martedì 14 dicembre 2021

Dalla Cruz di Tejeda al Roque Nublo


Ho appena intrapreso una delle più significative escursioni che si possono realizzare nell’isola di Gran Canaria: Cruz di Tejeda-Roque Nublo. I cartelli dalla Croce indicano che per raggiungere il famoso monolite bisogna inizialmente prendere la direzione di Llanos de la Pez.

Il sentiero si immerge fin quasi dall’inizio in un mare di pini canari, costeggiando crinali dai quali escono periodicamente panorami mozzafiato nonostante una leggera foschia causata da una calima residuale. Anche qui l’incendio devastatore di qualche anno fa ha violato buona parte del sottobosco di cistacee e ginestre che, con molta fatica, stanno dando vita a nuove essenze germinate nel grembo della copertura di aghi di conifera.

La traccia ben segnalata si sviluppa gioiosamente senza grandi dislivelli, cavalcando colline vulcaniche dalle quali a nord domina la zona più umida di Vega San Mateo e i prodromi della città di Las Palmas, mentre a sud e a  ovest svettano montagne, picchi e piccoli villaggi bianchi. Il Roque Bentaya e il Nublo primeggiano per bellezza. L’oceano in basso è immerso nella bruma, mentre l’isola di Tenerife con il suo vulcano alto sono solo un sogno.

Tutte le visioni medio-lunghe si miniaturizzano quando si entra nella foresta che porta a Llanos de la Pez, così pure le tracce del percorso si moltiplicano dovendo di conseguenza prestare attenzione ai radi segnali. Il bosco emana odori di resina e si odono rumori del picchio e segnali alti di rapaci.

Ora sono in località El Garañon dopo cinque chilometri di cammino, e da qui comincia una discesa per poi risalire fino ai 1800 metri del Roque.

Giunto alla piattaforma finale dalla quale si innalza l’immensa massa rocciosa del Nublo sono infine arrivato alla meta. Venti meridionali poco intensi portano velature alte di nuvole. Scelgo una posizione strategica e mi siedo di fronte al Roque. Sembra impossibile che da questa spianata brulla possa essere rimasta una roccia quasi perfetta che si innalza verso l’etere.

Rimango a lungo davanti alla rupe, con le sue facce che cambiano con il girare basso del sole di dicembre. Lontano e a ovest scorgo la Aldea e Tamadaba, posti conosciuti.

È sempre il sole di fine anno che mi avvisa di alzarmi e prendere la via del ritorno per Tejeda, non prima di aver circumnavigato appena poco dal basso lui, il Roque Nublo.

 

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venerdì 3 dicembre 2021

Cammini alternativi a Gran Canaria

 

La sveglia suona troppo presto. Un percorso veloce nel buio per prendere la prima guagua fino al faro di Maspalomas e poi la visione di una nebulosa alba che viene da oriente spuntando dall’oceano. Le montagne dove dobbiamo dirigerci sono coperte da un sinuoso strato di nuvole. Questa volta sono accompagnato dal buon Sergio in una breve visita all’arcipelago incastonato nella Macaronesia.

Tejeda, la nostra meta, è un mezzo disastro: nuvole basse, vento e pioggia leggera ma continua. La speranza che il brutto tempo si ritiri una volta per tutte nel mare è confutata da diverse persone del luogo. L'umore è comunque ottimo. Quindi? Piano B: si va nel vicino e più meridionale paese di San Bartolomé. Altro mondo a distanza di pochi chilometri.

Il cammino alternativo punta alla degollada della Manzanilla partendo appena sopra San Bartolomé, insinuandosi prima tra frutteti dove spiccano le piante di mandorlo, in seguito si inerpica tra pini canari costeggiando rocce dalle tonalità diverse. La ghiaia e la terra del sentiero sono conseguenza di questo crogiolo di stratificazioni vulcaniche, partorendo colori come panna rosa e marrone chiaro.

Con il sole potente che ci illumina siamo presto al passo dove si forma verso sud una valle stretta: Manzanilla. Dopo essere rimasto qualche giorno nel desertico sud dell’isola, sembra impossibile riempire i sensi con tanta vegetazione. Davanti e intorno a noi domina il verde dei pini e di qualche basso cespuglio che invadono cime, gole, valli fino a dove arrivano gli occhi. Panorami di altri paesi si affastellano nella mente, provocando déjà-vu e ricordi di visioni a ripetizione.

Due escursionisti consigliano di tornare a San Bartolomé facendo un percorso ad anello in altitudine. Approvato.

La piana strada forestale costeggia avvallamenti dai quali è piacevole osservare come le montagne  e la roccia cambino secondo l’esposizione e l’illuminazione. Dopo i maglioni indossati e il freddo della non lontana Tejeda ora si cammina in maniche corte.

Prima di prendere la guagua 18 sarà d’obbligo festeggiare con una birra (pivo) la giornata e il ritrovo in questa isola oceanica.

 




 

 

 

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lunedì 22 novembre 2021

La spiaggia di Gui Guí, Gran Canaria


L’escursione di oggi non è semplice: la baia di Gui Guí o Guguy.

Dalla playa della Aldea, dopo una ripida salita che porta alla fine della località Curmeja, il sentiero che si addentra per valli e dorsali di cime ha finalmente inizio. Sono già sudato dopo 200 metri di dislivello: la giornata calda e l’assenza di vento non aiutano proprio. 22 novembre 2021.

Alle 11:30 raggiungo un passo a 700 m dopo una ripida ascesa per un barranco oscuro, con i vestiti malditi dalla traspirazione e le iridi piene di flora canaria di bassa altitudine. Anche le euphorbias endemiche soffrono la troppa aridità che da mesi regna nel centro-sud dell’isola. Dal valico il mare non si vede ancora: tra le valli impervie e strettissime le cui cime sono parzialmente celate da nuvole, in fondo si può solo immaginare l’oceano, sentire la sua aria che filtra appena tra la foschia. La discesa inizia.

Alla fine della seconda depressione si configura una oasi verde con una abitazione. Il sentiero mi conduce verso di essa. Passo degli orti, una piccola fonte d’acqua e mi trovo davanti un grosso pastore belga che mi abbaia. Quasi subito una voce invisibile mi dice che il cane è innocuo. La voce diventa presto una persona, Iho, che vive da decenni in quella zona isolata insieme a una signora piemontese. Ci fermiamo a parlare, incurante della lunga strada che ancora aspetta. Iho conosce le piante canarie, le stagioni che cambiano con il cambio del clima, i venti.

La traccia di friabile roccia chiara che si meticcia con strati rossi e poi scuri sale dalla casa di Ilo fino a oltre 400 metri di altitudine per infine scavallare nel canyon di Guguy grande. Palme e orti coltivati si sviluppano in basso. Proprio in basso, dove ci sono due case in rovina, incontro un danese incerto davanti alla biforcazione del cammino. Ci fermiamo un attimo. “Secondo me bisogna andare in basso”, dico all’uomo. Lui annuisce.

La spiaggia di Gui Guí grande è nascosta tra ripide scogliere di lava grigia con la sabbia quasi chiara accarezzata dal mare. Diverse sono le persone che godono dell’ambiente selvaggio, quasi tutte arrivate obbligatoriamente a piedi dalla più vicina Tasartico.

Infatti anche nel mio tragitto di ritorno sono solo benché in dolcissima compagnia delle tabaibas, del cardón, del tajinaste blanco, del balillo in fiore e di tutte le poche altre piante che popolano l’ambiente desertico.

Sono le 16 e 30 passate quando ripasso da Iho, due lunghe parole, riempio la borraccia alla sua fonte e continuo velocissimo la sfida verso l’ascesa e la discesa e l’imbrunire che arriverà tra meno di due ore.

Giungo alla mia abitazione quando sono le 18:45, con la luce del telefono accesa e il suo contapassi che indica 34,3 chilometri di strada compiuta, e 1500+1500 metri di dislivelli tra canyon e cime laviche ardite appena smussate dal tempo.

 




 

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giovedì 11 novembre 2021

Sul picco di Tamadaba. Gran Canaria

Sono dentro al bosco. Posso sentire il vento da nord che scivola lentamente tra gli aghi morbidi dei pini canari, facendo girare aria impregnata di resina. In basso tanta vegetazione inaridita, qui immerso nei sempreverdi delle Canarie.

Il cammino verso il parco naturale di Tamadaba inizia dal basso, appena fuori il paese di Agaete, con il sole forte che irraggia senza pietà le piante in attesa trepidante di qualche goccia autunnale dopo tanti mesi di secco.

L’avvallamento dove mi sto arrampicando si trova al riparo dai venti, provocando presto una forte sudorazione per lo sforzo impiegato, sudore che scompare quando raggiungo un lungo crinale. Appena a 300 metri di altitudine gli Alisei, convogliando tortuose rotazioni in questa precisa zona, riescono a esprimere una potenza imprevista. Cammino curvo, con i bastoncini da trekking che assecondano la direzione del soffio appena cessano di essere conficcati nella granella vulcanica. La tabaiba e gli altri cespugli hanno le branche piegate e basse per non offendere l’imperversare delle correnti.

In una ora sono al bivio della montagna Berbique, dopo aver attraversato un disteso traverso fiancheggiando il monte che si innalza. A questo punto posso scendere fino al villaggio di San Pedro o guardare verso l’alto, verso la foresta di aghifoglie. Scelta scontata.

Il sentiero che porta a Tamadaba sale senza esitazione per 400 metri di dislivello, al riparo dal vento, permettendo sempre una maggiore vista della valle di Agaete e del nord dell’isola. Incontro, supero, scambio affaticate parole con altri escursionisti, tutti stranieri.

In una ora e mezza sono a poco più di 1000 metri, tra gli alberi del parco naturale. Basta scendere il crinale aguzzo di qualche metro per incontrare il dirupo e, con esso, il panorama. Sotto si vede il porto di Las Nieves, e appena più a sud una serie interminabile di paurose scogliere che sovrastano l’oceano Atlantico. Piccoli, isolati, rapaci monitorano con pazienza la flora semidesertica sottostante. Da qui si dovrebbe vedere la non lontana Tenerife con la sua Cima, ma spesso le nuvole nascondono queste isole celate dalle nuvole.

Ben presto il cammino continua su un sentiero soffice di terra e aghi di pino, inoltrandosi nella foresta fino a una area attrezzata dove si trova il cruce per la cima.

Solo dalla sommità dello spoglio pico della Bandera, 1440 m, tutto diviene chiaro: pensa, riesco a vedere fino alla bella città di Las Palmas, passando per Arucas e le montagne del nord, dove spicca il monolite roccioso del Roque Nublo!

L’orologio mi dice che devo fare ritorno. Molta la strada e i chilometri ancora da percorrere.

 

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sabato 30 ottobre 2021

Las Palmas de Gran Canaria


 

mercoledì 27 ottobre 2021

I paesaggi della Isleta. Gran Canaria

I venti Alisei soffiano lievi sulla città di Las Palmas. Pochi metri dalla mia  abitazione e gli occhi comprendono tutta la spiaggia di las Canteras. Nonostante la fine di ottobre l’atmosfera di questo maturo mattino è decisamente estiva: gente che inizia la sua colazione nei bar sul litorale davanti a persone che prendono il sole o praticano sport sulla spiaggia di sabbia gialla.

Finita las Canteras, il lungomare si allontana dall’oceano alzandosi su scogliere di roccia nera di vulcano, offrendo un campo visivo più ampio su buona parte della costa nord di Gran Canaria. Dietro il passaggio pedonale sorgono case basse verniciate di bianco, case di canari: siamo nella zona urbana della Isleta.

Invece di scendere nella spiaggia del Confital come fanno tutti, prendo l’ultima via possibile a destra, e poi risalgo una parte della strada che porta a las Coloradas fino a quando un sentiero comincia a serpeggiare selvaggio tra ghiaia e rocce marroni. In pochi minuti i piedi sono passati dal calpestare asfalto e urbanizzazione, all’ambiente desertico del paesaggio protetto della Isleta. Il percorso conduce alla cima di una collina.

Il basso promontorio dominato da una croce bianca offre un panorama quasi completo su questa porzione dell’isola. A sud brontola la città con il traffico, i palazzi e il porto, speculare alla turistica spiaggia las Canteras. Più in lontananza nuvole mobili si accalcano contro la barriera montuosa fino quasi al picco di Gáldar. A ovest e a nord oceano, onde e Tenerife nascosta nella massa di umidità di questo arcipelago nascosto. Il sole è forte.

Scendo verso la costa passando largo per il villaggio di las Coloradas,  calpestando la terra ingenerosa di acqua che offre bassi cespugli di tolda, di espino e uva del mar. L’odore di spray marino e i bodyboarders che giocano con il moto ondoso portano infine alla playa del Confital.

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sabato 18 settembre 2021

Retama canaria

 


sabato 21 agosto 2021

Juniperos. Parque nacional del Teide


 

giovedì 29 luglio 2021

Al cospetto del vulcano Teide

 Il sottobosco è spoglio causa l'aridità, il terreno e il fitto manto di aghi. Altri aghi quasi gialli spuntano da pini canari di qualche anno che sono riusciti a sopravvivere a un incendio passato. Le foglie delle conifere endemiche riflettono la luce del sole che benedice la foresta e accoglie bipedi che camminano in silenziosa adorazione. La luminosità sovrasta la coltre di nuvole sottostanti che ristagnano a est. Proprio a est la cortina di umidità viene bucata dalle cime più elevate dell'isola Gran Canaria; il suo profilo roccioso quasi si confonde con il cielo lontano dell'Africa.
Sarà questa una delle giornate più importanti della lunga permanenza nelle Canarie?

A un certo momento dell'ascesa la foresta scompare lasciando posto a un terreno costituito da lapilli grigi, quasi neri. Solo qualche isolato cespuglio riesce a crescere ai lati del tratto che si inerpica dritto verso l'alto. Prima d'iniziare il percorso scambio due parole con due escursionisti canari che astutamente mi lasciano andare avanti. Parto a piccoli passi il più possibile veloci nella ghiaia profonda, sotto i poderosi raggi solari della media altitudine purificati dall'aria tersa. I due canari all'inizio sono appena dietro. Tengo duro per un tempo imprecisato senza perdere minimamente il ritmo, impegnato in quella competizione dell'orgoglio, senza voltarmi. Quando finisce il mare di lapilli in pendenza mi fermo per una foto con un accenno di sorriso sulle labbra.

Il sentiero 131 termina quando entra nel parco nazionale del Teide a 2370 metri di altitudine sopra l'oceano Atlantico. Sono due anni che tento di visitare questo luogo e ora sono al suo interno. Reprimo con difficoltà la gioia concentrandomi sull'ultima fatica: la cima della montagna Guajara, 2715 metri. Il terreno, i sassi e le rocce ora sono di colore beige chiaro.

In poco più di trenta minuti sono sul monte Guajara che porta il nome di una leggendaria principessa, e davanti il panorama cattura tutto il respiro rimasto. Gli occhi volano lontano, portati dai venti alisei: a ovest, a sud, a est si distinguono chiaramente La Palma, El Hierro, La Gomera e Gran Canaria, mentre una corona di vulcani protegge quasi totalmente Las Cañadas del Teide, un vasto altopiano a 2000 metri di altitudine che posso interamente ammirare sotto i miei piedi. Poi ci sono loro, anzi, Lui.
La montagna Blanca ma anche il pico Viejo appaiono nullità a lato del Teide che si innnalza oltre i 3700 metri, con i fianchi coperti da detriti grigi, la neve e il suo becco finale il cui cratere sommitale guarda verso il cielo.
L'oceano verginale, le isole che tentano di celarsi tra le nuvole, l'altopiano ultraterreno, i visitatori, gli animali, le ginestre del Teide ora in fiore, tutti siamo sotto di lui.

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giovedì 15 luglio 2021

Parque Nacional del Teide


 

martedì 29 giugno 2021

Camminando fino a Ifonche, Tenerife

«Che cosa c'è nel transito
che consuma le motivazioni ad esso estrinseche
e genera fini propri?»
Eric J. Leed

Il clima a Vilaflor de Chasna da due giorni non è piacevole. Notti serene e molto fresche, sole al mattino fino alle undici, poi una fitta cappa di nuvole copre tutto. Gli affabili abitanti del borgo situato a 1400 metri di altitudine ai piedi del Teide accendono stufe a legna e carbone per scaldare le case.

Speriamo oggi vada meglio. Esco presto, domato dall'intenzione di raggiungere a piedi Ifonche. Con i raggi solari che illuminano dal mare sottostante fino alle montagne più alte passo le due caratteristiche chiese di Vilaflor, incrocio la strada asfaltata, quindi imbocco il sentiero affondando nei pini canari. Nuoto senza respirare pieno di ossigeno nel centro in quella flora che ogni giorno mi cattura sempre più. L'amore cresce nel silenzio. È qualcosa che fonde fisicità con istinto, la necessità, l'immaterialità, una tensione nata dalla convivenza e dall'ardore: quale vincolo della perfezione rappresenta la Natura!

Il percorso discende lentamente mostrando scorci di una costa oceanica lontana, cime e colline arrotondate coperte dal verde. Gli alberi, i cespugli di retama e le Cistacee con i fiori bianchi e rosa affondano le radici nella terra rossa sgorgata dai vulcani. Paesaggi di altri continenti mi si affastellano nella mente.

Dopo aver passato un luogo di raccolta dell'acqua, i boschi si alternano a sporadici spazi agricoli. Siamo a inizio marzo e le coltivazioni in altitudine sono ancora in pausa anche se piante di fico e qualche vite cominciano a diffondere germogli primipari. Dove la foresta arretra i prati sono fioriti con un pullulare di insetti e richiami festosi di volatili. Due quaglie si alzano rumorosamente in volo. Oltrepasso e sprofondo in diverse vallette scavate dalle intemperie incrociando rari escursionisti canari. In una di queste gole vedo germogli di erba cipollina selvatica, l'ajillo, che al ritorno probabilmente raccoglierò.

Ifonche, 1000 m, è una delusione: qualche casa, una fermata della guagua, un posto di ristoro chiuso causa COVID. Neanche un filo di vento. Verso Arona e la costa di Los Cristianos osservo lo sviluppo di umidità che convergerà in alto. L'oceano di nuvole.

Permango qualche minuto nel nulla della non-meta per tornare presto nella pienezza dello spostamento, del cammino, nello stato di transitorietà. Undici chilometri immerso nel piacere, alimentando la passione, prima che il manto di nubi salga fino a disgiungere il mondo inferiore da quello superno dei vulcani di Tenerife.  
 
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venerdì 18 giugno 2021

Le nebbie sopra Vilaflor, Tenerife


 

martedì 25 maggio 2021

La costa di Puerto de Santiago. Tenerife sud

 «Le cose visibili sono d'un momento,
 quelle invisibili sono eterne»
San Paolo

Da quando la permanenza nelle Canarie si è dilatata in modo inverosimile, molto è cambiato. Come la familiarità con l'ambiente ogni giorno diventa più naturale, così anche l'approccio con il tempo e l'impostazione delle giornate è mutato. Si attenuano per poi tornare a esplodere momentaneamente alcune caratteristiche del viaggio come l'esplorazione, la tensione verso l'alterità, la purificazione e l'essenzialità. Ma poi... basta uno spostamento, una nuova inaspettata situazione per riattivare gli oliati meccanismi del cammino che assapora appieno la libertà, mandandola giù fino al fondo del cuore.

Il sole sulla costa sud di Tenerife è forte quando scendo calle La Hondura per raggiungere la costa che divide Los Gigantes da Puerto de Santiago.  11 del mattino di uno degli ultimi giorni di febbraio 2021. Presto sono sulla passeggiata che segue la costa in direzione sud est. Oggi respiro un vento meridionale meno caldo rispetto ai giorni passati. Con l'aria dell'oceano che fronteggia bonariamente i miei passi scendo nella playa di Santiago, una insenatura stretta di sabbia grigia dove le onde entrano mitigate dal litorale; passo velocemente da ville per stranieri a case canarie.

Digrado e salgo spiagge accuratamente vigilate ai lati da imponenti scogliere dove piccole porzioni di flora canaria riescono a colonizzare l'impossibile roccia lavica che viene dal Vulcano che solo ora posso ammirare: dopo l'urbanizzazione Varadero gli edifici terminano, lasciando affrancato lo sguardo verso le colline che in alto si arricchiscono di (quella relindura che sono i) pini canari e quindi appare Sua Imponenza, Il Vulcano più alto. El Teide ancora innevato sorride all'arcipelago e alla Macaronesia tutta dai suoi 3715 m. Attorno alla cima scivolano nuvole ventate formando un cappello effimero. Una corona.

Cammino lungo la pista ciclopedonabile che porta a Alcalá, accompagnato a destra dalla sagoma dell'isola La Gomera oltre la quale ogni sera l'astro luminoso si cela, mentre sulla costa ragazze e ragazzi sfidano le onde oceaniche muniti di surf o bodyboard. Bisogna scegliere il flutto giusto.
Il sole specchia la sua potenza nell'acqua disvelando da dietro ogni singola goccia e spruzzo che si infrange negli scogli aguzzi. Il riflusso lascia fasce di spuma chiara che vengono coinvolte da nuovi vigorosi cavalloni. Lo spray marino arriva fino a me e si inoltra per poco nell'entroterra con quell'odore caratteristico difficile da descrivere.
Bisogna scegliere?

Muovo le articolazioni, muovo l'organismo, senza sapere cosa farò l'attimo successivo, slegato dalla meta, cercando l'invisibile oltre lo stupefacente che continuamente si manifesta.

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lunedì 26 aprile 2021

Sopra le scogliere di Los Gigantes

 


domenica 18 aprile 2021

Coscienza alterata nel parco del Teno, Tenerife sud

Per raggiungere la traccia che porta a Santiago del Teide da Los Gigantes bisogna percorrere un breve pezzo di strada asfaltata. Fortuna che con la pandemia il traffico è ridotto. Fortuna che anche i turisti sono pochi. Poco prima la vista era stata affascinata dal punto panoramico che guarda sulla impressionante muraglia di scogli vulcanici di uno dei luoghi più avvenenti di Tenerife sud.

Il forte vento meridionale tiene lontano nuvole che accampano attorno al maestoso Teide mentre mi arrampico lungo una stradina costellata da piantagioni di banane incapucciate da serre. Ortaggi e alberi da frutto passano lentamente sul percorso che porta a Tamaimo; sulla sinistra montagne tropicali senza alberi definiscono la porzione meridionale del parco del Teno, la mia meta. In poche centinaia di metri di dislivello la vegetazione diventa più fitta, più rigogliosa: avvicinandosi ai rilievi e all'entroterra, minuscole ondate di umidità riescono a lambire una delle zone più aride dell'isola.

Prima del paese di Tamaimo prendo l'indicazione a sinistra che conduce alla montagna Guama. Salgo serpeggiando, con i sensi ancora una volta inebriati dalla flora canaria. Quando sono prossimo alla ubriachezza raggiungo un dosso dove posso dominare il mare increspato, le innocue nuvole che passano come frecce sotto il sole inclinato ancora verso sud e l'isola La Gomera. Il vento sulla montagna Guama si farà sentire. Eccome!
Con la lingua secca causa l'ebbrezza ascendo l'ultimo tratto che porta alla cima, nascondendo l'ombra tra fitti cespugli di euforbia "cardón" 100% canaria. Prima di raggiungere la meta riesco a vedere per qualche minuto la punta gialla del signore delle montagne.
 
Dalla Guama osservo il mondo: il selvaggio parco del Teno cosparso da picchi aguzzi e da canyon che scivolano pericolosamente nell'oceano tra imponenti scogliere di vulcani, e poi a  sud e a ovest raggiungo facilmente La Gomera e tutta la costa Adeje quasi fino a Los Cristianos. Il vento imprendibile gira attorno al cardón, alla tabaiba, alla ginestra, al verode in fiore. Le piante, le foglie, gli steli autoctoni si piegano di fronte alle correnti ma rimangono integri. Solo una anima imperfetta vacilla.   
 

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venerdì 26 marzo 2021

Flora endemica canaria





 

lunedì 1 marzo 2021

Nel parco di Anaga. Tenerife nord

  

Il tranvia risale dal mare per raggiungere i 540 metri de La Laguna. Nella stazione degli autobus scopro che hanno ridotto le corse per Cruz del Carmen. Cambio il programma invertendo il giro: partirò da Punta del Hidalgo anziché arrivarci.

La costa di barlovento appena fuori dalla Punta è selvaggia, aspra, con le scogliere alte e nere di lava che trattengono la potenza dell’oceano. Sono le 11 e 50 del primo giorno di marzo quando le suole consumate delle scarpe si appropriano del sentiero numero 10 che conduce alla Croce del Carmen.

La luce diretta e potente irradia montagne aguzze coperte da bassa vegetazione, mettendo a nudo una valle strettissima che serpeggia lunga verso est, verso lo sconosciuto.

La traccia sale ripida a sinistra rispetto alla gola, immergendosi nella meravigliosa vegetazione endemica canaria di bassa quota: cespugli di tabaiba, il gommoso e strano verode che si gonfia d’acqua quando essa arriva, il cardón che sembra esattamente un cactus, aeonium a scelta. Piante da fiori gialli e azzurri si mescolano a qualche essenza introdotta dall’America come il fico d’india e l’agave.

Salgo svelto sul sentiero costituito da uniformi rocce chiare che virano al rosso, rigurgitate dalle profondità dell’oceano Atlantico, cominciando a incrociare stranieri e canari che sono partiti da Cruz del Carmen. C’è anche un gruppo di ragazze accompagnate da una suora.

Raggiunto il mirador di Aguaide, lo sguardo finalmente spazia dalle frastagliate coste che conducono alla fine settentrionale di Tenerife, per poi dirigersi nell’entroterra fatto da picchi affilati coperti dal verde. Il parco di Anaga.


Arrivato alla località di Chinamada, avverto che qualcosa di importante sta cambiando nel tempo: vento molto forte da est, e un cielo azzurro e trasparente che diventa via via fosco. Calima!?


Risalendo ancora verso la Croce la vegetazione cambia, dando sviluppo a boschi ombrosi di lauracee e, negli spazi più assolati, a bassi cespugli di jara di Anaga. Quando la pendenza si mitiga e le cime diventano rotondeggianti, compaiono prati e piccole coltivazioni agricole.

Anche se l’occhio destro è malmesso per qualcosa entrato col forte vento, nonostante la potente calima in arrivo che porta polvere dall’Africa, non riesco a non apprezzare l’ambiente circostante quasi prealpino, con colline boscose, piante da frutto e l’erba in fiore corteggiata da insetti che vogliono assolutamente ricominciare.

 

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martedì 9 febbraio 2021

A pochi metri dal paradiso: il rifugio Punta de Los Roques. La Palma

 

Grande gita oggi. La guagua 300 mi lascia al Centro visitatori del Parco nazionale Caldera de Tamburiente. Inizio di febbraio a quasi 900 metri di altitudine e la primavera nel centro dell’isola La Palma sorge all’improvviso con le erbe e i peschi selvatici in fiore, i richiami dei volatili e l’aria che profuma.

Dopo aver passato il santuario della Vergine del pino, il bosco di conifere endemiche impera. Magnifici esemplari di pino canario scorrono negli occhi adoranti. Il sentiero bianco e giallo n. 1 comincia a salire arrampicandosi per una costa che ascende fino alla leggendaria Ruta de Los Volcanes.

Il mondo là in basso e all’orizzonte appare come un puzzle incompleto causa le chiome degli alberi e qualche nuvola. Vedo a pezzetti una parte della Caldera, il Pico Bejenado, Los Llanos e l’oceano Atlantico senza più confini a ovest.

La traccia rocciosa sale a zigzag senza pietà. Supero un tedesco e poi una coppia che spinge bici elettriche.

Ben presto raggiungo il sentiero 131 lasciando l’oscurità della foresta dai rami grondanti di licheni. Sono sulla principale dorsale dei vulcani. Ahora sí.

Poco dopo il percorso tocca il versante est con una macchia estemporanea di Lauracee e il mare di nuvole basse che copre l’altra metà dell’isola fino a sud. Dal magma nuvoloso svettano lontani El Teide completamente innevato, La Gomera e El Hierro.

La salita verso il rifugio Punta de Los Roques dal Reventón segue il crinale vulcanico, tra pini e un sottobosco rado, dove spiccano piante dai fiori simili alla rosa canina, della famiglia delle Cistacee. All’ombra ancora qualche traccia di neve caduta tra il 4 e il 5 febbraio 2021.

La Ruta de Los Volcanes raggiunge in questo tratto il massimo di 2000 metri di altitudine, passando per il Pico Ovejas, mentre da ovest stanno arrivando nuvole più insidiose. Il sentiero scende.

Il refugio de Punta de Los Roques mi aspetta solitario, con una visione paurosa sulla Caldera di Tamburiente e l’imponente canyon/conca da essa creato. Osservo per lungo tempo il Pico de La Cruz, il Roque de Los Muchachos e gli abissi della gola, con il signore dell’arcipelago a sud est sempre presente. Al signore Teide riuscirò a rendere omaggio fino a quando le nuvole ascendenti copriranno i panorami.

 

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martedì 2 febbraio 2021

La Ruta de Los Volcanes. La Palma sud

 

Oggi voglio spingermi verso un punto mai raggiunto sul sentiero GR 131 che porta al rifugio El Pilar.

I boschi di pino canario cominciano appena sopra il paese di Fuencaliente. Respiro ossigeno impregnato da aromi di resina mentre il corpo si inerpica su colline che diventano sempre più alte. Dove la persistente coltre di aghi di pino non arriva, il sottobosco germina di piccole erbe e fiori di montagna. Dopo le benefiche piogge cadute nella prima metà di gennaio 2021, tutta la vegetazione sta rinascendo; quando le temperature si alzeranno forse spunteranno i funghi.

Seguo attentamente i segnavia bianchi e rossi con la mente che si libera ad ogni passo, calpestando un terreno che alla sabbia vulcanica alterna rugose rocce di colate che ancora non si sono mimetizzate nel paesaggio. Supero una coppia di anziani tedeschi.

Oltrepassati i 1000 metri il percorso diventa meno pendente, offrendo alla vista magnifici esemplari di pino le cui spesse cortecce conservano ancora le vestigia di incendi passati. A giudicare dalle giovani piante, sono almeno tre anni che il fuoco non si propaga.

Quando arrivo sotto il vulcano Martín tutto diventa straordinario: sovrastando il mare di nuvole che guardano a est e a sud appaiono le cime delle isole El Hierro e La Gomera, mentre sua maestà innevata il vulcano Teide, 3715 m, domina Tenerife.

Il cammino faticoso su fini lapilli conduce al cratere del Martín a 1550 metri e quindi a una serie di vulcani sempre più alti della formazione orografica che da sud dell’isola di La Palma raggiunge i punti più alti con la Caldera di Tamburiente. Pini canari pongono radici su terreni di color rosso, mattone, grigio e nero.

Dopo la parete de La Deseada sopra i 1900 metri, il sentiero scende verso un paio di vulcani neri. Qui il vento si è finalmente fatto sentire, anche se continuo a rimanere in maniche corte.

I passi portano fino a un immenso canyon, oltre il quale la Ruta de Los Volcanes 131 si abbassa fino al rifugio El Pilar. Ho raggiunto l’obiettivo: 12-13 chilometri toccando tutti i vulcani più significativi della dorsale sud; crateri dalle forme e colori più disparati, colate di lava che hanno rigurgitato nell’oceano, isole dell’arcipelago che crescono oltre le nuvole. Ora devo scendere. Le giornate di febbraio sono ormai lunghe; la luce illuminerà i Panorami ancora per molto.

 

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venerdì 22 gennaio 2021

L'eruzione del vulcano Teneguía

 

Appena prima dell’entrata al vulcano San Antonio il sentiero precipita in basso, verso il mare.

Dalle ultime pendici del villaggio di Fuencaliente scivolo sulla ghiaia grigia per più di cento metri fino a una pianeggiante strada sterrata. 

Mi trovo mezzo chilometro sopra l’oceano Atlantico in uno dei punti più a sud ovest dell’arcipelago canario e dell’Europa politica. Il sentiero 131 che costeggia la maggioranza degli straordinari vulcani dell’isola di La Palma sta per terminare, esplorando l’eruzione più recente.

Dopo aver passato piantagioni di vite esposte a ovest, il percorso vira decisamente a sinistra, e da qui è possibile troneggiare il vulcano Teneguía con la sua chilometrica colata che raggiunge la costa. La bocca del cratere color mattone scuro è collassata nella sua parte più distante dal mare, costringendo il magma a realizzare un percorso illogico ai piedi di colline per infine raggiungere l’acqua.

Il sentiero 131 scende ondeggiando verso la colata del Teneguía dell'anno 1971, mentre la vegetazione si riduce ancora. Cinquant’anni tra qualche mese sono passati e, a prima vista, poco pare cambiato.

Mentre un ininfluente vento meridionale lascia scorrere ininfluenti nuvole passeggere, le scarpe si destreggiano a fatica tra scabre pietre nel pieno della colata lavica. Il percorso vede ai suoi lati una impenetrabile accozzaglia di rocce scure dalle moltitudinarie forme e livelli. Nei punti più inimmaginabili piante solitarie colonizzano lentamente il territorio.

Lasciato il fiume di magma che scende diritto al mare, il panorama diventa meno aspro con il ritorno della ghiaia e sabbia dei lapilli. Essi hanno ricoperto dossi e colline, con l’eccezione di qualche roccia.

La mitica Ruta de los Volcanes 131 è quasi terminata. Finirà toccando il faro di Fuencaliente nell’estremo sud di La Palma. Poi l'oceano.

 

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martedì 5 gennaio 2021

Libero nell'isola La Graciosa

 

È un attimo uscire da Caleta de Fuste per immergersi nell’ambiente semidesertico de La Graciosa.

Un giorno prima della Epifania, in piena burrasca denominata Filomena che sta portando acqua e qualche disagio perfino nelle Canarie. Oggi tira vento da ovest che porta ondate di globi nuvolosi. Decido di salire sull’Aguja Grande che troneggia davanti al mio incedere.

Per evitare le jeep “safari” che scarrozzano i turisti intorno all’isola, prendo un sentiero che punta diritto al mio vulcano.

Mi volto indietro verso le basse case bianche di Caleta de Fuste e osservo l’ambiente che sto attraversando: il sentiero sabbioso, i cespugli bassi in parte secchi rivivono la loro primavera, le minuscole piantine da poco germinate. Gli occhi si spostano verso la mia direzione, la direzione del vento che non porta pioggia. Per ora.

La traccia non indicata che sale sulla Aguja Grande comincia dietro un giardino recintato. La terra chiara di basalto è ora disseminata da ostili pietre vulcaniche e da lapilli, l’inizio del Malpaís. Passo a fianco di qualche orto abbandonato dove pazienti agricoltori avevano utilizzato i sassi per costruire muretti antivento.

Aggirato un canyon, il percorso si inerpica verso il crinale basso del cratere. Qui le rocce sono coperte da licheni dai diversi colori.

Quasi subito sono nella parte più alta del vulcano ma all’orizzonte si profila un flusso di nuvole che scaricano pioggia, dirette proprio verso la Aguja Grande. Il vento fortunatamente è piuttosto forte, quindi l’orda d’acqua dolce dovrebbe essere veloce. Mi riparo dietro delle rocce.

L’ondata di pioggia leggera passa di tutta fretta, lasciando un arcobaleno che termina a poche decine di metri da dove mi trovo. Risalgo nella parte più alta del vulcano per dominare le altre inabitate isole dell’arcipelago più settentrionale. A sud le alte scogliere di Lanzarote sono celate da fitte nuvole che sembrano immobili.

Con il sole, con nuovi arcobaleni nei cieli e nessuna nuova minaccia, scendo nella parte centrale del cratere. Qui, al riparo dai venti e dallo spray marino, in mezzo a cespugli che non hanno resistito alla prolungata siccità, sembra di essere calati in un altro mondo: prati di fiori gialli e bianchi, erba cipollina selvatica e piante sconosciute i cui semi ibernati sono arrivati alla agognata germinazione.

 

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