martedì 27 marzo 2012

Il cuore di Buenos Aires

I pappagalli volano insieme nella citta' della Buona Aria. Il loro movimento in dissonanza col vento li ha fatti posare sui rami dell'immenso toborochi che si espande sopra di me. I piccoli e rumorosi uccelli verdi beccano il contenuto fibroso dei frutti del toborochi, il palo borracho, l'albero dal tronco panciuto.
Osservo in silenzio gli animali dal prato della plaza San Martín. Sono disteso sull'erba giovane che la primavera ha portato, mentre viaggiatori, funzionari, coppie di ragazzi, transitano dal centro verso le stazioni di Retiro. Rumore di brezza marina e di volatili che cantano la stagione della luce si mescola al rombo del traffico della grande avenida Del Libertador.
Pappagalli e palo borracho. Uno dei simboli di Santa Cruz è il toborochi. In mezzo a Toborsensazioni di tropico dove il sudore svanisce nell'asfalto bollente della strada e la pelle scorticata ogni giorno a sangue incontra se’ stessa nella solitudine, i pascoli immensi fuori dalla Citta' della Croce potenziata offrono visioni di palme motacú, bibosi rampicanti  e toborochi incastonati nel cielo d'America; nella selva che scompare per sempre dal patrimonio della Terra si possono ancora osservare pappagalli giganti Ara dal volo maestoso. In quella citta' lontana il mese di giugno esibiva pingui toborochi fioriti di rosa e rosso pastello.
Dopo aver vagato per il Microcentro, in tarda mattinata mi sono recato al terminal dei bus di Retiro per informarmi sugli orari delle destinazioni verso il Sur, il Sud. I prezzi sonoav. del Lib saliti in modo osceno rispetto al 2007. Da domani andro' a dormire nell'ostello vicino al mio alloggio. Guardo gli uccelli verdi sfibrare il bianco dei frutti dell'albero, addormentandomi nel cuore di Buenos Aires.
Mi fermo qualche secondo ad osservare il cartellone, tra la confusione di gitanti, venditori ed impiegati. E' una promozione turistica governativa della provincia norteña di Misiones. Non volevo passare per la calle Florida, invece mi trovo qui, assorto ad osservare il poster. In pochi istanti decido di modificare i programmi: “Acquisto un pass di cinque viaggi a lunga percorrenza con l'autobus, e mi lancio anche al Norte, dalle parti di Iguazú!”, dico con rinnovata contentezza. Un'amica conosciuta nella Regione dei Laghi, affermava: “La curiosita' verso il mondo, la liberta', si ingigantiscono nel viaggio indipendente”.
Sotto gli affascinanti palazzi bianchi la via pedonale è colma di lucidi negozi di artigianato, di caffe', di bancomat e di venditori ambulanti. A quell'ora pomeridiana la gente è tanta, troppa, che ti obbliga a rendere frammentaria e fugace l'osservazione; accelero il passo per dirigermi nella via San Martín, verso la piazza De Mayo.
La sera il mondo sembra diverso. Nelle grandi citta' l'imbrunire porta una fresca, elettrizzante tranquillita': la gente si muove con passo rilassato, parla forte, ride, gode dell'aria e degli spazi liberati.
Sposto i passi lievemente intorpiditi da una birra fino ad incrociare il viale immenso; forse correndo veloce veloce si potrebbero attraversare tutte le diciotto corsie della avenida 9 de Julio. Continuando a percorrere Congril viale De Mayo verso il Congreso, gli occhi si spostano dalle vetrine gaie dei ristoranti, ai platani dalle foglie giovani, per raggiungere gli edifici stile europeo che culminano in torri e cupole.
Dopo aver passato la Inmobiliaria ed il maestoso palazzo Barolo sono nella piazza del Congresso: negli spazi verdi, signori distinti portano a passeggio il cane ed improbabili sportivi fanno ginnastica su fazzoletti di prato. Nel lato sinistro della piazza intravedo diversi gruppetti di persone. Mi avvicino e capisco che sono uomini e donne senza fissa dimora che stanno ricevendo pasti caldi da un gruppo di volontari.
Sotto il buio della citta' che guarda alla primavera rimango ad osservare il palazzo del Congreso e le case, le persone sedute nei bar alla moda e i senzatetto curvi sui gradini della strada.
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giovedì 1 marzo 2012

La primavera gira su Buenos Aires

Veloce scivolano le orme sulle piastrelle della Suipacha, Microcentro, nel cuore della capitale piu' attraente dell'America del Sud. Le mie orme, la pelle, il mio fiato vorrebbero includere per sempre la primavera australe che gira sopra Buenos Aires. Nella via scorrono ragazzi in bicicletta e affrettati passanti; nei loro vestiti che anticipano climi piu' miti e nei loro ampli respiri riconosco l'afflato verso il tempo propizio.
Sono mesi e mesi che affronto stagioni che durano una manciata di ore, stagioni perdute, stagioni lontane che i venti modificano come girando un vecchio interruttore manuale pieno di polvere. Questo avviene a Santa Cruz, parecchio piu' a nord, nel tropico americano, dove le nuvole gareggiano pacificamente tra loro sopra le foreste arretranti; durante il mese di giugno e luglio la temperatura poteva variare di una ventina di gradi da un giorno all'altro. Poi è arrivato il caldo. E non è andato via.
Quando viaggio a volte mi viene da fare un gioco mentale che consiste nel catapultare una persona conosciuta o me stesso nel luogo dove mi trovo. Ovviamente non si deve conoscere il posto, con il proposito  -secondo quello che nell'immediatezza i sensi offrono- di avvicinarsi alla comprensione di dove ci si trova. Allora. Il clima è mite, l'odore intorno sa di primavera, di infiorescenze e di alberi di citta' dalle forme poco esotiche; gli imponenti palazzi sono in stile occidentale, la gente, be' la gente è soprattutto di carnagione bianca e la lingua... facile: sono in Europa; dai vestiti e dai movimenti delle persone, dalle scritte e dai volantini sui muri pare pero' un’Europa strana che incrocia modernita', rigore, decadenza, retrò, anarchia e ventate rivoluzionarie. Come in un film degli anni settanta ritoccato ai giorni nostri.
Ho preso la Suipacha perché lungo il tratto del Microcentro è una via libera dal traffico privato e meno affollata della parallela Florida. Portandomi verso il quartiere Retiro vedo negozi antichi gestiti da signori d'eta', banche, bar, chioschi dominati da palazzi costruiti nel vicino secolo scorso. Ma è nei ed1grandi viali che ora attraverso dove si puo' ammirare l'architettura francese ed italiana mescolata a qualche edificio piu' recente, mentre sulla sinistra scorgo l'imponente obelisco bianco che spunta dalla avenida 9 de Julio.
Sono arrivato da un paio di giorni nella citta' dalla Buona Aria e mi pare di essere qui da un mese. All'aeroporto ho chiesto a due taxisti se il bus di linea 86 si reca ancora in centro; con la consueta gentilezza disinteressata di questo popolo mi hanno risposto affermativamente, anche se ora il numero del mezzo pubblico e' diventato 8. Con i vestiti e l'epidermide che respirano la stagione dove tutto comincia, mi avvicino alla fermata del bus. Domando ad una ragazza che aspetta il suo turno per salire sul convoglio quanti soldi ci vogliono, lei mi risponde: “Due pesos in moneta”; le chiedo se mi puo' cambiare una banconota di piccolo taglio, lei mi regala i soldi come fosse la cosa piu' normale del mondo. “Sono a casa”, mi son detto.
Dall'autobus vedo pascoli, fattorie e piccoli centri urbani. Negli spazi verdi prossimilleg all'autostrada sono parcheggiate auto con adulti e bambini che si godono il clima mite domenicale. Dopo due ore di strada, di periferie e di viali infiniti sono sulla Yrigoyen, a due passi dalla 9 de Julio. Dirigo le gambe verso un piccolo hotel economico del centro. La prima notte nell'albergo ed il volo di ritorno è l'unica cosa che ho fissato in questo lungo cammino sulle strade d'America.
La primavera gira su Buenos Aires e colui che cerca senza mai trovare si muove lungo vie illuminate di bianco e di sole, verso la stazione di Retiro. Con il tempo una volta sovrano, ora liberato. 
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