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mercoledì 26 gennaio 2011

Bangkok oscura

Ad una certa ora della notte il tempo diviene cosi' rarefatto che la sua significanza si scioglie negli antri della mente; le cose evolvono attorno a noi, le azioni modificano il presente ma pare di essere in una condizione di mezzo posta tra l'infinito ed un futuro immaturo.
Sono seduto insieme a Wende sul bordo della vetrata di un negozio nel quartiere Patpong. Dai bicchieri di plastica trasparente sorseggiamo the amaro in silenzio mentre nel vicolo illuminato, a qualche metro da noi, vediamo scorrere la babilonia: spacciatori ed intermediari del sesso vestiti in modo distinto, vecchi occidentali accompagnati da puttane sformate a fine carriera, uomini di mezza età insieme a giovani dai capelli folti, gruppi di ragazzi ubriachi che parlano forte. Persone col bisogno disperato di denaro, uomini disperatamente illusi, uomini impauriti dalla solitudine, persone che mettono paura solo ad incrociare i loro occhi oscuri. E' il rito quotidiano che si celebra dall'arrivo di ogni liberatorio crepuscolo sulla Citta' degli Angeli; e' solo una misera, poco significante, a tratti folcloristica, porzione di vita in questa vasta citta'.
Sorseggio il the freddo nella canicolare metropoli insieme a Wende, mentre rumori di musica sincopata dei locali e dei go-go bar si affastellano perversamente nel cervello. Luci abbaglianti vorticano rifrangendosi nella plastica trasparente del mio bicchiere ormai vuoto. Con i sensi vigili aspettiamo Lin Lin ed il ragazzo allegro che sono ancora dentro un negozio non-stop.

Una volta scesi dal taxi proveniente da Banglamphu, abbiamo percorso il mercato notturno di Patpong colmo di prodotti orientali, occidentali, copie di oggetti di lusso accanto a bancarelle del cibo. Lin Lin e Wende osservavano con compassata attenzione le offerte lanciate dai venditori ambulanti, mentre con il ragazzo vivace ci divertivamo a fare battute sui diversi prodotti clonati con abilita'. A questo gioco scherzoso si è poi unita l'aggraziata Lin Lin, passando accanto alle discoteche ed ai go-go bar pieni di turisti intrattenuti da ragazze in abiti succinti. Lungo la Thaniya, la Surawong e altri vicoli oscuri si dipanavano locali s-pdai nomi esagerati, pacchiani, osceni, dai prezzi gonfiati, zeppi di musica e luci accecanti. Uomini tarchiati della sicurezza alle porte dei luoghi piu' esclusivi dall'apparente profilo dimesso, accanto ad intrallazzatori dai volti sfuggenti. Ai nostri corpi pallidi irradiati dai neon delle insegne venivano offerti volantini o cataloghi reclamizzanti locali, donne, uomini e massaggi esclusivi.
“Diversi thailandesi ci hanno detto che la vera prostituzione si e' trasferita in altre zone della citta'”, afferma Lin Lin, incrociando una serie di locali molto simili tra loro, tra i richiami delle ragazze.
“E allora andiamo...”, provoca il ragazzo vivace.
“Anche se non me ne intendo, alcuni di questi posti assomigliano alle copie degli orologi di marca che abbiamo appena visto: più apparenza che sostanza”, aggiunge pacatamente Wende, “copie annacquate”.

E' un'ora impossibile da definire; succede quando si scavalca abbondantemente la barriera invisibile della notte che degrada lentamente verso la sconfitta con la luce del nuovo giorno. Ma qui pare che tutto possa continuare per sempre.
Una volta ricongiunti con Lin Lin ed il ragazzo allegro decidiamo di uscire dal triangolo di Patpong per dirigerci a piedi lungo la Ratchadamri ed il parco: abbiamo voglia di cambiare aria prima di tornare a Banglamphu.

Bangkok oscura accompagna sotto le sue ali tolleranti i Vagabondi del viaggio fuori dalla iperbolica commedia di Patpong, e loro inalano finalmente la brezza misurata, il caldo trattenuto di una citta' riposata dal traffico e dal commercio.
Una nuova lattiginosa alba si avvicina alla prossimita', e Bangkok, la Citta' degli Angeli, l'invincibile cortigiana di silicio sempre pronta a schiudersi di fronte ad un inchino mellifluo e' qui, generosa, attorno alle cose.
Cammina piano l'eclettico quartetto che a tratti si moltiplica nelle vetrate dei grattacieli di Sala Daeng: e Wende con la sua flemma di cinese dominante nella benestante Penang, istruito nelle universita' del Regno Unito; ed io, occidentale, affine al centro Europa, senza paese e ricco di molti paesi. E le dissimulazioni provocatorie del ragazzo allegro; e poi Lin Lin, sì, con la grazia e una tenacità profonda che guarda oltre e oltre.
Quattro spiriti incontrollabili. Quattro eredi della solitudine.

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sabato 26 settembre 2009

Rientro

Mi rivedo con i vissuti vestiti da lavoro
le scarpe da tennis
sudato e stanco.
Nulla cambia, tutto è differente
familiare e diverso.
Dopo anni sono tornato
questa è casa mia?
San Carlos, B., agosto 2007

Sono tornato. La prima notte qui, nel Nord, l'ho passata attraversando visioni composite. In un'ora non ben precisata mi sono alzato nel buio ed ho vagato lentamente per un tempo indefinito. Probabilmente comprendevo dov'ero ma non lo realizzavo totalmente, inoltre mi circolava nella testa una musica di M. Herbert, One life. Il sistema cognitivo era piatto e non sapevo assolutamente cosa volevo fare. Nel contempo la mente lavorava in modo autonomo: "Che fresco, che aria secca, ma che silenzio, dov'è il suono del ventilatore?" (...)

Spaesamento. Sono qui ma sono la'. Sono la'. Forse no. Questa antinomia mi persegue da giorni. Penso in diverse lingue, i ricordi sono così forti e palpabili che non capisco. Entro ed esco in panorami straordinari, in stanze soffocanti e squallide, volo nel liquido che mi ammalia, ingurgito la strada in movimento, incontro persone incredibili, mangio nei warung-warong-food court-indian restaurant e me ne sbatto dell'igiene. Da quando mi sono innamorato, il sottile budget giornaliero è vincolato all'acquisto del Durian, il frutto che gli occidentali apprezzano molto poco. Asini.
Sono dimagrito parecchio, ma che voglia di dolci... di solito li guardo con distacco, invece ho sognato una torta con la panna. Il viaggio modifica le abitudini, le assoggetta ai mondi che si percorrono, sedimenta la personalità scavandoci attorno solchi pieni di significato. Il movimento porta il viaggiatore all'essenzialità.
Mentre osservo le foto mi chiedo: "Sono io che ho percorso tutti questi sentieri variopinti?", ogni momento che passa sento più estranee queste immagini.
I giorni scorrono e il viaggio si appanna; esso viene rimosso con una tenace delicatezza, sovrapposto dall'inesorabile quotidiano.
La bocca è secca, il mattino ora è meno agrodolce, il mattino porterà poco rinnovamento.

lunedì 1 settembre 2008

Dal Bangladesh al Sikkim

Quando è stato il primo viaggio, l'iniziazione verso ciò che libera? Credo a 18 anni in un autostop solitario, dormendo in case raminghe, oppure ai bordi della strada sotto il cielo del mondo.

Questa volta, il passaggio repentino dalla Lombardia a Dhaka e' stata una nuova, eccitante sfida. Non la piu' difficile (l'America Latina ed io -ventitreenne- in solitaria) ma sicuramente un'esperienza ricca.
In Bangladesh ho avuto la fortuna di conoscere in prima persona esperienze innovative e realta' diverse, osservando i mondi che ci attorniano e venendo a contatto diretto con molte persone; in modo consapevole ho cercato di assorbire qualcosa di utile anche per il mio lavoro di formatore.

In questo ristorante di Ravangla, nel Sikkim occidentale, ora non sento piu' il caldo incredibile della pianura e di Dhaka, in cambio ricordo vivamente il quartiere e la casa di bambu' di Lucio, i volti, l'accoglienza e la gentilezza estrema dei bengalesi.
La porta di questo locale a Ravangla e' aperta e vedo entrarvi la nebbia del monsone; duemila metri piu' sotto e tante centinaia di chilometri verso sud, i bambini di strada di Dhaka li percepisco lontani, ma non sono affatto scomparsi e le loro tortuose vite continuano. In questo mondo dove sono decine di milioni i bambini lavoratori, la tristezza che ne deriva e' infinita, per fortuna che ci sono tanti Jackline, Lota, Lucio, Coco...
Accanto a me un gruppo di uomini beve rum made in Sikkim allungato con acqua.

Questa mattina ho fatto un'ottantina di chilometri nel cuore del Sikkim (SK), da Gangtok a Ravangla. Per entrare nella regione bisogna ottenere un permesso speciale dal governo indiano, causa la sensibililita' con il confine tibetano. Molte zone del nord SK sono off limits per gli stranieri. In Sikkim la popolazione e' fortemente influenzata dalla cultura nepalese-tibetana, sembra non trovarsi in India. Per spostarsi tra le verdissime montagne si utilizzano jeep collettive Tata. In questa stagione dove il monsone sta per declinare, le strade sono ancora dissestate per le piogge e le numerose frane che spesso bloccano la mobilita' a motore. In due ore siamo scesi a 350 metri, per poi risalirne altri 2000 guadando torrenti e schivando massi franati da poco. Dal finestrino vedevo palme, scimmie, bambu', fiori sgargianti e poi piantagioni di the, riso e piccoli frutteti. Sulla strada c'erano uomini e donne che tagliavano l'erba e bambini che andavano a scuola con le loro divise scolastiche. Anche se non sono appassionato di auto e ferraglie motorizzate varie, e' davvero eccitante andare in jeep su questo territorio immerso nella giungla e poi dalla vegetazione di alta montagna; sembra un rally tra i monti e il terreno accidentato. Ma forse lo e' veramente, solo che la gente usa queste solide jeep per spostarsi e non per giocare a chi guida meglio.

Ad una cinquantina di chilometri da qua, al confine col Nepal, c'e' la terza montagna del mondo, il Kangchenjunga. Purtroppo non riesco a vederla perche' il monsone la copre con insistenza. Chissa' se il dio delle nuvole mi offrira' la visione dell'Himalaya?
Prossima tappa Pelling, Sikkim, e poi verso il Nepal.
 
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