruspe e dai mezzi pesanti. Costeggiamo un paio di laghi, voliamo sopra fiumi, e infine, a pochi chilometri dalla meta, le ruote riconoscono faticosamente il manto asfaltato.

Verso le ore 19 sono a Chaitén. 250 chilometri in 12 ore di viaggio. Siamo pressoché all’inizio della ruta 7, la carrettera Austral.

 

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sabato 11 febbraio 2023

Il sentiero della Desolazione. Regione dei Laghi. Patagonia cilena.

 

Saluto con affetto Andrés, Dominica e i loro due biondi bambini e prendo il bus per Petrohué. Sono nel cuore della fantastica regione dei Laghi. Sotto il cielo blu della Patagonia navigano nuvole veloci spinte dai venti occidentali.

Dopo aver passato un lungo percorso nel bosco del parco nazionale Pérez Rosales, il micro ci scarica a Petrohué. Subito mi registro nel centro del Parco, chiedo una mappa a un guardiano e imbocco il sentiero che porta al passo della Desolazione. 11,5 km e 5 ore, andata. Non so se ce la farò, nel pomeriggio devo tornare a Ensenada.

Il cammino è composto da terra vulcanica prodotta dall’Immenso Osorno e si immerge in un bosco di coihue che lentamente si diradano. Attraverso letti di torrenti asciutti che d’inverno sono fecondi d’acqua dolce e, di seguito, inforco il sentiero che sale a sinistra. Verso il passo.

Da un punto panoramico posso ammirare tutto quello che ci circonda: a est, verso l’Argentina, oltre il mare di coihue, si vede un ampio lembo dell’ampio lago Todos los Santos; a sud e a nord spiccano cime le cui sommità sono nascoste dalle nuvole, mentre a ovest comincia a delinearsi la Sua figura. Ma di lui parleremo quando saremo più in alto e più vicino. Nessuna visione del cerro Tronador o del Puntiagudo.

L’altopiano della Desolazione lo raggiungo con fatica dopo una serie di ripide ascese sulla ghiaia vulcanica. Nessun essere umano è visibile; solo cespugli, piccoli alberi, erba, piante succulente e rocce grigie. Lontano dalla massa di turisti nazionali, soprattutto santiaguinos.

Il cammino che porta al paso de la Desolación prosegue quasi pianeggiante; alla destra scorrono una serie di montagne selvagge coperte da alberi nella loro parte inferiore, mentre a sinistra sto girando attorno a Lui, 2650 m, ancora pieno di neve nella parete sud. Il vulcano Osorno. Una maestosità conica notabile a centinaia di chilometri di distanza. Probabilmente la montagna più bella di tutta la regione dei Laghi.

Il passo della Desolazione lo guadagno con un totale di due ore e quaranta minuti. Il luogo in sé sarebbe insignificante, se non fosse per la vicinanza del Osorno. Qualche persona sale dalla parte opposta, dal lago Llanquihue. Ci sarebbe molto da scrivere su questo grande lago, ma per adesso ci limitiamo a scendere da dove son venuto. Le cicatrici ormai sono rimarginate.

 

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