mercoledì 31 dicembre 2014

I dischi favoriti del 2014

My Brightest Diamond (USA) – This Is My Hand – Asthmatic Kitty Records Genere: Folk, Pop, Indie

MBD

 

Dorian Concept (A) – Joined Ends – Ninja Tune Records Genere: Electronic, Jazz, Downtempo, Cinematic

DC

 

Flying Lotus (USA) – You’re Death – Warp Records Genere: Electronic, Experimental, Modern RnB, Funk, Hip Hop

FL

 

Caribou (CDN) – Our Love – City Slang Records Genere: Dance, House, Electronic, RnB

CaB

 

Moodymann (USA) – Moodymann – Mahogani Records Genere: House, Techno, Funk

MDM 

 

Menzione per i lavori di: Rustie (SCO), Iceage, Hudson Mohawke, The Antlers, Perfect Pussy, Arca, Spoon, Lana Del Rey, FKA Twigs, Todd Terje e Cloud Nothings.

giovedì 18 dicembre 2014

Ikan Durian, ovvero Tutti veniamo da Lì

Ora conosco il pesce coccodrillo che vagabonda nelle acque cristalline di Barracuda beach. Mentre combattevo la lieve corrente, i suoi occhi neri sporgenti mi guardavano impassibili. Non un movimento, non una nota d'impazienza. Tantomeno di paura. Il crocodilefish era a meno di due metri da me, mimetizzato nell'antica roccia corallina. L'istinto mi diceva che non avrebbe attaccato fino a quando mi fossi limitato a fluttuare leggero nell'acqua di sopra. Il mare di Kadidiri offre spettacoli inenarrabili.

La bassa marea è quasi al suo culmine prima di mezzogiorno e fatico a districarmi tra coralli che quasi lambiscono la superficie. Poi trovo la via e la nebulosità della sabbia costiera mossa dalle onde che si ritraggono. Lasciando il liquido che fa aleggiare, il corpo ne esce ingobbito e pesante. Mentre tolgo la maschera, percorso da brividi di freddo, con le costole sporgenti ed i polpastrelli e le dita dei piedi raminghi bianchi di umidità, le mie fedeli guardie del corpo, i cacciatori dei mastodontici granchiIMG_6830a delle noci di cocco, i due cani color nocciola alzano la testa dalla sabbia color neve e le loro code cominciano a muoversi. Sorrido. Come in un disco di Dorian Concept, presto tutta la potenza del sole equatoriale riscalderà il corpo che conosce (ama) l'acqua ed il bello che si trova al suo interno. Torno all'ombra del siete copas. Sulla destra della spiaggia deserta è arrivata una piccola barca. Una barca da pescatore.

Un uomo basso esce dall'unica capanna presente a Barracuda beach e mi saluta. Indosso la camicia e il cappello e gli vado incontro. I cani mi seguono senza voglia.
L'uomo senza nome è minuto e tozzo. Porta capelli neri folti tagliati a spazzola. Avrà meno di trent'anni ma ne dimostra almeno una quindicina in più. "Ti ho visto ieri nuotare", mi dice.
"Sì, anche oggi."
La sua barca a bilanciere è composta da due gusci affilati di legno grezzo attaccati tra loro. Il vecchio motore pare abbia compiuto molta strada. L'uomo mi racconta che è un pescatore e ha casa nel villaggio di Wakai, inoltre gestisce la raccolta delle noci di cocco in questa zona. Ha un'altra baracca all'interno dell'isola dove ogni tanto pernotta. Mi racconta molte cose, come quando una sera si stava avviando dalla spiaggia verso la sua abitazione saltuaria quando sul sentiero e nell'oscurità vede un'enorme serpente chiaro, oppure dei rumori notturni dei granchi del cocco. Racconta che l'anno scorso ha fatto dormire in questa spiaggia alcuni giovani occidentali e ha cotto per tutti il pesce accanto al falò.
Gli dico che ho appena visto un crocodilefish. L'uomo senza nome mi spiega che da quelle parti viene chiamato Ikan Durian, pesce durian, il pesce impossibile dai tanti aculei simili a quelli del frutto più straordinario, il Re dei frutti equatoriali. Tutti veniamo da lì.
In quel momento di instabile empatia, con due fratelli cani che gironzolano attorno alla capanna, con la marea senza colore del mare delle Molucche in pieno riflusso, sotto l'immutabile arco solare nel mezzo della Terra, il pescatore si accoscia e traccia sulla sabbia un circolo e alcuni punti. "Vedi, questo è il mondo, un punto sei tu, gli altri siamo io, i pesci, i cani e gli altri esseri umani", mi spiega, "tu sei bianco, io sono scuro, i pesci sono colorati, gli alberi sono verdi... ma il Creatore ci ha fatti tutti uguali ai suoi occhi."
Io assento.
Il pescatore dell'ecumenismo laico,  animista, poi disegna sulla sabbia una specie di nuvola che colloca sopra i disegni precedentemente fatti: "Vedi, tu vivi in Europa, io nelle Togean, ma sono sicuro che tutti veniamo da qui", dice indicando la nuvola.
Tutti veniamo da Lì.

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domenica 30 novembre 2014

Il crocodilefish nella spiaggia dei barracuda

Sotto la grande indian almond si sta bene. Il sole equatoriale fustiga ogni cosa: le palme da cocco, i cespugli dalle foglie carnose, le rocce chiare della scogliera attorno la spiaggia. Il disco implacabile abbaglia,kd3 tuffando raggi nella marea che si ritrae, definendo attorno a me la lattea, minuta, sabbia di Barracuda beach.
I due cani nocciola stesi a pancia in giù con le gambe aperte riposano sognando un altro mondo. Tutti veniamo da lì.
Al largo della baia ogni tanto passa una barca di pescatori. Quelli con le imbarcazioni più grosse si muovono al di là dell'isolotto che mi trovo di fronte. L'isola davanti a Barracuda beach è un peduncolo di corallo, un microscopico pezzo di roccia e terra sulla cui sommità svettano alberi indomiti.
Pochi minuti e sarò in acqua. Il sudore accumulato per aver attraversato una parte di Kadidiri è ormai cosa lontana. Appendo ad un ramo il sacchetto di plastica contenente il cappellino e l'acqua; la camicia su un altro ramo dell'albero. Rimane il corpo magro (e nudo), la passione, una maschera. Entro nel liquido cristallino alla mia sinistra, dove la lingua di sabbia s'incontra con le scogliere grondanti di vegetazione: lì l'acqua è leggermente più profonda.vd
All'inizio le rocce sfiorano il petto, poi mi muovo meglio. La meta di oggi è girare attorno a quello spuntone di isolotto a una sessantina di metri al largo della spiaggia. L'immettersi in un altra dimensione dona alla pelle una sensazione estatica, quasi superumana.

Nonostante i 29 gradi dell'acqua, dopo un'ora di nuoto cominciano a girare brividi di freddo insistenti. Sono contento: sul lato sinistro dell'isolotto, dove ci sono i coralli migliori, ho visto un majestic angelfish e una coppia di impassibili longfin batfish. Di barracuda neanche l'ombra, solo i ben più piccoli needlefish dai denti aguzzi.  Per alcuni minuti sono stato poi circondato da migliaia di piccoli pesci argentei: facevano il giro attorno al mio corpo, trasmettendo alle iridi tanti scomposti, riflessi, raggi solari. Ero assediato da quella perfetta confusione animale che mi regalava indescrivibili sensazioni primordiali, un caleidoscopio naturale di beatitudine. Tutti veniamo da lì.

Mentre esploro dei grossi coralli nella via del ritorno,  l'occhio si focalizza su qualcosa di strano. A circa due metri di profondità, su una roccia grigio-marrone, nell'acqua limpidissima delle undici del mattino, quasi in piena bassa marea, individuo un protuberanza dello stesso colore del corallo che assomiglia a qualcosa di vivente. E' un essere vivente. Riconosco gli occhi scuri e sporgenti, pinne ventrali schiacciate sul fondale, quelle dorsali arricchite da aculei. Un pesce a forma di goccia schiacciata con il muso piatto come quello di un papero malefico e gli occhi a metà tra rospo e coccodrillo. Il suo colore è poco definibile essendo composto da macchie grigio-giallo-marrone. Lui guarda immobile il mondo che passa, sicuro del suo mimetismo e delle sue difese naturali. Se potessi fare un salto fuori dall'acqua, lo farei. Un salto di gioia. Sotto di me c’è un crocodilefish. Lo osservo per minuti contrastando la lieve corrente marina che trasporta piccole porzioni di vegetazione e qualche medusa solitaria.  Poi torno.
Ora conosco il percorso per arrivare dai due cani nocciola senza incappare in taglienti coralli.
Alzando lievemente il capo noto che una barchetta ha fatto rotta verso la mia insenatura.

giovedì 6 novembre 2014

Barracuda beach

Il sentiero per arrivare a Barracuda beach non è proprio semplice. Parte subito ripido da dietro le case in legno che si affacciano sul mare di Kadidiri. Un ragazzo locale mi ha spiegato che devo mantenere il sentiero principale, ed una volta arrivato ad una grossa pozza d'acqua dolce prendere la destra.
La giornata è tersa e senza vento. Pur essendo di prima mattina, dopo la breve salita sono sudato. Anche oggi i due intrepidi cani nocciola dei miei ospiti mi seguono, ma con poca voglia. In testa mi gira un motivo dei The Cinematic Orchestra. Buone vibrazioni. Erbe alte ed umide entrano tra le gambe e le braccia come spade leggere e sinuose, ostacolando l'ascesa. Erbe equatoriali dai bordi seghettati e taglienti. Ieri sera ha piovuto e dunque il sentiero scuro è ancora più scivoloso del solito. Mi aggrappo con la mano libera a qualche radice sporgente o fusto di cespuglio.
L'entroterra di Kadidiri è inizialmente disseminato da vecchie piantagioni di palma da cocco e da sentieri angusti che penetrano la foresta. I due cani sono tornati vispi: entrano nella boscaglia, fiutano, cercano, osservano. Ben presto lascio le palme coltivate per entrare nel bosco. Qui l'aria diventa pesante seppure la temperatura non sia elevata: l'umidità la si può conoscere e palpare. Odore di zolfo e di materiale vegetale che lavora e si disintegra in poco tempo. Piccole zanzare fanno la corte alla pelle che tenta inutilmente di espellere sudore. Accelero il passo anche se vorrei Fffermarmi ad osservare meglio gli alberi, i fiori rossi che si arrampicano sui tronchi, gli insetti. Presto arrivo alle pozze di acqua dolce. Il sentiero qui si biforca. Costeggio gli specchi d'acqua fangosa e poi prendo il sentiero a destra. I cani scendono a bere.

Dopo aver raccolto qualche lime da una pianta spuntata dal nulla vedo alberi di banano e poi ancora palme da cocco. Sento di essere vicino alla meta. A sinistra mi protegge una collina ripida, forse l'inizio di una scogliera che si butta in mare.
Una brezza leggera che si insinua tra i tronchi alti mi avvisa che lo spazio aperto è prossimo. Apro la camicia per assorbire l'aria che viene del mare. Dall'alto ammiro la costa contornata da alberi e cespugli, da un mezzo anello di nivea sabbia e da un mare incastonato di azzurro. Barracuda beach. Scendiamo nella piccola spiaggia piano, assaporando con le iridi la Natura. Le scogliere laterali, gli alberi e le liane che sporgono da loro pericolosamente, la sabbia incredibilmente fine, l'isolotto minuscolo che spunta dall'acqua cristallina, sono lì. Tutto questo basta abbondantemente.
Ad una lato della spiaggia dei barracuda noto una casupola di legno. Mi avvicino ma non vedo nessuno. Sono felicemente solo, conBB due dolci cani esploratori. All'ombra di quella che nella querida Bolivia orientale chiamano siete copas il sudore del corpo ben presto si volatilizza. Le due fedeli guardie del corpo color nocciola scavano delle buche nella sabbia per riposarsi al fresco. Ogni tanto si alzano per mettere il muso nelle tane di innocui granchi, piccole, piccole, copie dei giganti granchi del cocco che vivono più in dentro, nella buia foresta.
La marea regredisce, lasciando tra le onde deboli alimento per un martin pescatore dal becco pesante e dai colori vistosi. Ancora non so che tra quei lievi flutti di acqua diafana presto incontrerò il mio primo crocodilefish.

sabato 11 ottobre 2014

I cacciatori dei granchi delle noci di cocco

I granchi hanno paura di due cani di media grandezza? La risposta è sì, a meno che si tratti di granchi del cocco. Proprio con questo tipo di crostacei ho fatto di recente conoscenza. Per non parlare del rischio concreto di essere azzannato da un timido sea banded snake. Ma questa è una storia che appartiene alle immersioni in Tanjung Karang, a Palu.

E' la prima mattina sull'isola di Kadidiri, Togean. Nel sacchetto di plastica bianco ho infilato maschera, boccaglio e una bottiglia d'acqua. Con il sapore del buon caffè di Sulawesi mi inerpico per uno stretto sentiero, e son subito nella foresta equatoriale. Inaspettatamente i due cani dei miei ospiti cominciano a seguirmi. Sono due fratelli dal manto nocciola, giovani e veloci, un po' cani da caccia, un po' altro. L'obiettivo (mio) è quello di raggiungere una spiaggia isolata; l'obiettivo (dei cani) è fare una passeggiata. Tutti vogliamo esplorare.
Le infradito a fatica percorrono la strada di terra scura e compatta. Si aggrappano ad antiche pietre di corallo per non scivolare. La foresta offre il suo straordinario spettacolo: alberi sconosciuti dai tronchi chiari, liane, palme poderose dalle foglie fitte si innalzano dall'oscurità. Il cuore batte al ritmo dei miei passi, al frinire lamentoso di cicale, al richiamo imperscrutabile di uccelli solitari. Un cuore umido a pochi chilometri dalla linea dell'equatore.
Dopo aver oltrepassato una collina, la foresta diviene pianeggiante ed acquitrinosa, con alberi dalle radici semiaeree che attingono dall'acqua la forza E' proprio in questa zona paludosa che ricompaiono i due cani nocciola, e tra qualche secondo farò conoscenza con i giganteschi granchi del cocco. Il sentiero costeggia grandi pozze di acqua dolce, facendomi ad un tratto notare una serie di grossi buchi nel terreno. "Saranno roditori", dico a me stesso. Ma le strane cavità hanno uno sviluppo stranamente verticale. Oltrepasso uno di questi antri neri e vedo qualcosa muoversi al suo interno. Mi blocco quando realizzo parzialmente cosa sto trovandomi di fronte. Una serie di zampe marroni, pelose come quelle di una tarantola, grosse, molto grosse, sono rannicchiate, quasi attaccate tra loro all'interno della tana. Il collegamento con quello letto da un libro ormai è immediato. Sono granchi del cocco,  http://it.wikipedia.org/wiki/Birgus_latro animali di alcuni chili di peso, piuttosto rari, le cui chele  dicono possano rompere i gusci delle noci di cocco. Sicuro è che se infilassi nel buco un dito o qualcosa di più consistente difficilmente rimarrebbe attaccato al resto del corpo.
Nel frattempo gli amici cani cominciano ad interessarsi alle tane dei paguri giganti, a volte mettendo dentro il naso per odorare la loro presenza. Cani temerari. Con il sudore che inonda la camicia decido di gironzolare attorno questi buchi oscuri con la speranza di vedere qualcosa di più. "Sono animali notturni", penso, quando ecco che i cani cominciano ad abbaiare, puntando qualcosa. Mi avvicino e sono subito colpito da un paio di chele decisamente grosse dietro (e sotto) le quali si difende il granchio stanato. Con una mossa fulminea il crostaceo si ripara le spalle portandosi a ridosso di una radice sporgente. I due fratelli circondano la preda a distanza di sicurezza; il pericoloso gioco finisce quando il granchio marrone trova un pertugio sotto la radice, così tutti ne escono indenni.
KaddDopo il significativo incontro è tempo di immergersi nelle cristalline acque di Kadidiri. La spiaggia è vicinissima, protetta da scogliere di roccia straripante di vegetazione. I cani si riposano sulla sabbia all'ombra di un gigantesco siete copas (indian almond), in attesa che il mio volare sopra coralli abbia fine.

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domenica 21 settembre 2014

L'imprendibile Kalimantan

Se avessi prenotato uno o due giorni prima il volo per Sulawesi mi sarei trovato in un grosso pasticcio.
Arrivo dopo sei ore a Tawau. Il bus vecchio soffiava con poca efficacia l'aria condizionata ma il viaggio e' risultato piu' che decente. Il ragazzo dei biglietti e dei bagagli dopo avermi indicato il centro cittadino mi stringe la mano destra, poi se la porta al cuore. Cammino veloce in una citta' calda e desertificata dall'inizio delle feste dell'Hari raya. In una zona di alberghi ambigui del centro ne scelgo uno. Lascio lo zaino, riempio la bottiglia di acqua dall'erogatore dell'albergo, poi mi dirigo verso il porto. Qui gli uffici che vendono biglietti delle speed boat dirette in Kalimantan sono chiusi. Tra due giorni ho il volo da Tarakan per l'isola di Sulawesi. Tarakan si trova a piu' di cento chilometri da Tawau e da nord la si puo' raggiungere solo via nave. Chiedo ad un malese-cinese se domani ci saranno imbarcazioni per il Borneo indonesiano: non lo sa.
Tutto si sta complicando seriamente. Sono le 16 e, prima di recarmi in un hotel di lusso per chiedere informazioni, mi consolo con mezzo chilo di rambutan gialli.

La mattina dopo mi avvicino preoccupato alla zona portuale. Ieri nessuno mi ha fornito certezze. Ora sapro'. Evviva. Le biglietterie sono aperte. Ma la gioia si stempra quando mi dicono che non ci sono barche per Tarakan. L'unica via e' prenderne una per la vicina isola di Nunukan, quindi sperare nei collegamenti verso sud.

In una torrida sala di aspetto inizia il calvario per raggiungere Nunukan. Ci saranno un'ottantina di persone tra indonesiani, malesi e uno sparuto gruppo di occidentali con i quali non ho voglia di socializzare. Il tempo scorre e nulla si muove. La maledizione delle feste di Hari raya incombe.
Dopo cinque ore di aspettativa riusciamo a salire sul traghetto diretto in Indonesia. L'ora che separa Tawau da Nunukan passa veloce e alle 17:30 attracchiamo nell'isola. Chiedo subito ai doganieri se ci sono imbarcazioni per Tarakan. Forse. Anche il disomogeneo gruppo di occidentali partiti con me pare diretto a sud. Loro si affidano ad un mediatore locale; preferisco arrangiarmi da solo.
Il tempo incombe e finalmente mi assicurano che tra un'ora parte il ferry notturno per Tarakan. Ringrazio i doganieri, contratto il prezzo con un mototaxista e veloci ci dirigiamo verso il lontano porto da cui parte l'imbarcazione. Anche se non sono fornito di casco esorto il taxista di volare sulla vastisssima Nunukan prima che la nave lasci gli ormeggi.Manta1
Il tramonto sul mare accoglie la nostra moto quindici minuti prima della partenza del ferry Manta. Pago, firmo, invento una nazionalita', e sono sul ponte dell'imbarcazione.

Un sollievo infinito mi sboccia nel cuore: domani mattina saro' a Tarakan e sulla Manta2sommita' della nave spira una brezza da est, e a ovest il crepuscolo manda i suoi ultimi segnali. Vorrei passare tutta la notte a guardare l'acqua scura e la costa del Borneo che si muoveranno sotto e attorno di me, a fissare neonate stelle che ondeggiano con il mare quando un'essere soprannaturale coprira' tutto di nero con piccoli buchi per le stelle e un foro maggiore per una luna dal cuore dolce. Il traghetto emette tre fischi.
Parto.

venerdì 29 agosto 2014

La foresta del monte Kinabalu, Borneo

Aria mielata giunge dal basso. Aria di tropico addolcita da vegetazione in fiore del Borneo settentrionale.
Ieri ho trovato alloggio a una cinquantina di metri dall'entrata del parco nazionale del monte Kinabalu. Di sera spirava una brezza incredibilmente fresca per i soli 1580 metri di altitudine della sede del parco.

Ora sono appena entrato nel Kiau View Trail. Otto del mattino. Pantaloni corti, calze, sandali semichiusi, e camicia. Nello zaino ho acqua, frutta, pane e un maglione. Fuori l'aria sa' di miele. Fuori lo spettacolo della Natura. Dopo il primo tornante il rumore delle strada sparisce. Sono nella foresta pluviale del monte Kinabalu e, se non fosse per quell' aroma esotico, il clima oggi potrebbe essere comparabile a quello alpino: aria fresca, poca umidita', temperatura e visibilita' ottimali.
Cammino piano, cercando di produrre il minor rumore possibile osservando, K1respirando con il bosco la sua aria. Il sentiero e' un insieme di terra sabbiosa colorata di arancione, rosso e grigio, e da una complicatissima rete di radici. Nelle porzioni di sentiero piu' in pendenza l'acqua ha modellato il terreno levigandolo dolcemente. Solo gli apparati radicali resistono alla pioggia. Oltre ad un sottobosco ricco di cespugli, fiori, felci di mille tipi, sono gli alberi che catturano l'attenzione (e l'amore):
tronchi affusolati, lisci, ruvidi, marroni, gialli, liane pendule, tutti protesi spasmodicamente verso l'alto, alla ricerca di una porzione di luce vitale, tutti in contemplazione della montagna delle anime degli antenati, la montagna dei quattromila metri. Molti sono gli alberi di grandi dimensioni dai tronchi perfettamente verticali supportati da radici che sventrano la terra per decine di metri; appena un ramo presenta qualche increspatura, subito un rampicante, una felce, un'orchidea, prendono posto. Rispetto ad altre foreste tropicali o subtropicali qui gli insetti che vedo sono pochi, a parte qualche coleottero dalle dimensioni gigantesche, mosche e simil-ape.
In questo momento il sentiero Kiau diviene piano e si biforca: da una parte scende verso la sede del parco, l'altra raggiunge la strada che porta alla scalata del Mt. Kinabalu. Finora non ho incontrato nessuno, nonostante la vetta della montagna venga conquistata ogni anno da decine di migliaia di
persone.
Ben presto raggiungo la strada in attesa di riprendere un altro sentiero. Qui, dove la visuale si apre un poco, e' possibile ammirare delle felci enormi che superano i quattro metri di altezza.K2
A 1780 m i sandali imboccano il sentiero Bukit Ular. Ruscelli di acqua limpida attraversano a tratti il percorso mentre il vento si insinua tra i rami alti. Tranne qualche scoiattolo di cui uno grosso, credo volante, altri animali come uccelli rimangono in alto. Sono colpito da un richiamo triste e puntuale di un volatile sconosciuto ed invisibile. Intravedo un
cucciolo di serpente che si dilegua tra le foglie. Il sentiero nella sua parte finale si arrampica con l'aiuto di scale di legno e gradini scavati nella terra. A 1960 m sono sulla cima di una collina che guarda il monte
Kinabalu. Qui, tra rododendri alti due metri e alberi modellati dal vento posso godere pienamente e da vicino le vette del Kinabalu. Sono fortunato, oggi le nubi non imperversano attorno le scure rocce granitiche della montagna.
MK

domenica 10 agosto 2014

Verso il monte Kinabalu

Il bas mini bianco sfreccia tra le foreste che circondano la montagna degli spiriti degli antenati, il rilievo dai molti picchi piu' alto dalla Nuova Guinea all'imprendibile Himalaya. La meta obbligata per tutti coloro che visitano il Borneo settentrionale.
Ho lasciato la stanza col ventilatore a soffitto -stanco di lavorare- poco dopo le sette. Il sole accoglie con gioia la pelle del corpo. Per fortuna soffia una brezza da sud-ovest. Arrivo rapidamente alla fermata dei minivan e trovo il mezzo gia’ semipieno. Bene. Mi indicano un posto a sedere. Dietro di me ci sono tre ragazze britanniche. Il bigliettaio mi chiede piu' delle cifra normale. E' per il bagaglio. Metto lo zaino sulle ginocchia e pago il giusto.
Il traffico di Kota Kinabalu a quest'ora e' importante: bus di linea, bus per turisti, van, pick-up, auto normali e auto piene di modifiche non molto ortodosse come tubi di scappamento ingigantiti, lucine colorate stile albero di natale, cuscini, adesivi creativi e così via.
Intanto sul nostro minibus arriva il sole e, con esso, il sudore. Mancano due passeggeri e fino a quando il mezzo non e' pieno non parte. All'improvviso due signore velate completano il bas mini. Manca pero' una britannica che e' andata in bagno. Alla fine si parte. Aria quasi fresca entra dai finestrini mentre risaliamo la scogliera. Il caos cittadino si allenta.
Sul cruscotto del bus si tengono compagnia un adesivo con frasi in arabo a sicuro tema religioso, accanto a tre stemmi di una nota birra olandese. Scuoto la testa sorridendo. Accanto a me c'e' un signore anziano di campagna, davanti una coppia di ragazzi probabilmente sposati: lei racchiusa in un velo color rosso vivo, lui con una camicia jeans. Lei con le gambe raccolte, lui l'opposto. Il giovane gioca con il cellulare, la ragazza parla a tratti, dolce e timida.
Sposto lo sguardo fuori. Scorrono palazzi, capannoni e poi case di legno contornate da giardini.
 
Il conducente dagli occhiali scuri spinge il suo mezzo bianco veloce sulla salita. Presto l'altimetro segna 900 metri. Sposto le iridi a destra e a sinistra: colline ammantate da boschi si fanno piu' vicine come se segnassero la strada daKi2 prendere. Anche la vegetazione muta con la scomparsa quasi totale delle palme e altri alberi a foglia grande. I settecentocinquanta chilometri del parco del monte Kinabalu sono un oasi di biodiversita' circondata dalla monocoltura devastante della palma da olio.
Ora l'aria fresca arriva fino alle nostre narici, al punto che il signore vicino a me chiude il finestrino.
Quando il Mt. Kinabalu compare in tutta la sua massiccia imponenza, le ragazze dietro Kibofonchiano qualche commento. La montagna piu' alta e' li', avvolta nell'afa implacabile del Borneo e da nuvole affilate che girano attorno ai suoi picchi di granito.

mercoledì 25 giugno 2014

Lo straniero nel villaggio di Cambaquiz

Vive da tre giorni in una casa nel cuore del villaggio. E' un bianco, uno straniero dal lontano non-si-sa-dove. E' un tipo tranquillo, poche parole, gentile il necessario. Mia zia Meina gli prepara ogni giorno un pasto che consuma sul tavolo di legno accanto alla casa. Uova o carne, e verdura come Meina cuoce per i suoi figli. Nonostante la doppia porzione di riso, il forestiero è magro. Mia madre dice che a Cebu ma anche a Bohol gli stranieri spesso sono accompagnati da donne filippine. Lui no.

E' ora che mi presenti: sono Arnel, ho undici anni e da sempre vivo a Cambaquiz, Cabilao. La mia isola è piccola e senza montagne. Gli adulti sono quasi tutti pescatori o si dedicano al piccolo commercio. Alcuni lavorano nei resort con i turisti, molti emigrano. Io vado a scuola e da grande vorrei guidare le navi, quelle grosse che si spostano da una isola all'altra e vanno così lontano che non le vedi più, nonostante siano grosse cinquanta volte le barchette di Cabilao.

L'uomo è nel villaggio da tre giorni ma pare qui da tanto. E' una mia sensazione, qualcosa che si capisce senza pienamente intenderlo: quel suo modo di camminare la strada, di accostarsi controllato alle cose, gli occhi ironici e stanchi, i suoi vestiti normali, il sacchetto di plastica del Colonnade di Cebu city che si porta sempre dietro. Quando i bianchi escono dal resort, osserviamo le loro macchine fotografiche, i sandali, gli occhiali a specchio, le loro camice sgargianti. Sono gentili e i loro sorrisi troppo ampli. 
Prima accennavo alla strada; le infradito dello straniero di Cambaquiz sono consumate e usurate, il suo passo è veloce, le sottili  gambe nascondono muscoli e tendini che conoscono lo sporco e lo splendore trasfigurante del cammino.
Zia Meina dice che non prende mai i moto-taxi. Parte la mattina presto con il sacchetto e il cappellino per non so dove. Dicono che vada ad esplorare le spiagge dell'isola. Dal sacchetto bianco ogni tanto esce la punta del boccaglio. Credo gli piaccia nuotare e vedere i pesci.

Questa sera, quando il crepuscolo allunga l'oscurità purificatrice sull'isola, ho visto ancora il forestiero senza nome. Andava nell'emporio di Mari a comprare pane dolce, una bevanda frizzante e una bottiglia di liquido bruno. Li mette nel piccolo zaino nero e poi torna a casa. Ieri l'ho intravisto mentre si faceva la doccia versandosi secchi d'acqua nel bagno aperto. Quando e' buio, alle 19, arriva l'altra luce su Cabilao: tranne quei pochi che possiedono un generatore, per B CQ 1tutti l'energia elettrica dura cinque ore. Dopo mezzanotte tutto torna oscuro; le radio, i sound system, i ventilatori dal cuore dolce smettono di funzionare in attesa della prossima attivazione, il giorno dopo.

La signora che vive nella casa accanto alla baracca dello straniero dice che la sera lui beve, stanco, poi esce a passeggiare sulla spiaggia, quindi dorme dentro la zanzariera. Quando ha contrattato il prezzo della stanza diceva a zia Meina che aveva bisogno di dormire morbido. Forse ora sarà costretto ad appoggiare l'anca su un cuscino perché le stuoie stese sul bambù sono troppo sottili. Alle 24 il ventilatore smette di funzionare e nella capanna farà fresco fino all'alba.B CQ 2 Invece, anche se dopo pranzo il ventilatore dal cuore dolce funzionasse, sarebbe impossibile riposare dentro la casa di legno e lamiera. Ma questo il forestiero lo sapeva.
Arnel, anyway, omaggia il mondo contorto e lineare dello straniero. E la sua musica sconosciuta. Quando Arnel adulto comanderà la grande nave, sarà felice di ospitare persone che si trasfigurano nella strada. Liquida, immaginaria o polverosa che sia.

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lunedì 2 giugno 2014

L'arrivo a Cambaquiz

Il sole orizzontale tocca la sabbia scottandola, le imbarcazioni bianche con i bilancieri e lo specchio del mare rifrangono forte la luce. Sono giunto or ora nell'isola di Cabilao dalla vicina Pangangan. Un locale mi ha appena informato che a Cambaquiz c'è un solo un posto dove poter alloggiare. Con il mio fardello risalgo la bassa scogliera, e, in un patio dove degli stranieri stanno facendo colazione, chiedo una stanza ad un addetto. I prezzi sono troppo alti per il mio budget.
Al piccolo molo semideserto dove arrivano le barche da Sandingan, domando se qualcuno nel paese ha una stanza da affittare. Mi risponde una signora magra, sulla quarantina, con un cappello schiacciato sul capo per proteggersi dal sole. Sandra. La donna mi dice che normalmente nessuno alloggia fuori dal resort. Mi siedo su una panchina all'ombra di una tettoia. Il mattino è ancora vergine e l'acqua del mare è strabiliante come l’aria.
pCQualche minuto dopo Sandra torna con una donna giovane, sua cugina Meina, la quale mi informa che c'e' un luogo dove dormire. "Sì, sulla spiaggia ce ne sono tanti...", dico con ironia.
"Una piccola stanza di un uomo che ora lavora a Tagbilaran. Ma è molto semplice", risponde Meina sorridendo alla mia battuta.
"Vediamo".
Insieme entriamo nel cuore del piccolo villaggio di pescatori. L'abitazione è una baracca singola formata da assi di legno e coperta da un tetto di lamiera. La porta è chiusa all'esterno da un nastrino di tessuto  rosso. L'interno consta di un pavimento sconnesso di bambù, un tavolino basso, una specie di credenza dove ci sono le cose appartenenti al proprietario. Sulle pareti foderate vedo qualche foto sbiadita e un'immagine della Madonna. Una parte del tetto è coperta da un telone impermeabile. La corrente elettrica circola attraverso fili danzanti in alto. Niente letto. Bagno comune: fuori senza tettoia con solo un paravento intorno alto un metro e mezzo. Bidoni d'acqua portati dal pozzo e un water open air. Intorno case, alberi, baracche e galline libere.
Prima di prendere una decisione chiedo a Meina se puo' procurare delle stuoie, tante stuoie come materasso, cuscino, zanzariera e ventilatore. Sì. Prezzo proposto: 300 piso. Troppo. 200. Accetto. Contratto subito con la donna la preparazione di un pasto al giorno per due giorni, forse tre. Sandra ci saluta. Meina e altre signore nel frattempo sopraggiunte mi guardano con bonaria curiosita'. Sorridono. Le vicine. Le mie guardiane disarmate. Sono insieme compiaciute e lievemente disorientate dalla mia presenza. Il villaggio non è la metropoli: con la velocita’ di una tagliente scarica elettrica presto tutti sapranno della presenza di un occidentale nel barangay di Cambaquiz. Le saluto ed entro per poco nella mia nuova stanza rovente di lamiera baciata dal sole.

venerdì 2 maggio 2014

A tricycle in Puerto Galera

tripg

venerdì 11 aprile 2014

In barca verso Cabilao

Il canto gutturale, quasi triste di un uccello dei tropici accompagna lentamente il mio stato di coscienza dal mondo onirico a quello che qualcuno definirebbe reale. Osservo calmo la stanza dall'aria risucchiata dal ventilatore. Fuori la finestra una nuova candida, spietata, giornata si alza. Le foglie delle palme da cocco sono immobili. Niente vento. Posso attraversare il tratto di mare di Bohol che separa l'isola di Pangangan da Cabilao sulla barca di Jef.  Ascolto immobile ancora per un poco i richiami del volatile, prima che la mente mi catturi verso le prospettive di un nuovo giorno di cammino.
Passo da Jef. Emi mi dice che suo marito mi aspetta alla spiaggia. Saluto con gratitudine Emi: vorrei ringraziarla anche per quel senso di essere dentro alle cose provato frequentando quella casa di legno e lamiera. Non riesco a farlo.
Durante la navigazione sapro' che Jef ha perso quasi una nottata di pesca per accompagnarmi al mero costo del combustibile: 120 piso.
La piccola imbarcazione bianca di Jef con i bilancieri di bambu' è pronta per il forestiero che viene dalla strada. Mentre Jef mantiene ferma la barca, appoggio prima lo zaino, poi barc1salgo davanti. Jef spinge e sale dietro di me. L'acqua è così trasparente che pare non esista. Poche remate verso la moderata profondita', quindi il ronzio del motore prende forma, e con esso si vola su quella meravigliosa impalpabilita'. La brezza della prima mattina mi si appoggia sulla pelle, scacciando il sudore primigenio.
Saluto l'alta marea di Pangangan, le sue palme, il villaggio e le mangrovie sullo sfondo. Alcuni bambini con l'uniforme scolastica osservano dalla riva con curiosita' l'estraneo accompagnato dal pescatore.
Sono ancora in movimento, una delle essenze del viaggio, e un imperscrutabile fremito di gioia mi attraversa il corpo. Velocemente doppiamo la punta nord-est dell'isola, dove l'altro giorno ho visto un'inattaccabile coppia di lionfish, e, in lontananza, appare la sagoma di Cabilao. Ilbarc2 mare è deserto, piatto, anche se qualche increspatura si affaccia dove esso diviene piu' profondo. Con un volto di gentile serieta', dietro di me Jef guida la sua barca bianca.
Oltre Cabilao, tra una lunga fascia di nuvole globose, si insinuano le montagne di Cebu, e penso ancora una volta alla recentissima tragedia navale che ha interessato quel tratto di mare tra Bohol e Cebu, quattro giorni prima della mia traversata.  http://travel-ontheroad.blogspot.it/2013/10/avversita-filippine.html   
L'isola di Cabilao è conosciuta per la qualita' dei suoi fondali, meno per le sue strutture di accoglienza spesso dedicate a gruppi organizzati di subaquea. Jef dice che a Cambaquiz ci sono degli alloggi ma non conosce i prezzi.
I minuti si consumano lentamente gustando l'odore del mare e i colori freschi generati dal sole obliquo. Cabilao si avvicina con la sua forma di fungo piatto emerso dall'oceano.
JefbDopo poco tocco la sabbia chiara del villaggio dal nome spagnoleggiante di Cambaquiz. La breve traversata e' finita e non mi resta che salutare Jef. Un amico. Lo osservo allontanarsi rettilineo verso la sua isola, verso il suo mondo.
Dalla spiaggia un uomo si avvicina e mi chiede cosa voglio. "Cerco un posto dove dormire", rispondo.
 
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venerdì 21 marzo 2014

venerdì 28 febbraio 2014

La casa del pescatore

Ogni mattina Jef vede il sole sorgere dal mare di Bohol. Ha una barca bianca a motore di tre metri con la quale si reca a pescare. Anche se i bilancieri di tronchi di bambu' colorato la fanno sembrare piu' grande, la barca di Jef non è affatto grande. L'acqua di Pangangan è spesso così limpida che pare di vedere l'imbarcazione di Jef volare.
Il giorno prima della partenza per l'isola di Cabilao, Jef mi avvisa: "Se domani il mare è mosso non posso portarti." Annuisco. Ho appena gustato il pasto preparato da Emi, la moglie.

Jef, Emi e il piccolo figlio vivono in una casa di legno e bambu’, con il tetto di lamiera. All'interno dell'abitazione Emi ha ricavato un minuscolo emporio dove vende caramelle, alcolici e altri generi di consumo. Ho conosciuto questa famiglia perché alla ricerca di pasti economici fuori dai resort per turisti.
Oggi ho divorato melanzane cotte con peperoncino, abbondante razione di riso e due uova; dal tavolo di legno grezzo dove Emi stava tagliando verdure vedevo entrare dalla porta aperta veloci galline pronte a ingoiare qualcosa di commestibile caduto sul pavimento di terra battuta. Emi le scacciava. Tra la visita di una gallina e l'altra intravedevo cani raminghi dagli occhi teneri che si affacciavano all'uscio. Qualche bambino si sporgeva all'esterno dalle rete metallica che protegge l'emporio per acquistare qualcosa.cpan
La casa ha forma rettangolare: la cucina, a fianco lo stanzino dell'emporio e il locale dove consumo il pasto, arredato di sedie, una panca e due piccoli guardaroba. Attaccati ad un armadio ci sono i poster rispettivamente di una Madonna e un Gesù dagli occhi azzurri. Incollata alle tavole di legno che fanno da muro esterno vedo una foto sbiadita di Kuala Lumpur. La scala nell’angolo porta ad un soppalco dove la famiglia riposa. Emi e' fiera di cucinare per me, io sono lieto respirare la normalita’ di quella casa.

Guardo Jef con il volto sudato. Sono le tredici passate e fuori il sole tropicale divora senza compassione. Mentre Jef appronta degli ami per la pesca notturna mi racconta cose purtroppo gia' sentite: pescatori che usano sostanze chimiche e altre illegalita' per catturare pesci , uomini che tornano con sempre meno frutti del mare. "Non capiscono che se catturano pesci giovani o utilizzano sostanze illecite, i nostri figli non troveranno piu' nulla da vivere qui a Pangangan.  E gia' questo succede ora", mi dice. Io assento.

Domani alle sette Jef mi porta a Cambaquiz, Cabilao. Se le onde saranno lievi.

venerdì 7 febbraio 2014

Una Striscia nel mare di Pangangan

Godo esplorare i grandi coralli, amo insinuarmi tra i loro intelligibili arabeschi di colori, perdermi moderatamente in deformi antri oscuri creati da antozoi e dal limare infinito della calda corrente. In queste caverne pullulanti di vita e di visitatori è possibile non uscirne piu'. I coralli a forma di fungo, di cespuglio, di tappeto bitorzoluto, di meteorite aliena caduta da sopra il Mare, coralli avvinghiati, incuneati, appoggiati tra loro, sono casa e rifugio, gabbia o prigione mortale. Da quando ho perso la mia compagna il rischio è fratello, sorella la curiosita', quindi esploro.
Sono un pesce che vive tra i coralli del mare di Bohol. Non sono un pesce qualunque, anche se talvolta vengo confuso con i piu' comuni butterflyfish; è vero, ammetto lo sbaglio, nessun essere della mia specie si puo' definire "qualunque" perché siamo tutti diversi tra noi, tutti particolari alle iridi degli occhi del Mare. Tutti dovrebbero saperlo. Gli umani mi hanno classificato come Moorish Idol, ma mi chiamo Striscia. E basta. La mia bocca è lunga e sottile, il corpo stretto è colorato a bande nere, gialle e bianche, pero' la parte di cui noi Idol andiamo maggiormente fieri è la lunga appendice della pinna dorsale. Una strsottile bandiera fluttuante, un vessillo bianco che ho parzialmente perduto mentre mi sfilavo dalla rete da pesca. La compagna delle mie scorribande tra i coralli non l'ho piu' vista. Ho smesso di cercarla da tempo.
Lisca, un tonno con un'antica cicatrice sul fianco sinistro, effettivamente si sposta da mare a mare, e mi racconta di pesci strani, di coralli integri e incontaminati, e dell’Oceano. Mi piacerebbe volare con lui tra correnti e acque senza fondo, ma Lisca avverte che è impossibile per un Idol come me. Così porto il mio vessillo monco e solitario ogni giorno alla scoperta delle rocce coralline attorno un'isola chiamata Pangangan.
Quotidianamente mi intrufolo tra coralli molli che tappezzano la pietra, provocando agitati clownfish al sicuro tra basse foreste di anemoni, osservo da lontano murene cariche di denti affilati, le quali paiono draghi a difesa di un castello diroccato o serpenti incastrati tra duri antozoi. 
Ogni tanto incontro Tarta, una specie di pesce molto grosso che sale in superficie per succhiare qualcosa che c'è sopra il Mare. Tarta preferisce le alghe di Cambaquiz, Cabilao, ma non disdegna le acque limpide di Pangangan. Questo pesce strano nuota lentamente e dai suoi occhi tristi posso scorgere una lunga vita. Anche Tarta ha molte storie per me: racconta che un giorno ha visto la terra la' fuori tremare forte forte, e alcuni umani sono scappati, altri sono rimasti immobili. Tarta è tornata nell'acqua profonda perché quel giorno anche il Mare era arrabbiato.
Oggi nuoto tra le acque calme di una grande baia a nord-est di Pangangan. Viaggio veloce nel fluido chiaro bordato da un’aura superficiale giallognola. Nessuna corrente, l'ideale per immergersi in tutta tranquillita' tra i coralli screziati che preferisco. La mia bocca sottile trova qualcosa di buono all'interno di un antozoo profondo a forma di cratere. Mentre pilucco l’alimento, gli angoli degli occhi e l'udito avvertono qualcosa di anormale: una lama di luce che si contrae, un muoversi rumoroso: segnali di pericolo. Decido di rimanere immobile dentro il cratere in attesa che la minacciosa sagoma umana si allontani. Vedo girare il suo corpo lungo e chiaro attorno a coralli, nuotando in modo sgraziato. La cavita' ove mi trovo puo' diventare per me recinto mortale.
Dopo qualche minuto passato a volteggiare nell'acqua piatta di Bohol, l'umano torna indietro. Forse avra' una compagna che lo stara' aspettando.  Striscia ha il Mare.

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sabato 18 gennaio 2014

Mare calmo a Pangangan

L'acqua e' la mia strada. Dopo la sabbia della riva i piedi incontrano una segmentata roccia scura dove, nei lievi anfratti, si posizionano minuscoli ricci di mare e qualche stella marina in strenua attesa del flusso portato dal mare di Bohol. L'acqua e' calda ma sempre meno del sole della tarda mattina tropicale. Indosso maschera e boccaglio, e tramuto la mia fisicita' in qualcosa di diverso, senza apparente peso. Un corpo magro che conosce la polvere si infila piano nella bassa marea di Pangangan. Le costole Pan1sfiorano alghe ruvide, le mani e le braccia spingono avanti in quel stretto lembo tra cielo e roccia. Mi sento libero in solo sessanta centimetri di spazio che non vogliono aumentare, così posso vedere meglio piccoli pesci e minuscoli crostacei, stelle di mare dai colori lisergici, e inattaccabili ricci puntati di un rosso fosforescente. La pelle vuole tentare il rischio. Nuoto tra striscioni di alghe in attesa trepida del mare profondo, confortato dalle parole della corpulenta padrona del mio alloggio: "Ci sono barriere coralline la', avanti".     
Fuori il mare è piatto, il vento quasi non esiste: troppo perfetto per essere duraturo. Da quando sono arrivato a Bohol una perversa istintiva inquietudine mi gira attorno. Ma il mare scorre, così,Pan2 improvvisamente, la lingua di acqua si ispessisce e davvero il corpo si sente liberato. Incontro prima qualche piccolo corallo marrone, qualche colorito cucciolo di triggerfish e butterflyfish, e infine l'orizzonte si apre nella sua decadente bellezza. Anche se diversi coralli sono ancora integri, la barriera esiste solo a tratti: qua e là vedo bei agglomerati di antozoi molli e duri, dai colori che partono dal giallo chiaro al blu. I pesci di un certa dimensione si distinguono appena in lontananza: scappano appena vedono la distruttiva sagoma umana. L'ombra proiettata sul fondale si muove piano, attenta e appassionata: chissa' se l'acqua riesce a trasmettere l'amore meglio dell'aria?
Tra poco mi attende il primo pasto dalla famiglia di pescatori, al villaggio. Ieri ho parlato con una giovane donna che si è offerta di prepararmi il pranzo per tre giorni. Emi, la signora, mi ha chiesto cosa preferivo mangiare. Ho risposto che andava bene tutto. Vivono in una casa di legno con il tetto in lamiera. Il marito di Emi, Jef, ha una piccola barca la quale ogni notte scivola tra le onde alla ricerca della principale loro sussistenza. Parlo a Jef della mia intenzione di raggiungere la vicina isola di Cabilao e lui si offre di accompagnarmi pagando solo il costo del carburante.
Mentre penso a Emi e a Jef, un grosso pesce, credo una cernia, scompare nella foschia del mare profondo.
Se gli occhi fossero davvero attenti si accorgerebbero che un bell'esemplare di Moorish Idol mi osserva da un corallo a forma di cratere. Invece sfugge l'incontro con questo pesce color giallo panna e nero, dalla lunga appendice della pinna dorsale mozzata da qualche sconosciuta avventura.
Il mare di Pangangan porta l'alta marea mentre percorro la strada in senso inverso. Non voglio fare aspettare Emi. 
 
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