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mercoledì 16 marzo 2011

Una solitudine leggera

L'aveva vista tra le ombre conturbanti del bosco. Veloce e lieve.
Ewan si trovava ai limiti della radura per fare legna in una mattina solitaria e senza vento; ora che la neve si ritraeva di fronte alla temperatura della primavera poteva muoversi agilmente attorno alla baita.
La prima volta che la vide fu li', nel bosco. Piccola, affusolata, imprendibile, la volpe aveva deciso di fare la comparsa di fronte all'essere umano. Ewan conosceva le sue tracce composte, il suo pelo arancione e panna lasciato su qualche cespuglio, e qualcosa gli disse che l'avrebbe incontrata.
La seconda volta trovo' l'animale nei pressi della baita quando il sole era tornato a celarsi al di la' delle creste montagnose; fece appena in tempo a focalizzare la sua grande coda, ma era così svelta che anche questo incontro rimase confuso. Nonostante avesse visto quasi solo la porzione finale dell'animale la chiamo' Speedy, perché quello era il suo nome.

La solitudine era una compagna di Ewan. La piu' fedele. L'incrociava mentre guardava il panorama della valle, mentre tagliava la legna, quando preparava da mangiare. Prima di addormentarsi. Incontro' la solitudine molti anni prima, lontano, al di la' dell'oceano Atlantico, e temette per il suo effetto destabilizzante che si sommava al fatto di essere un ventenne in terra straniera; ma poi le era diventata amica e comincio' ad apprezzare alcuni suoi tratti. In quei momenti Ewan aveva sbandato un poco, aveva sbirciato oltre l'acido confine del non ritorno e, nel momento di maggiore spaesamento, ne era uscito forte, quasi inattaccabile. Quasi. Certo lassu' a volte parlava con essa -o forse dialogava con il proprio io- utilizzando breve frasi, parole con le quali aveva familiarità, intrecci di fonemi che scandivano le azioni; pensava che non c'era nulla di male sentire la voce, far risuonare la presenza della sua persona tra i solchi delle travi di legno della baita, disporre pacati suoni vocali tra le dune bianche di neve e, piu' lontano, tra gli alberi. Era un comportamento naturale come il respirare.

Quelle settimane solitarie in montagna provocavano in Ewan ulteriori effetti. Come si era abituato al sole equatoriale, a mangiare in condizioni di pessimo igiene nelle bancarelle di cibo sulla strada, agli ejenes e mariguís della selva che ti davano un prurito infinito, a parlare per anni una lingua diversa divenuta familiare, a mille e mille persone di citta' immense, Ewan stava conformandosi ai ritmi e le pause della terra alta a fine inverno.
Quasi a compensazione del suo parlare, ed in concomitanza con esso, dopo qualche giorno di permanenza nella baita il giovane era stato invaso dal silenzio interiore, un silenzio che si posizionava da qualche parte della mente e a volte interagiva con la solitudine. Molti sensi ne erano stati coinvolti: l'udito aveva allontanato i clacson infiniti dei tropici, affinandosi ai rumori lievi della Natura, l'olfatto riconosceva il cambio del vento e le ondate di primavera consumata provenienti dalla valle. Con questa attitudine a volte si diceva che sarebbe vissuto in quel posto tutta la vita. Aveva imparato a muoversi come si muove il vento tra gli RFalberi, camminando leggero e consapevole, e aveva visto e toccato come fanno gli animali della montagna.
Forse per questo Speedy, un giorno, le si mise di fronte. Ewan era seduto sulla panca con la schiena appoggiata al muro della baita, raccogliendo l'ultimo sole pomeridiano con gli occhi semichiusi, quando improvvisamente focalizzo' una forma ad una decina di metri da lui. Speedy era ferma, e lo stava guardando con quegli occhi imperturbabili a mandorla. All'inizio penso' che doveva fare qualcosa, invece non fece nulla. Uomo e animale erano fermi, straniati l'uno dall'altro, consci di cosa avrebbe portato quell'incontro.
Incorporati da un sole morente Speedy e Ewan si specchiavano nelle iridi immobili, in quelle lenti sul mondo, cercando in esse il significato sperduto della vita e delle cose; un significato antico come la terra, vicino e al contempo lontano, che a tratti gli esseri viventi percepiscono.
In quegli occhi leggermente a mandorla Ewan trovo' brandelli di sensazioni che aveva compreso ma mai condiviso: la fatica, la sofferenza e le perdite, ritrovo' passioni e incontri caduchi, memorie lontane e l'irrequietezza, tracce di comune appartenenza nomadica. E una composta solitudine.
Nessuno ricordo' quanto le iridi azzurre di Ewan e quelle gialle di Speedy si annullarono le une nelle altre, sotto lo scenario definitivo del cielo che si adagia verso il crepuscolo.

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venerdì 25 febbraio 2011

L’altrove

Dai molti altrove, Ewan era stato scelto da uno. Un posto temporaneo, una delle tante sistemazioni che il destino ramingo gli aveva offerto. Aveva vagato per stagioni in panorami torridi o battuti dal vento gelido del sud, attraverso stanze con la ventola a muro, con i condizionatori vecchi che si spegnevano ad una ora imprecisa del buio, pareti leggere, porte rumorose di alberghi squallidi dalle lenzuola bucate, pulci, niguas, cessi esterni puzzolenti, clacson, birra e rambutan, chicha camba e empanadas che lo facevano lacrimare, polvere dai finestrini del bus. E ancora uomini e donne soli, giovani immortali dai capelli lunghi, ragazzi spaesati, bambini di strada. Le sue iridi trasparenti avevano sentito, toccato, intuito, assorbito e respirato a lungo senza respiro.

Ora era supino sotto il piumone, attorniato da un nuovo altrove. Un non altrove.
Ora che dalla mente gli stavano scivolando via affascinanti ondate di confusi viaggi onirici, ancora libero dall'imminente quotidiano, con il soffio di una rarefatta musica elettronica depositata nelle meningi, muoveva gli occhi chiari sul suo non altrove.
Una, tante, quali case. Una baita in montagna a duemila metri di altezza.
Gli occhi di Ewan erano posizionati giusti per l'alba. Dal suo letto una finestra guardava fuori, la' in fondo, dove il chiarore del crepuscolo segnava i contorni delle creste montagnose, dove la neve lentamente si illuminava a giorno, prima di una tenue luce bianca, poi il colore rosa che vira verso il rosso. Fino a quando l'illuminazione naturale non era preminente, e da almeno un paio di settimane, nelle albe serene c'era una stella che lo accompagnava verso il nuovo giorno. L'osservava muoversi attraverso i vetri, con la sua luce forte e appena intermittente, in un movimento definitivo sopra le cime della valle, un semicerchio nell'orizzonte basso dell'inverno decaduto. Se distoglieva da quel punto giallo lo sguardo per qualche secondo, alla successiva visione individuava quanta strada aveva percorso l'astro attraverso il cielo del mondo.
Ewan rimaneva sotto il piumone, con la mente pulita, sbattendo le palpebre, e gli occhi e il volto illuminati dal nuovo che scorreva attorno a lui. Da quella posizione, quando il giorno era entratoaltr nella baita di legno, a volte gli altrove gli venivano addosso, come la maglia di lana cotta che indossava sopra il petto nudo: ruvida e calda e incomprensibile.  Erano altrove di tutte le forme, tracce di memoria profonda e quasi perduta che riaffioravano grazie a concatenazioni spurie, schegge di passato le cui cicatrici credeva fossero divenute invisibili, costruzioni splendide e abbandonate che solo i sogni riuscivano a rimodellare.
Allora si alzava e andava ad accendere la stufa a legna, ponendo sui suoi anelli metallici dell'acqua da scaldare e un paio di fette di pane per la colazione. Quindi si metteva la giacca e usciva nella neve a inspirare l'aria alta veicolata ogni volta da una brezza diversa; a volte era l'odore della resina delle conifere, altri momenti un'indecifrabile profumo portato dal vento del nord, oppure la giovane primavera che risaliva dalla valle. 
Tante piccole azioni quotidiane reiterate nei giorni e nelle settimane, le quali si mischiavano ad eventi straordinari come l'ombra dell'aquila che ogni qualvolta faceva un giro sopra il rifugio, l'incontro veloce con un camoscio, oppure la lettura di un nuovo libro. Anche la vista sulle montagne e gli alberi e la valle era qualcosa di diverso ogni volta; credeva di conoscere ogni angolo dei pendii, ogni solco di ciascun torrente, ogni cresta che si rifletteva sulle iridi chiare, ma sbagliava: c'era sempre qualche impercettibile novita' nel complesso mosaico che si dispiegava attorno alla baita.

Di sera, accanto alla stufa calda di legna appena tagliata, gli altrove tornavano. Allora Ewan sembrava piu' giovane e piu' vecchio, saggio e immaturo. A volte dalla finestra gelida si poteva vedere la sua figura massiccia che si raggomitolava su se stessa; in altri momenti aveva lo sguardo che danzava con l'immortalita', e pareva avvolto dall'aura che solo alcuni vagabondi posseggono.
Presto Ewan avrebbe abbandonato la baita per prendere un altro cammino sulla strada, in movimento verso un incessante altrove.

 
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