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domenica 21 settembre 2014

L'imprendibile Kalimantan

Se avessi prenotato uno o due giorni prima il volo per Sulawesi mi sarei trovato in un grosso pasticcio.
Arrivo dopo sei ore a Tawau. Il bus vecchio soffiava con poca efficacia l'aria condizionata ma il viaggio e' risultato piu' che decente. Il ragazzo dei biglietti e dei bagagli dopo avermi indicato il centro cittadino mi stringe la mano destra, poi se la porta al cuore. Cammino veloce in una citta' calda e desertificata dall'inizio delle feste dell'Hari raya. In una zona di alberghi ambigui del centro ne scelgo uno. Lascio lo zaino, riempio la bottiglia di acqua dall'erogatore dell'albergo, poi mi dirigo verso il porto. Qui gli uffici che vendono biglietti delle speed boat dirette in Kalimantan sono chiusi. Tra due giorni ho il volo da Tarakan per l'isola di Sulawesi. Tarakan si trova a piu' di cento chilometri da Tawau e da nord la si puo' raggiungere solo via nave. Chiedo ad un malese-cinese se domani ci saranno imbarcazioni per il Borneo indonesiano: non lo sa.
Tutto si sta complicando seriamente. Sono le 16 e, prima di recarmi in un hotel di lusso per chiedere informazioni, mi consolo con mezzo chilo di rambutan gialli.

La mattina dopo mi avvicino preoccupato alla zona portuale. Ieri nessuno mi ha fornito certezze. Ora sapro'. Evviva. Le biglietterie sono aperte. Ma la gioia si stempra quando mi dicono che non ci sono barche per Tarakan. L'unica via e' prenderne una per la vicina isola di Nunukan, quindi sperare nei collegamenti verso sud.

In una torrida sala di aspetto inizia il calvario per raggiungere Nunukan. Ci saranno un'ottantina di persone tra indonesiani, malesi e uno sparuto gruppo di occidentali con i quali non ho voglia di socializzare. Il tempo scorre e nulla si muove. La maledizione delle feste di Hari raya incombe.
Dopo cinque ore di aspettativa riusciamo a salire sul traghetto diretto in Indonesia. L'ora che separa Tawau da Nunukan passa veloce e alle 17:30 attracchiamo nell'isola. Chiedo subito ai doganieri se ci sono imbarcazioni per Tarakan. Forse. Anche il disomogeneo gruppo di occidentali partiti con me pare diretto a sud. Loro si affidano ad un mediatore locale; preferisco arrangiarmi da solo.
Il tempo incombe e finalmente mi assicurano che tra un'ora parte il ferry notturno per Tarakan. Ringrazio i doganieri, contratto il prezzo con un mototaxista e veloci ci dirigiamo verso il lontano porto da cui parte l'imbarcazione. Anche se non sono fornito di casco esorto il taxista di volare sulla vastisssima Nunukan prima che la nave lasci gli ormeggi.Manta1
Il tramonto sul mare accoglie la nostra moto quindici minuti prima della partenza del ferry Manta. Pago, firmo, invento una nazionalita', e sono sul ponte dell'imbarcazione.

Un sollievo infinito mi sboccia nel cuore: domani mattina saro' a Tarakan e sulla Manta2sommita' della nave spira una brezza da est, e a ovest il crepuscolo manda i suoi ultimi segnali. Vorrei passare tutta la notte a guardare l'acqua scura e la costa del Borneo che si muoveranno sotto e attorno di me, a fissare neonate stelle che ondeggiano con il mare quando un'essere soprannaturale coprira' tutto di nero con piccoli buchi per le stelle e un foro maggiore per una luna dal cuore dolce. Il traghetto emette tre fischi.
Parto.

domenica 10 agosto 2014

Verso il monte Kinabalu

Il bas mini bianco sfreccia tra le foreste che circondano la montagna degli spiriti degli antenati, il rilievo dai molti picchi piu' alto dalla Nuova Guinea all'imprendibile Himalaya. La meta obbligata per tutti coloro che visitano il Borneo settentrionale.
Ho lasciato la stanza col ventilatore a soffitto -stanco di lavorare- poco dopo le sette. Il sole accoglie con gioia la pelle del corpo. Per fortuna soffia una brezza da sud-ovest. Arrivo rapidamente alla fermata dei minivan e trovo il mezzo gia’ semipieno. Bene. Mi indicano un posto a sedere. Dietro di me ci sono tre ragazze britanniche. Il bigliettaio mi chiede piu' delle cifra normale. E' per il bagaglio. Metto lo zaino sulle ginocchia e pago il giusto.
Il traffico di Kota Kinabalu a quest'ora e' importante: bus di linea, bus per turisti, van, pick-up, auto normali e auto piene di modifiche non molto ortodosse come tubi di scappamento ingigantiti, lucine colorate stile albero di natale, cuscini, adesivi creativi e così via.
Intanto sul nostro minibus arriva il sole e, con esso, il sudore. Mancano due passeggeri e fino a quando il mezzo non e' pieno non parte. All'improvviso due signore velate completano il bas mini. Manca pero' una britannica che e' andata in bagno. Alla fine si parte. Aria quasi fresca entra dai finestrini mentre risaliamo la scogliera. Il caos cittadino si allenta.
Sul cruscotto del bus si tengono compagnia un adesivo con frasi in arabo a sicuro tema religioso, accanto a tre stemmi di una nota birra olandese. Scuoto la testa sorridendo. Accanto a me c'e' un signore anziano di campagna, davanti una coppia di ragazzi probabilmente sposati: lei racchiusa in un velo color rosso vivo, lui con una camicia jeans. Lei con le gambe raccolte, lui l'opposto. Il giovane gioca con il cellulare, la ragazza parla a tratti, dolce e timida.
Sposto lo sguardo fuori. Scorrono palazzi, capannoni e poi case di legno contornate da giardini.
 
Il conducente dagli occhiali scuri spinge il suo mezzo bianco veloce sulla salita. Presto l'altimetro segna 900 metri. Sposto le iridi a destra e a sinistra: colline ammantate da boschi si fanno piu' vicine come se segnassero la strada daKi2 prendere. Anche la vegetazione muta con la scomparsa quasi totale delle palme e altri alberi a foglia grande. I settecentocinquanta chilometri del parco del monte Kinabalu sono un oasi di biodiversita' circondata dalla monocoltura devastante della palma da olio.
Ora l'aria fresca arriva fino alle nostre narici, al punto che il signore vicino a me chiude il finestrino.
Quando il Mt. Kinabalu compare in tutta la sua massiccia imponenza, le ragazze dietro Kibofonchiano qualche commento. La montagna piu' alta e' li', avvolta nell'afa implacabile del Borneo e da nuvole affilate che girano attorno ai suoi picchi di granito.

sabato 5 settembre 2009

Frammenti di viaggio 11: Bako, Borneo


Un sedile di dura plastica, un bus giallo che e' fotocopia di quelli scolastici USA anni settanta mi sta conducendo al Bako national park. Aria bollente entra dai finestrini. Otto del mattino e l'afa del Borneo la posso quasi toccare. Il panorama offre fabbriche isolate, case e boschi. Sembra una di quelle mattine d'inverno nella pianura padana: sole appannato, zero vento, nebbiolina leggera e caustica. Ingurgito una caramella ricca di caffeina ma l'umore e' come l'umidita': flat. Forse influisce anche la scomparsa della tensione positiva del viaggio in quanto molto presto torno a 'casa'.
Arrivato a Bako trovo altre quattro persone con cui condividere le spese della barca che ci condurra' nell'omonimo parco. La penisola che lo ospita e' raggiungibile solo via fiume e mare. Nel molo di Bako c'è un cartello che recita: "Attenzione ai coccodrilli".


Dopo una quarantina di minuti sono davanti all'ufficio della Riserva naturale per la registrazione; la signorina mi consegna una mappa spiegandomi le diverse tipologie di sentiero e raccomanda di portare acqua a sufficenza. Opto per il sentiero Lintang, sei chilometri, 200 mt. il dislivello, tre-quattro ore il tempo di percorrenza.
Passo un piccolo molo vuoto, poi costeggio un bosco di mangrovie e comincio a salire. Una brezza leggera viene dal mare. Il sentiero e' curato e dotato di scalini quando la pendenza e' troppo elevata. Dentro il bosco vengo subito assorbito dal suo pulsare; incredibile la possenza discreta della Natura nella sua massima declinazione. All'apparenza nulla di trascendentale: il frinire costante e il volare di insetti, fruscii, qualche richiamo di uccelli e poco altro ancora. Nonostante l'umore e il caldo vorace percepisco di far parte di una entità davvero potente nella sua ordinarieta'. Penetro questo sistema con passi lenti e respiro corto, osservando senza pensare, guardando il mondo attorno a me in modo empirico. Il sentiero e' venato da radici che trattengono la fragile arenaria e da un morbido muschio; il bosco e' costituito da vegetazione piuttosto bassa ed è molto fitto. Oltrepasso un paio di signori che osservano un nido di insetti.
Seguendo il cammino, raggiungo un altopiano formato da piante simili a pini e ficus. La chiara arenaria e' solcata da rivoli e pozze in cui scorre acqua giallo scuro, quasi rossa. Guardo il cielo e noto che son comparse delle nuvole. Grazie al vento svaniscolo le zanzare ed i moscerini succhia sangue. L'altopiano e' affascinante con i suoi colori pastello ed i profili contenuti; sono contento di essere qui. Dentro.
Bevo un poco e proseguo, soffermandomi di quanto in quanto; vedo piante di orchidee con fiori minutissimi, alberi strani e qualche raro insetto. Arrivato presso una pozza che l'acqua ha scavato nella roccia la voglia di immergermi e' forte ma il tempo scorre e la strada non e' breve. Nel bosco piu' fitto vengo colpito da due cose: delle felci con foglie enormi e altri vegetali che hanno nella propria estremita' una coppa che si restringe nella parte superiore. Queste ultime sono piante carnivore.
Dopo un'ora di cammino il sentiero declina lentamente verso la costa. Arrivato presso un punto panoramico guardo il mare ed il cielo che quasi si confondono nell'afa disarmante. Solo verso la fine del percorso, a poche centinaia di metri dalla costa, dove il terreno è pianeggiante, incontro grandi alberi; su diversi di essi e' posto un cartello di riconoscimento. Quasi rido alla volta di una pianta maestosa dalle radici che si espandono in larghezza: l'indicazione dice che si tratta nientemeno di... Durian. Solo ieri ho avuto il piacere indescrivibile e deviante di assaporare un suo frutto nel mercato di Kuching.
Ma la vita e' spesso ingiusta: nel Borneo settentrionale sembra che la stagione degli spinosi frutti sia terminata.
 
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