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sabato 12 febbraio 2022

Nel parco nazionale di Garajonay, La Gomera

 

Da Pajarito in un attimo si arriva al punto più prominente de La Gomera. L’Alto di Garajonay, 1480 m, offre grande spazialità, nonostante la calima stazionata a basse altitudini: Tenerife e il suo picco alto, La Palma con le due serie di rilievi che superano i 2000 metri. L’isola El Hierro, l’isola più lontana dell’arcipelago, si nasconde tra le sabbie trasportate dai venti e l’umidità dell’oceano. Nella cima collinare rimango poco perché il percorso 18 che voglio affrontare oggi sembra impegnativo. Così dicono le compiacenti indicazioni fornite dal parco nazionale di Garajonay.

Scendendo da Contadero, 1350 m, il mondo toccato fino alle sue più lievi pulsazioni, cambia nell’interezza. Dal sole all’ombra, dalla luminosità a una profonda oscurità. Sono nella più importante area di laurisilva della Macaronesia. Nel bosco sempreverde di lauracee del parco di Garajonay, oltre a trovarsi in un altro ambiente, ci si sente proiettati indietro in quelle che erano le antiche foreste che coprivano il mediterraneo. Superstiti del passato. Nella sua ricca biodiversità riconosco appena l’acebiño, l’erica arborea, la faya, il tilo ‘canario’; piante antiche che raggiungono fino a quaranta metri di altezza. Ammiro brezos (erica arborea) le cui basi superano i cinquanta centimetri di diametro!

Discendo il sentiero 18, nella selva ombrosa cosparsa da felci e fiori strani, con muschi e licheni penzolanti dagli alberi che raccolgono l’umidità dalle nuvole portate dagli alisei.

Le gambe portano fino alla località El Cedro, dove i suoi spazi aperti abbagliano gli occhi. Ora bisogna salire per raggiungere Reventón Oscuro (…) e La Zarcita. Poco prima di guadagnare quest’ultima meta, in un miracolo, il bosco sempre più rado si apre con un paesaggio da favola: sopra un grosso masso ai cui piedi riposa una sabina o un cedro, vedo l’oceano, il Teide e i torrioni rocciosi del parco di Garajonay, come il roque di Agando; sulla sinistra viaggia il mare di nuvole in continua mobilità interna.

 

 

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martedì 14 dicembre 2021

Dalla Cruz di Tejeda al Roque Nublo


Ho appena intrapreso una delle più significative escursioni che si possono realizzare nell’isola di Gran Canaria: Cruz di Tejeda-Roque Nublo. I cartelli dalla Croce indicano che per raggiungere il famoso monolite bisogna inizialmente prendere la direzione di Llanos de la Pez.

Il sentiero si immerge fin quasi dall’inizio in un mare di pini canari, costeggiando crinali dai quali escono periodicamente panorami mozzafiato nonostante una leggera foschia causata da una calima residuale. Anche qui l’incendio devastatore di qualche anno fa ha violato buona parte del sottobosco di cistacee e ginestre che, con molta fatica, stanno dando vita a nuove essenze germinate nel grembo della copertura di aghi di conifera.

La traccia ben segnalata si sviluppa gioiosamente senza grandi dislivelli, cavalcando colline vulcaniche dalle quali a nord domina la zona più umida di Vega San Mateo e i prodromi della città di Las Palmas, mentre a sud e a  ovest svettano montagne, picchi e piccoli villaggi bianchi. Il Roque Bentaya e il Nublo primeggiano per bellezza. L’oceano in basso è immerso nella bruma, mentre l’isola di Tenerife con il suo vulcano alto sono solo un sogno.

Tutte le visioni medio-lunghe si miniaturizzano quando si entra nella foresta che porta a Llanos de la Pez, così pure le tracce del percorso si moltiplicano dovendo di conseguenza prestare attenzione ai radi segnali. Il bosco emana odori di resina e si odono rumori del picchio e segnali alti di rapaci.

Ora sono in località El Garañon dopo cinque chilometri di cammino, e da qui comincia una discesa per poi risalire fino ai 1800 metri del Roque.

Giunto alla piattaforma finale dalla quale si innalza l’immensa massa rocciosa del Nublo sono infine arrivato alla meta. Venti meridionali poco intensi portano velature alte di nuvole. Scelgo una posizione strategica e mi siedo di fronte al Roque. Sembra impossibile che da questa spianata brulla possa essere rimasta una roccia quasi perfetta che si innalza verso l’etere.

Rimango a lungo davanti alla rupe, con le sue facce che cambiano con il girare basso del sole di dicembre. Lontano e a ovest scorgo la Aldea e Tamadaba, posti conosciuti.

È sempre il sole di fine anno che mi avvisa di alzarmi e prendere la via del ritorno per Tejeda, non prima di aver circumnavigato appena poco dal basso lui, il Roque Nublo.

 

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giovedì 29 luglio 2021

Al cospetto del vulcano Teide

 Il sottobosco è spoglio causa l'aridità, il terreno e il fitto manto di aghi. Altri aghi quasi gialli spuntano da pini canari di qualche anno che sono riusciti a sopravvivere a un incendio passato. Le foglie delle conifere endemiche riflettono la luce del sole che benedice la foresta e accoglie bipedi che camminano in silenziosa adorazione. La luminosità sovrasta la coltre di nuvole sottostanti che ristagnano a est. Proprio a est la cortina di umidità viene bucata dalle cime più elevate dell'isola Gran Canaria; il suo profilo roccioso quasi si confonde con il cielo lontano dell'Africa.
Sarà questa una delle giornate più importanti della lunga permanenza nelle Canarie?

A un certo momento dell'ascesa la foresta scompare lasciando posto a un terreno costituito da lapilli grigi, quasi neri. Solo qualche isolato cespuglio riesce a crescere ai lati del tratto che si inerpica dritto verso l'alto. Prima d'iniziare il percorso scambio due parole con due escursionisti canari che astutamente mi lasciano andare avanti. Parto a piccoli passi il più possibile veloci nella ghiaia profonda, sotto i poderosi raggi solari della media altitudine purificati dall'aria tersa. I due canari all'inizio sono appena dietro. Tengo duro per un tempo imprecisato senza perdere minimamente il ritmo, impegnato in quella competizione dell'orgoglio, senza voltarmi. Quando finisce il mare di lapilli in pendenza mi fermo per una foto con un accenno di sorriso sulle labbra.

Il sentiero 131 termina quando entra nel parco nazionale del Teide a 2370 metri di altitudine sopra l'oceano Atlantico. Sono due anni che tento di visitare questo luogo e ora sono al suo interno. Reprimo con difficoltà la gioia concentrandomi sull'ultima fatica: la cima della montagna Guajara, 2715 metri. Il terreno, i sassi e le rocce ora sono di colore beige chiaro.

In poco più di trenta minuti sono sul monte Guajara che porta il nome di una leggendaria principessa, e davanti il panorama cattura tutto il respiro rimasto. Gli occhi volano lontano, portati dai venti alisei: a ovest, a sud, a est si distinguono chiaramente La Palma, El Hierro, La Gomera e Gran Canaria, mentre una corona di vulcani protegge quasi totalmente Las Cañadas del Teide, un vasto altopiano a 2000 metri di altitudine che posso interamente ammirare sotto i miei piedi. Poi ci sono loro, anzi, Lui.
La montagna Blanca ma anche il pico Viejo appaiono nullità a lato del Teide che si innnalza oltre i 3700 metri, con i fianchi coperti da detriti grigi, la neve e il suo becco finale il cui cratere sommitale guarda verso il cielo.
L'oceano verginale, le isole che tentano di celarsi tra le nuvole, l'altopiano ultraterreno, i visitatori, gli animali, le ginestre del Teide ora in fiore, tutti siamo sotto di lui.

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martedì 29 giugno 2021

Camminando fino a Ifonche, Tenerife

«Che cosa c'è nel transito
che consuma le motivazioni ad esso estrinseche
e genera fini propri?»
Eric J. Leed

Il clima a Vilaflor de Chasna da due giorni non è piacevole. Notti serene e molto fresche, sole al mattino fino alle undici, poi una fitta cappa di nuvole copre tutto. Gli affabili abitanti del borgo situato a 1400 metri di altitudine ai piedi del Teide accendono stufe a legna e carbone per scaldare le case.

Speriamo oggi vada meglio. Esco presto, domato dall'intenzione di raggiungere a piedi Ifonche. Con i raggi solari che illuminano dal mare sottostante fino alle montagne più alte passo le due caratteristiche chiese di Vilaflor, incrocio la strada asfaltata, quindi imbocco il sentiero affondando nei pini canari. Nuoto senza respirare pieno di ossigeno nel centro in quella flora che ogni giorno mi cattura sempre più. L'amore cresce nel silenzio. È qualcosa che fonde fisicità con istinto, la necessità, l'immaterialità, una tensione nata dalla convivenza e dall'ardore: quale vincolo della perfezione rappresenta la Natura!

Il percorso discende lentamente mostrando scorci di una costa oceanica lontana, cime e colline arrotondate coperte dal verde. Gli alberi, i cespugli di retama e le Cistacee con i fiori bianchi e rosa affondano le radici nella terra rossa sgorgata dai vulcani. Paesaggi di altri continenti mi si affastellano nella mente.

Dopo aver passato un luogo di raccolta dell'acqua, i boschi si alternano a sporadici spazi agricoli. Siamo a inizio marzo e le coltivazioni in altitudine sono ancora in pausa anche se piante di fico e qualche vite cominciano a diffondere germogli primipari. Dove la foresta arretra i prati sono fioriti con un pullulare di insetti e richiami festosi di volatili. Due quaglie si alzano rumorosamente in volo. Oltrepasso e sprofondo in diverse vallette scavate dalle intemperie incrociando rari escursionisti canari. In una di queste gole vedo germogli di erba cipollina selvatica, l'ajillo, che al ritorno probabilmente raccoglierò.

Ifonche, 1000 m, è una delusione: qualche casa, una fermata della guagua, un posto di ristoro chiuso causa COVID. Neanche un filo di vento. Verso Arona e la costa di Los Cristianos osservo lo sviluppo di umidità che convergerà in alto. L'oceano di nuvole.

Permango qualche minuto nel nulla della non-meta per tornare presto nella pienezza dello spostamento, del cammino, nello stato di transitorietà. Undici chilometri immerso nel piacere, alimentando la passione, prima che il manto di nubi salga fino a disgiungere il mondo inferiore da quello superno dei vulcani di Tenerife.  
 
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martedì 25 maggio 2021

La costa di Puerto de Santiago. Tenerife sud

 «Le cose visibili sono d'un momento,
 quelle invisibili sono eterne»
San Paolo

Da quando la permanenza nelle Canarie si è dilatata in modo inverosimile, molto è cambiato. Come la familiarità con l'ambiente ogni giorno diventa più naturale, così anche l'approccio con il tempo e l'impostazione delle giornate è mutato. Si attenuano per poi tornare a esplodere momentaneamente alcune caratteristiche del viaggio come l'esplorazione, la tensione verso l'alterità, la purificazione e l'essenzialità. Ma poi... basta uno spostamento, una nuova inaspettata situazione per riattivare gli oliati meccanismi del cammino che assapora appieno la libertà, mandandola giù fino al fondo del cuore.

Il sole sulla costa sud di Tenerife è forte quando scendo calle La Hondura per raggiungere la costa che divide Los Gigantes da Puerto de Santiago.  11 del mattino di uno degli ultimi giorni di febbraio 2021. Presto sono sulla passeggiata che segue la costa in direzione sud est. Oggi respiro un vento meridionale meno caldo rispetto ai giorni passati. Con l'aria dell'oceano che fronteggia bonariamente i miei passi scendo nella playa di Santiago, una insenatura stretta di sabbia grigia dove le onde entrano mitigate dal litorale; passo velocemente da ville per stranieri a case canarie.

Digrado e salgo spiagge accuratamente vigilate ai lati da imponenti scogliere dove piccole porzioni di flora canaria riescono a colonizzare l'impossibile roccia lavica che viene dal Vulcano che solo ora posso ammirare: dopo l'urbanizzazione Varadero gli edifici terminano, lasciando affrancato lo sguardo verso le colline che in alto si arricchiscono di (quella relindura che sono i) pini canari e quindi appare Sua Imponenza, Il Vulcano più alto. El Teide ancora innevato sorride all'arcipelago e alla Macaronesia tutta dai suoi 3715 m. Attorno alla cima scivolano nuvole ventate formando un cappello effimero. Una corona.

Cammino lungo la pista ciclopedonabile che porta a Alcalá, accompagnato a destra dalla sagoma dell'isola La Gomera oltre la quale ogni sera l'astro luminoso si cela, mentre sulla costa ragazze e ragazzi sfidano le onde oceaniche muniti di surf o bodyboard. Bisogna scegliere il flutto giusto.
Il sole specchia la sua potenza nell'acqua disvelando da dietro ogni singola goccia e spruzzo che si infrange negli scogli aguzzi. Il riflusso lascia fasce di spuma chiara che vengono coinvolte da nuovi vigorosi cavalloni. Lo spray marino arriva fino a me e si inoltra per poco nell'entroterra con quell'odore caratteristico difficile da descrivere.
Bisogna scegliere?

Muovo le articolazioni, muovo l'organismo, senza sapere cosa farò l'attimo successivo, slegato dalla meta, cercando l'invisibile oltre lo stupefacente che continuamente si manifesta.

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domenica 18 aprile 2021

Coscienza alterata nel parco del Teno, Tenerife sud

Per raggiungere la traccia che porta a Santiago del Teide da Los Gigantes bisogna percorrere un breve pezzo di strada asfaltata. Fortuna che con la pandemia il traffico è ridotto. Fortuna che anche i turisti sono pochi. Poco prima la vista era stata affascinata dal punto panoramico che guarda sulla impressionante muraglia di scogli vulcanici di uno dei luoghi più avvenenti di Tenerife sud.

Il forte vento meridionale tiene lontano nuvole che accampano attorno al maestoso Teide mentre mi arrampico lungo una stradina costellata da piantagioni di banane incapucciate da serre. Ortaggi e alberi da frutto passano lentamente sul percorso che porta a Tamaimo; sulla sinistra montagne tropicali senza alberi definiscono la porzione meridionale del parco del Teno, la mia meta. In poche centinaia di metri di dislivello la vegetazione diventa più fitta, più rigogliosa: avvicinandosi ai rilievi e all'entroterra, minuscole ondate di umidità riescono a lambire una delle zone più aride dell'isola.

Prima del paese di Tamaimo prendo l'indicazione a sinistra che conduce alla montagna Guama. Salgo serpeggiando, con i sensi ancora una volta inebriati dalla flora canaria. Quando sono prossimo alla ubriachezza raggiungo un dosso dove posso dominare il mare increspato, le innocue nuvole che passano come frecce sotto il sole inclinato ancora verso sud e l'isola La Gomera. Il vento sulla montagna Guama si farà sentire. Eccome!
Con la lingua secca causa l'ebbrezza ascendo l'ultimo tratto che porta alla cima, nascondendo l'ombra tra fitti cespugli di euforbia "cardón" 100% canaria. Prima di raggiungere la meta riesco a vedere per qualche minuto la punta gialla del signore delle montagne.
 
Dalla Guama osservo il mondo: il selvaggio parco del Teno cosparso da picchi aguzzi e da canyon che scivolano pericolosamente nell'oceano tra imponenti scogliere di vulcani, e poi a  sud e a ovest raggiungo facilmente La Gomera e tutta la costa Adeje quasi fino a Los Cristianos. Il vento imprendibile gira attorno al cardón, alla tabaiba, alla ginestra, al verode in fiore. Le piante, le foglie, gli steli autoctoni si piegano di fronte alle correnti ma rimangono integri. Solo una anima imperfetta vacilla.   
 

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lunedì 1 marzo 2021

Nel parco di Anaga. Tenerife nord

  

Il tranvia risale dal mare per raggiungere i 540 metri de La Laguna. Nella stazione degli autobus scopro che hanno ridotto le corse per Cruz del Carmen. Cambio il programma invertendo il giro: partirò da Punta del Hidalgo anziché arrivarci.

La costa di barlovento appena fuori dalla Punta è selvaggia, aspra, con le scogliere alte e nere di lava che trattengono la potenza dell’oceano. Sono le 11 e 50 del primo giorno di marzo quando le suole consumate delle scarpe si appropriano del sentiero numero 10 che conduce alla Croce del Carmen.

La luce diretta e potente irradia montagne aguzze coperte da bassa vegetazione, mettendo a nudo una valle strettissima che serpeggia lunga verso est, verso lo sconosciuto.

La traccia sale ripida a sinistra rispetto alla gola, immergendosi nella meravigliosa vegetazione endemica canaria di bassa quota: cespugli di tabaiba, il gommoso e strano verode che si gonfia d’acqua quando essa arriva, il cardón che sembra esattamente un cactus, aeonium a scelta. Piante da fiori gialli e azzurri si mescolano a qualche essenza introdotta dall’America come il fico d’india e l’agave.

Salgo svelto sul sentiero costituito da uniformi rocce chiare che virano al rosso, rigurgitate dalle profondità dell’oceano Atlantico, cominciando a incrociare stranieri e canari che sono partiti da Cruz del Carmen. C’è anche un gruppo di ragazze accompagnate da una suora.

Raggiunto il mirador di Aguaide, lo sguardo finalmente spazia dalle frastagliate coste che conducono alla fine settentrionale di Tenerife, per poi dirigersi nell’entroterra fatto da picchi affilati coperti dal verde. Il parco di Anaga.


Arrivato alla località di Chinamada, avverto che qualcosa di importante sta cambiando nel tempo: vento molto forte da est, e un cielo azzurro e trasparente che diventa via via fosco. Calima!?


Risalendo ancora verso la Croce la vegetazione cambia, dando sviluppo a boschi ombrosi di lauracee e, negli spazi più assolati, a bassi cespugli di jara di Anaga. Quando la pendenza si mitiga e le cime diventano rotondeggianti, compaiono prati e piccole coltivazioni agricole.

Anche se l’occhio destro è malmesso per qualcosa entrato col forte vento, nonostante la potente calima in arrivo che porta polvere dall’Africa, non riesco a non apprezzare l’ambiente circostante quasi prealpino, con colline boscose, piante da frutto e l’erba in fiore corteggiata da insetti che vogliono assolutamente ricominciare.

 

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martedì 9 febbraio 2021

A pochi metri dal paradiso: il rifugio Punta de Los Roques. La Palma

 

Grande gita oggi. La guagua 300 mi lascia al Centro visitatori del Parco nazionale Caldera de Tamburiente. Inizio di febbraio a quasi 900 metri di altitudine e la primavera nel centro dell’isola La Palma sorge all’improvviso con le erbe e i peschi selvatici in fiore, i richiami dei volatili e l’aria che profuma.

Dopo aver passato il santuario della Vergine del pino, il bosco di conifere endemiche impera. Magnifici esemplari di pino canario scorrono negli occhi adoranti. Il sentiero bianco e giallo n. 1 comincia a salire arrampicandosi per una costa che ascende fino alla leggendaria Ruta de Los Volcanes.

Il mondo là in basso e all’orizzonte appare come un puzzle incompleto causa le chiome degli alberi e qualche nuvola. Vedo a pezzetti una parte della Caldera, il Pico Bejenado, Los Llanos e l’oceano Atlantico senza più confini a ovest.

La traccia rocciosa sale a zigzag senza pietà. Supero un tedesco e poi una coppia che spinge bici elettriche.

Ben presto raggiungo il sentiero 131 lasciando l’oscurità della foresta dai rami grondanti di licheni. Sono sulla principale dorsale dei vulcani. Ahora sí.

Poco dopo il percorso tocca il versante est con una macchia estemporanea di Lauracee e il mare di nuvole basse che copre l’altra metà dell’isola fino a sud. Dal magma nuvoloso svettano lontani El Teide completamente innevato, La Gomera e El Hierro.

La salita verso il rifugio Punta de Los Roques dal Reventón segue il crinale vulcanico, tra pini e un sottobosco rado, dove spiccano piante dai fiori simili alla rosa canina, della famiglia delle Cistacee. All’ombra ancora qualche traccia di neve caduta tra il 4 e il 5 febbraio 2021.

La Ruta de Los Volcanes raggiunge in questo tratto il massimo di 2000 metri di altitudine, passando per il Pico Ovejas, mentre da ovest stanno arrivando nuvole più insidiose. Il sentiero scende.

Il refugio de Punta de Los Roques mi aspetta solitario, con una visione paurosa sulla Caldera di Tamburiente e l’imponente canyon/conca da essa creato. Osservo per lungo tempo il Pico de La Cruz, il Roque de Los Muchachos e gli abissi della gola, con il signore dell’arcipelago a sud est sempre presente. Al signore Teide riuscirò a rendere omaggio fino a quando le nuvole ascendenti copriranno i panorami.

 

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martedì 2 febbraio 2021

La Ruta de Los Volcanes. La Palma sud

 

Oggi voglio spingermi verso un punto mai raggiunto sul sentiero GR 131 che porta al rifugio El Pilar.

I boschi di pino canario cominciano appena sopra il paese di Fuencaliente. Respiro ossigeno impregnato da aromi di resina mentre il corpo si inerpica su colline che diventano sempre più alte. Dove la persistente coltre di aghi di pino non arriva, il sottobosco germina di piccole erbe e fiori di montagna. Dopo le benefiche piogge cadute nella prima metà di gennaio 2021, tutta la vegetazione sta rinascendo; quando le temperature si alzeranno forse spunteranno i funghi.

Seguo attentamente i segnavia bianchi e rossi con la mente che si libera ad ogni passo, calpestando un terreno che alla sabbia vulcanica alterna rugose rocce di colate che ancora non si sono mimetizzate nel paesaggio. Supero una coppia di anziani tedeschi.

Oltrepassati i 1000 metri il percorso diventa meno pendente, offrendo alla vista magnifici esemplari di pino le cui spesse cortecce conservano ancora le vestigia di incendi passati. A giudicare dalle giovani piante, sono almeno tre anni che il fuoco non si propaga.

Quando arrivo sotto il vulcano Martín tutto diventa straordinario: sovrastando il mare di nuvole che guardano a est e a sud appaiono le cime delle isole El Hierro e La Gomera, mentre sua maestà innevata il vulcano Teide, 3715 m, domina Tenerife.

Il cammino faticoso su fini lapilli conduce al cratere del Martín a 1550 metri e quindi a una serie di vulcani sempre più alti della formazione orografica che da sud dell’isola di La Palma raggiunge i punti più alti con la Caldera di Tamburiente. Pini canari pongono radici su terreni di color rosso, mattone, grigio e nero.

Dopo la parete de La Deseada sopra i 1900 metri, il sentiero scende verso un paio di vulcani neri. Qui il vento si è finalmente fatto sentire, anche se continuo a rimanere in maniche corte.

I passi portano fino a un immenso canyon, oltre il quale la Ruta de Los Volcanes 131 si abbassa fino al rifugio El Pilar. Ho raggiunto l’obiettivo: 12-13 chilometri toccando tutti i vulcani più significativi della dorsale sud; crateri dalle forme e colori più disparati, colate di lava che hanno rigurgitato nell’oceano, isole dell’arcipelago che crescono oltre le nuvole. Ora devo scendere. Le giornate di febbraio sono ormai lunghe; la luce illuminerà i Panorami ancora per molto.

 

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venerdì 22 gennaio 2021

L'eruzione del vulcano Teneguía

 

Appena prima dell’entrata al vulcano San Antonio il sentiero precipita in basso, verso il mare.

Dalle ultime pendici del villaggio di Fuencaliente scivolo sulla ghiaia grigia per più di cento metri fino a una pianeggiante strada sterrata. 

Mi trovo mezzo chilometro sopra l’oceano Atlantico in uno dei punti più a sud ovest dell’arcipelago canario e dell’Europa politica. Il sentiero 131 che costeggia la maggioranza degli straordinari vulcani dell’isola di La Palma sta per terminare, esplorando l’eruzione più recente.

Dopo aver passato piantagioni di vite esposte a ovest, il percorso vira decisamente a sinistra, e da qui è possibile troneggiare il vulcano Teneguía con la sua chilometrica colata che raggiunge la costa. La bocca del cratere color mattone scuro è collassata nella sua parte più distante dal mare, costringendo il magma a realizzare un percorso illogico ai piedi di colline per infine raggiungere l’acqua.

Il sentiero 131 scende ondeggiando verso la colata del Teneguía dell'anno 1971, mentre la vegetazione si riduce ancora. Cinquant’anni tra qualche mese sono passati e, a prima vista, poco pare cambiato.

Mentre un ininfluente vento meridionale lascia scorrere ininfluenti nuvole passeggere, le scarpe si destreggiano a fatica tra scabre pietre nel pieno della colata lavica. Il percorso vede ai suoi lati una impenetrabile accozzaglia di rocce scure dalle moltitudinarie forme e livelli. Nei punti più inimmaginabili piante solitarie colonizzano lentamente il territorio.

Lasciato il fiume di magma che scende diritto al mare, il panorama diventa meno aspro con il ritorno della ghiaia e sabbia dei lapilli. Essi hanno ricoperto dossi e colline, con l’eccezione di qualche roccia.

La mitica Ruta de los Volcanes 131 è quasi terminata. Finirà toccando il faro di Fuencaliente nell’estremo sud di La Palma. Poi l'oceano.

 

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martedì 5 gennaio 2021

Libero nell'isola La Graciosa

 

È un attimo uscire da Caleta de Fuste per immergersi nell’ambiente semidesertico de La Graciosa.

Un giorno prima della Epifania, in piena burrasca denominata Filomena che sta portando acqua e qualche disagio perfino nelle Canarie. Oggi tira vento da ovest che porta ondate di globi nuvolosi. Decido di salire sull’Aguja Grande che troneggia davanti al mio incedere.

Per evitare le jeep “safari” che scarrozzano i turisti intorno all’isola, prendo un sentiero che punta diritto al mio vulcano.

Mi volto indietro verso le basse case bianche di Caleta de Fuste e osservo l’ambiente che sto attraversando: il sentiero sabbioso, i cespugli bassi in parte secchi rivivono la loro primavera, le minuscole piantine da poco germinate. Gli occhi si spostano verso la mia direzione, la direzione del vento che non porta pioggia. Per ora.

La traccia non indicata che sale sulla Aguja Grande comincia dietro un giardino recintato. La terra chiara di basalto è ora disseminata da ostili pietre vulcaniche e da lapilli, l’inizio del Malpaís. Passo a fianco di qualche orto abbandonato dove pazienti agricoltori avevano utilizzato i sassi per costruire muretti antivento.

Aggirato un canyon, il percorso si inerpica verso il crinale basso del cratere. Qui le rocce sono coperte da licheni dai diversi colori.

Quasi subito sono nella parte più alta del vulcano ma all’orizzonte si profila un flusso di nuvole che scaricano pioggia, dirette proprio verso la Aguja Grande. Il vento fortunatamente è piuttosto forte, quindi l’orda d’acqua dolce dovrebbe essere veloce. Mi riparo dietro delle rocce.

L’ondata di pioggia leggera passa di tutta fretta, lasciando un arcobaleno che termina a poche decine di metri da dove mi trovo. Risalgo nella parte più alta del vulcano per dominare le altre inabitate isole dell’arcipelago più settentrionale. A sud le alte scogliere di Lanzarote sono celate da fitte nuvole che sembrano immobili.

Con il sole, con nuovi arcobaleni nei cieli e nessuna nuova minaccia, scendo nella parte centrale del cratere. Qui, al riparo dai venti e dallo spray marino, in mezzo a cespugli che non hanno resistito alla prolungata siccità, sembra di essere calati in un altro mondo: prati di fiori gialli e bianchi, erba cipollina selvatica e piante sconosciute i cui semi ibernati sono arrivati alla agognata germinazione.

 

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giovedì 31 dicembre 2020

Punta di Jandía, Fuerteventura

 

31 dicembre 2020. Ho appena terminato il cammino che separa la fine di questo lembo di mondo dalla mia destinazione. Gli occhi sono ancora impregnati da tutti quei 26 chilometri di costa oceanica che dal faro di Jandía portano a Morro Jable. Quale regalo migliore la Natura poteva farmi?

La mattina inizia con l’autobus che mi lascia nel minuscolo villaggio di Puerto de la Cruz. Raggiungo il faro passando per la costa nord ovest di Punta Jandía. Onde impetuose della riva di Barlovento si infrangono senza sosta sulla scogliera scura, nel tentativo di addolcire le rugose rocce vulcaniche. Il vento moderato da nord rende piacevole il movimento.

Il faro sembra quasi lì ad aspettarmi, come attende ogni santo giorno dell’anno i  navigatori di mare e terra, avvisando che qui l’isola inizia o finisce. Insieme alle auto noleggiate dei turisti arriva un gruppo di rumorosi quad.

Lascio la Punta per tornare indietro, questa volta lungo la più tranquilla costa di Sotavento. La stretta fascia di terra che divide le due rive è costituita da sabbia proveniente da una friabile e chiara roccia basaltica.

Cammino respirando forte lo iodio della bassa marea, dentro la mite luce del sole invernale, scendendo e risalendo scogliere, lasciando impronte evanescenti sulle spiagge che compaiono all’improvviso, veicolato dall’esperto movimento del corpo.

Dopo qualche chilometro vedo decine di surfisti accalcati nello stesso posto in attesa dell’onda congeniale. Sono quasi tutti giovani e stranieri, muniti di furgone o camper.

Mentre le montagne a nord si avvicinano, mi concentro ancora una volta sulla flora e fauna del Parco naturale di Jandía. Le piogge di dicembre stanno

modificando il deserto: i cespugli emettono nuove gemme e foglie, dalla sabbia e dalla ghiaia vulcanica crescono piantine dai piccoli fiori; impollinatori, cavallette o grilli,  lucertole e piccoli volatili si fanno più gagliardi. Quasi tutto il paesaggio sta subendo una temporanea mutazione, colorandosi di verde.

Il vento mi soffia nella parte sinistra del corpo; quando sono al suo riparo quasi sudo, sulle scogliere le maniche corte della camicia sentono il fresco.

Dopo dieci chilometri abbondanti di percorso ritrovo la spiaggia nascosta dove tempo fa avevo fatto il bagno. Ridiscendo la sua gola stretta e rimango a osservare le onde che si buttano sulla arena muovendo, negli angoli della minuscola insenatura, levigate pietre scure.

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domenica 27 dicembre 2020

Cofete, Jandía. Fuerteventura sud


La guagua (autobus) che porta a Cofete è una via di mezzo tra un camioncino e una lunga jeep. Prendo posto sulla sinistra, dalla parte del mare. Alle 10 siamo sulla strada che porta verso ovest. Quasi subito il percorso diventa sterrato e il mezzo a quattro ruote motrici si trova al meglio. Il mare, il deserto, le colline di Fuerteventura, sotto il sole e il cielo, dal finestrino impolverato della guagua diventano una cosa unica: i dettagli, i componenti si uniscono in un puzzle perfetto.

La strada costeggia basse montagne, bordi affilati di crateri per nulla antichi che hanno perso le sembianze di vulcani.  Il terzetto di ragazze tedesche sedute dietro esclamano di piacere quando individuano spiagge di sabbia chiara che si aprono inaspettatamente tra le scogliere.

Dopo diversi minuti di viaggio il mezzo gira verso nord, inerpicandosi tra tornanti ai cui lati primeggiano pietre scure smussate dal tempo e cespugli che riprendono vita grazie alle avare gocce di pioggia cadute in questo dicembre 2020.

Arrivati ad un passo, la guagua si ferma. L’autista ci guarda dallo specchietto dicendoci che possiamo scendere per fare foto. Il panorama da questa parete vulcanica ci mostra in basso una infinita spiaggia sulla quale si infrangono potenti onde che danno vita a una lunga scia di spray marino veicolato dai venti Alisei. Cofete.

Nella discesa la vegetazione  aumenta di intensità: pur nella loro lotta quotidiana cespugli, qualche erba e cactus riescono a vincere l’austerità del territorio.

L’autobus passa il minuscolo villaggio di Cofete, quindi si ferma di fronte alla distesa di sabbia.

Dopo aver camminato per diversi chilometri sul lungomare, incantato dai suoni delle onde e del vento, raggiungo Cofete per prendere il sentiero che mi riporta a Morro Jable attraverso Gran Valle. All’inizio del percorso il cartello indica un tempo spropositato per raggiungere la destinazione: quattro ore e cinquanta.

Sono le 14:30 e il sole a dicembre tramonta alle 18. Dovrò accelerare molto il passo. Non sono preoccupato.

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domenica 22 novembre 2020

Tra i vigneti di La Geria, Lanzarote


Appena dopo il paese di Uga i piedi sperimentano i lapilli del sentiero che entra nella regione vitivinicola di La Geria. Il paesaggio è straordinario: colline vulcaniche tappezzate da viti e da qualche altro albero da frutto in un ambiente quasi surreale che pare costruito da un artista.

Percorrendo il sentiero in lieve ascesa riesco a vedere meglio la sistemazione dei vigneti in un territorio estremamente ostile. Le essenze sono collocate a gruppi in poste sotto il livello del suolo per sopportare meglio i venti da nord e il caldo. Attorno alle singole coltivazioni sorge una mezzaluna, una trincea di muretti a secco. Tranne le coltivazioni più recenti, la maggioranza di questi frutteti non beneficia dell’irrigazione a goccia. Sono mesi e mesi che cade nulla dai cieli di Lanzarote.

Vedo un agricoltore alle prese con le sue piante e mi avvicino. <Buon giorno, che bel paesaggio! Sta mettendo a posto il terreno attorno alle viti?>

<Sì, il vento e il secco fa franare la terra attorno le piante, allora bisogna governare ogni singola posta>, mi risponde, aggiungendo: <la maggioranza dei coltivatori qui hanno poche centinaia di piante e lo fa per diletto, meno per guadagno.>

Rimaniamo a chiacchierare una decina di minuti utili al sottoscritto per conoscere qualcosa di nuovo. I lapilli, la ghiaia vulcanica, riescono a trattenere la poca umidità, consentendo alle radici di vite di svilupparsi. La Malvasia è una delle cultivar preferite.


La strada agricola continua verso La Asomada fino a un cartello che indica il sentiero che porta al cratere che vedo sulla sinistra. Decido di salirvi per una traccia ripida.


Il vento da nord è molto forte dalla bocca del vulcano. Una bocca imperfetta dato che la lava ha fatto franare buona parte della sua parete circolare. Qui, sulla terra divenuta improvvisamente chiara, sotto la possanza del vento e del sole di una calda giornata novembrina, lo sguardo domina oltre Arrecife a nord, e la magnificenza della isola de Lobos e le prolungate dune di sabbia paglierina di Corralejo verso sud.

 

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domenica 1 novembre 2020

Verso Punta Jandía, Fuerteventura

 Mi trovo all'estremo sud di Fuerteventura in una calda giornata di novembre 2020. Esco dal pueblo di Morro Jable e subito sono nel deserto. I suoni dei venti Alisei rimangono anche oggi dormienti; solo una brezza sottile da est accompagna il cammino.

Quasi subito incontro il sentiero che porta a Punta Jandía. I piedi pestano terra, pietre, rocce nere. Risalendo la dorsale delle colline vulcaniche il paesaggio si allarga: spiagge chiare e costa sabbiosa a nord, scogliere brulle e insenature si caratterizzano a sud. In questi giorni di quasi Calima l'oceano Atlantico è tranquillo. Dall'alto posso distinguere che la strada asfaltata che porta alla Punta presto diventa sterrata. Su di essa scorrono svogliate auto a noleggio dei turisti e vecchi, impolverati, SUV dei residenti.

 Più avanti il percorso pedonale si congiunge alla strada, quindi si avvicina alla costa. Cespugli quasi secchi situati nei luoghi riparati dal vento attendono con ansia qualche goccia di salvifica pioggia che da mesi e mesi frusta le aspettative della natura.

Lascio il sentiero per lambire da vicino scogliere che si gettano nel mare. Lascio il deserto e i vulcani per toccare l'acqua colma di vita. Quasi subito si apre una spiaggia moderatamente grande dove alcune persone giunte in auto prendono il sole. 

Dopo l'insenatura sabbiosa la scogliera risale per ridiscendere in uno stretto canyon. Il forte sole e il movimento mi stanno scaldando troppo. Decido di vedere se riesco a raggiungere il mare attraverso questo antro sinuoso. Passo alcuni facili balzi rocciosi in discesa, mentre ai lati le pareti delle scogliere rimangono alte. Il rumore delle onde si fa più vicino.

Presto vedo una piccola spiaggia di sabbia gialla che si sviluppa tra le rocce. Dopo dieci chilometri di percorso toccare la segreta insenatura diventa un piacere incalcolabile. Nonostante l'ora centrale riesco perfino a trovare l'ombra dentro brevi cunicoli scavati dalla potenza delle onde. Un bagno rinfrescante sarà il passo successivo. 


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