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mercoledì 27 marzo 2019

Il sito archeologico di Pisaq

Il minivan per Pisaq parte da un dedalo di vie dopo calle Recoleta. Uscendo da Cusco, la città imperiale fondata a 3350 metri di altitudine, è impossibile non imbattersi in una miriade di siti archeologici. Passiamo vicino a Saqsayhuamán, per Q'enqo, fino a raggiungere i 3700 metri di Tambomachay. Il combi del trasporto pubblico sale ancora un poco per poi scendere nella valle Sacra a velocità illecita.
Raggiungo Pisac (Pisaq) in 50 minuti, passo a piedi il ponte sul fiume Vilcanota e qui ho la brutta notizia: per raggiungere il sito archeologico bisogna prendere il taxi. L'umore scende in basso. Un taxista mi domanda una cifra esagerata per arrivare alla meta. Neanche gli rispondo. Incontro una coppia di argentini che mi chiedono se voglio compartire il taxi con loro. "Massimo otto soles", propongo. L'autista approva. Partiamo. I due ragazzi sono di Mendoza. Simpatici come tutti gli argentini agli occhi e al cuore di noi europei. Mentre parliamo la strada risale una valle stretta ricca di fattorie e campi saggiamente coltivati. Da qualche parte risuona un ritmo downtempo dei Bent. Fatemi viaggiare all'infinito, così nel movimento incessante riuscirò a guadagnare la flebile speranza dell'immortalità.

L'entrata del parco archeologico di Pisaq ci accoglie sulla dorsale di una delle innumerevoli montagne che circondano la valle Sacra. Mi fermo qualche minuto a parlare con un incaricato che mi spiega la possibilità di raggiungere il villaggio di Pisac a piedi, passando per il sentiero ufficiale. 
Da questo lato della giogaia domino la valle sottostante, i sapienti e vasti terrazzamenti incaici e le diverse costruzioni antiche che si mimetizzano perfettamente con l'ambiente.
Dopo essere passato lungo delle fonti d'acqua mi arrampico per quello che probabilmente era un fortino. Da quassù il panorama è ancora più vasto: cime rocciose che digradano verso zone coltivate, i boschi di eucalipti e la valle irrigua.
Il sentiero che porta al pueblo di Pisaq si svuota totalmente dai gruppi turistici, rendendo giustizia all'austerità del sito e consentendo alla mente di poter vagare in solitudine tra natura e rovine.
Continuo a scendere passando per un angusto passaggio scavato nella roccia, una serie di torri, abitazioni con muri costituiti da pietre perfettamente incastrate a secco. E poi terrazzamenti dove ora cresce l'erba, i muri di contenimento e il vento delle Ande che passa tra i cespugli aridi. Mi muovo senza sosta. 





sabato 23 febbraio 2019

Machu Picchu

Troppa umidità a Aguas Calientes. Troppo buon ossigeno a duemila metri, mi dice il centro del corpo.
Alle 3:40 anticipo la sveglia. Due esercizi essenziali, impacchetto lo zaino grande e lo lascio in un angolo della stanza. Alle 4:30 sono fuori.
La frontalina illumina per qualche metro un binario, poi la strada sterrata che conduce al ponte. Cammino veloce nell'aria fresca e appiccicosa. Decine e decine di figure si muovono nella stessa direzione. 

Almeno sessanta persone sono in coda davanti a me per il primo controllo. Alle 5 del mattino parte la macchina organizzativa di uno dei siti più visitati al mondo. 5:12, passo il ponte e comincia la salita verso il Machu Picchu. Il sentiero affilato si arrampica nel buio tropicale, dove sospiri e secrezioni umane si congiungono a richiami di animali alieni. Sorpasso molte persone, con la camicia che diventa velocemente fradicia, mentre il crepuscolo si accende intorno.
La prima luce illumina il sentiero, gli alberi con la rugiada e sagome di montagne aguzze. Un pellegrinaggio affollato. Da qualche parte si sentono gli autobus che cominciano a salire.

Sono le 5:52 e più 2400 metri di altitudine quando arrivo all'entrata del sito. Altra coda. Gente in maglietta si somma ai gruppi in giacca a vento arrivati prima col torpedone.
Alle ore 6 il Machu Picchu apre. Sono tra i primi 40 ad entrare. La passione e l'istinto mi indicano di dirigermi subito al Mirador. Un sentiero tra boschi bassi si inerpica dritto. Volo. L'americano che era salito con me ora sarà quasi in mezzo alla cittadella.
Il bosco si dirada, appaiono muri a secco del terrazzamento incaico. Salgo una scala di pietra, passo un prato eternamente verde e arrivo al View point-Mirador del Machu Picchu.
Sono il primo.

Con tanti metri di etere sotto i piedi e il cuore che riconosce quello che la memoria ha perduto, non posso che genuflettermi davanti a tale spettacolo. La volta attorno le creste lontane assume color lattiginoso, mentre in alto si fa grigia, via via azzurra. Sotto, a sinistra ma anche a destra, si vede la valle verdeggiante e profonda dove scorre il fiume Urubamba. E davanti...
Davanti ho la cittadella ancora deserta che porta il nome di Machu Picchu, protetta posteriormente dal Huayna Picchu. Muri costituiti da imponenti pietre a secco, portali finemente intagliati, rocce e terrazzamenti che scendono a precipizio verso il vuoto. Un fortino, un castello, semplicemente un luogo appartato e sicuro. Una visione unica, personale.
Un addetto al controllo stranamente socievole si offre di scattarmi le foto: "Ora che non c'è nessuno...", dice.
In direzione ovest montagne innevate cominciano ad essere illuminate dal sole della giornata più lunga.


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venerdì 15 febbraio 2019

Dislivelli intorno al Machu Picchu

Lasciami sognare la prima volta al Machu Picchu: il treno in seconda classe insieme alla gente comune e la salita con l'inseparabile Andrea. La cittadella, le montagne tropicali e non troppi turisti. Come la bruma densa che si leva tra le felci e fitti cespugli, l'oblio ha offuscato i ricordi di altre vite.
Lasciami sognare il ritorno al Machu Picchu: il viaggio troppo lungo, la fatica e l'alba sul Huayna Picchu. Primo al Mirador, carajo.

I sogni che non sembrano sogni cominciano una mattina naturalmente fresca a Cusco. Il minivan lentamente raccoglie le persone. Quasi tutti single, quasi tutti giovani, quasi tutti americani. Machu Picchu by Car, 55 soles, scontati. Niente treno.

Usciamo dalla convulsa e misera periferia di Cusco al preludio della Festa del Sole per salire nell'altopiano. La strada porta vicino a siti archeologici straordinari come Chinchero, Maras, e i vetri del combi che lasciano passare la luce forte, i campi cinerini coltivati a graminacee, lagune e montagne innevate che quasi conoscono l'aria dei seimila metri. Poi si scende in basso: lunghi tornanti ci gettano a picco verso una profonda valle, la valle Sacra.

Raggiungiamo Ollantaytambo dopo circa due ore. Sosta convenzionata, tanti altri minivan che nel pomeriggio raggiungeranno il sentiero che porta a Aguas Calientes.
Dopo aver scambiato due parole con una tedesca che accarezzava i gattini il viaggio continua.

Da Ollantaytambo, 2750 m, la strada asfaltata sale prima tra paesini agricoli ombreggiati da eucalipti per poi penetrare gole strette che nascondono cime imprendibili. Tornanti vertiginosi. In pochi minuti l'aria torna fresca, fredda, fino ad un passo a circa 4300. I prodromi della valle successiva sono inizialmente brulli, macchiati da neve nomade. La ragazza messicana del posto davanti finalmente si addormenta dopo tante parole con la vicina.

A Santa Maria, 1250 m, fa caldo. Qui comincia la strada sterrata che porta alla central Hidroeléctrica. Salita. Santa Teresa ci accoglie nel primo pomeriggio. Il conducente del combi ci indica il ristorante dove pranzare. Mangio in un altro posto. Acquisto qualche banana.

Alla central Hidroeléctrica, 1800 m, dopo più di sei ore di viaggio ed una ubriacatura infinita di dislivelli, la strada termina. C'è una stazione il cui binario porta a Aguas.
Il cammino comincia nel delirio di gente che parte, rientra, grida, venditori ambulanti e polvere.

Presto la persone si diradano, quindi posso assorbire il panorama subtropicale che mi circonda. Alberi alti dalle foglie enormi, sottobosco fitto, richiami di uccelli esotici.  Il sentiero che guadagna Aguas Calientes costeggia il binario del treno. Il fiume Urubamba, ormai quasi nell'ombra, scivola placido verso il basso, col sole a destra che illumina montagne affilate piene di verde fino alla cima. Da qualche parte, oltre le ripidità, c'è il Machu Picchu.

Una dozzina di chilometri di cammino e Aguas Calientes è vinta in un'ora e quarantacinque. La mia polo è completamente bagnata.

Prima del paese un ragazzo simpatico mi chiede se ho prenotato un alloggio. "No".
"Sono il nipote del padrone del Puñuy Wasi", dice.
"Vero?".
Chiedo altre due cose e con ottimo umore per la prestazione fisica, mi faccio accompagnare all'hospedaje.

Lasciami allontanare la fatica, la sete sconvolgente e riposare perché domani sarà una delle giornate più spettacolari di sempre. Prima però una passeggiata serale ed una birra Cusqueña negra, la più forte.


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martedì 15 gennaio 2019

Pranzo al mercato San Pedro, Cusco

Tutta la mattina spesa nella sfarzosa plaza de Armas. Gruppi di bambini appartenenti alle diverse scuole sfilavano travestiti in onore della ricorrenza del Inti Raymi, l'evento più importante di Cusco. Le consumate mattonelle di pietra andina della piazza trasmigravano all'aria suoni di piccoli piedi che eseguivano movimenti antichi.
Un poco infreddolito dallo star fermo, a una manciata di giorni dal solstizio invernale, e con gli occhi ancora pieni di musiche, danze e colori delle comparse, mi muovo verso il mercato. Calle del Medio, Garcilaso, la chiesa San Francisco. Prendo stradine meno trafficate del centro eludendo inutilmente la moltitudine di turisti venuti in occasione delle feste. Ho fame.
Nella plaza San Francisco gruppi di piccoli studenti vestiti con abiti tradizionali vengono fotografati da genitori ed insegnanti. La calle Santa Clara rigurgita come sempre del rombo assordante degli autoveicoli e puzza di smog pesante, eppure, sì, la bellezza del tutto cancella le inezie.

Quasi mi posso considerare un nomade che ha messo sottili radici al Cusco, 3350 m, la città d'America.
Entro nella struttura architettonica del mercato San Pedro.
Il mercato è pieno di ogni tipo di persone: turisti locali e stranieri, ladri, mendicanti, avventori quotidiani, più qualche cane randagio clandestino. Passo il settore dell'artigianato, quello che vende jugos frescos, frutta e verdura, carne, formaggio, spezie, ed entro nel padiglione della ristorazione. Qui decine e decine di ristorantini offrono ogni tipo di alimento. Don choco ne ha provati diversi ed ora si dirige verso quello che ritiene migliore. Se arrivo all'ora di punta devo aspettare. Don attende qualche minuto, poi si libera uno sgabello. Metto lo zaino saldo tra le gambe, saluto la signora del ristorante che subito mi scodella un piatto di zuppa. Verdure, tra cui l'immancabile patata e la non scontata yuca degli amati tropici, si sommano a cereali e ad un quadrato di carne. Prendo un bel pezzo di carta igienica come tovagliolo e quasi immergo il volto nella pietanza calda. La figlia della signora sorride porgendomi un bicchiere di tisana. Accanto a me mangiano venditori, una coppia di ragazzi spaesati provenienti dalle montagne, qualche turista, gente normale. Nessuno parla. Sono a casa, come Ada nella sua Intro sfornata dalla Pampa.
Dopo aver chiesto il bis di minestra, per secondo opto per il lomo saltado con riso. Domando un altro bicchiere di tisana calda.

E' tempo di tornare nell'alloggio in Choquechaka. Porgo cinque soles alla signora del mercato San Pedro.
   
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mercoledì 14 novembre 2018

L'alloggio a Cusco

Masse di turisti vestiti di sgargianti abiti sportivi, ambulanti che offrono cose consuete ed inimmaginabili, clacson, i combi del trasporto pubblico, SUV, taxi. Minivan luccicanti che trasportano occidentali.
Due, tre settimane. Quanto tempo mi fermerò nella capitale Inca? Ora la missione è trovare un alloggio decente. L'immortale Cusco non è una città proprio economica e per questo sarà difficile trovare qualcosa in centro.

Dopo la pioggia anomala del giorno prima, tutto torna alla normalità delle terre aride e alte: secco, sole e nuvole vuote che fanno la loro strada verso universi lontani.

Dalla Matará comincio a visitare le vie attigue chiedendo e guardando con attenzione le insegne. Sono un viandante alla ricerca di un riparo, in attesa paziente di esplorare i luoghi significativi della città, di cercare quello che la vita ha cancellato. Tutto è tornato nuovo.
Giro per vie a lungo, con gli occhi sicuri che si abbassano quando passo i luoghi principali del Cusco, evitando così di disvelare presto le sue meraviglie.
Stanza: cara, occupata, rumorosa, troppi gringos, dormitorio no porfa. Stanze ideali con finestre che guardano il sole perché di giorno si scaldino. 
Istinto e tenacia portatemi nell'alloggio dove sono predestinato.

Alla fine del pomeriggio, quando il sole si nasconde dietro le montagne a ovest e la temperatura cala velocemente, in una via chiusa, a due isolati dalla Plaza de Armas, suono presso l'hospedaje Amanecer. Aspetto. Scende una giovane donna gentile.
"Sí, hay lugar pa' mañana", dice. Mi mostra una stanza ancora occupata, contratto il prezzo e subito la prenoto per le notti successive. Predestinazione.

Esco di nuovo. Come a Puerto Montt in pieno inverno australe questo cielo sacro e freddo voglio tatuarlo sulla pelle. Nel sangue.
"Take Me Apart", canta Kelela, la prescelta.

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venerdì 19 ottobre 2018

L'arrivo a Cusco

In questa zona periferica il combi è ancora vuoto. Pago subito al controllore 70 centimos e piazzo lo zaino in mezzo alle gambe. Guardo velocemente i pochi passeggeri con occhio critico, poi le iridi si concentrano sul paesaggio esterno. Sono quasi ventiquattro ore che viaggio. La stanchezza, l'altitudine e l'emozione tolgono il respiro.
Il combi gira per strade importanti molto trafficate, infilandosi saltuariamente attraverso vicoli stretti in pendenza con velocità vertiginosa. Ho perso e ritrovato l'innocenza nei granuli di polvere del cammino ed ora perdo l'orientamento quando sono vicino al cuore della capitale del regno Inca. La più bella città d'America che ha lasciato la verginità con la sua conquista.

Il bus dell'impresa Correcaminos sale e scende ospitando anziani e gruppi di giovani mentre il crepuscolo ci annuncia la sua importante presenza. Vedo vagabondi, visi poco raccomandabili, visi di funzionari pubblici, persone ipnotizzate dallo schermo del telefono, persone che vanno a godersi la serata in centro. Il tragitto pare così lungo che ad un certo punto chiedo se non mi sono perduto negli infiniti quartieri della città. Un paio di signori mi rassicurano.

Scendo nella Ayacucho quando il buio ha rapito dietro le montagne la luce solare. Da poco è caduta qualche goccia di pioggia e la temperatura non è per nulla calda. Una domenica pomeriggio alla ricerca di un alloggio economico in una delle città più turistiche. D'apprima chiedo a due poliziotti, poi un ambulante mi consiglia di dirigermi nella Matará: "Lì trova le stanze più economiche del centro", aggiunge. Prendo la Matará, passo un supermercato Orion, negozi di ottica, un paio di hotel e, nel traffico pornografico del nucleo di Cusco, la città imperiale, giungo alla pensione indicata.  

L'arrivo a Cusco, il ritorno en el Cusco cancellato dall'oblio. Quando ancora c'era innocenza.

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venerdì 10 agosto 2018

Ghiacciaio Pastoruri, cordillera Blanca

Ultimi giorni sotto il cielo della cordillera Blanca peruviana. Il gestore dell'hostal, David, suggerisce che per visitare il ghiacciaio Pastoruri l'unica possibilità e' un tour. "Non ci sono mezzi pubblici, inoltre l'autostop può essere problematico", aggiunge David.

E quindi eccomi su un pulmino con un gruppo di latinoamericani di diverse provenienze.
Il mezzo ha risalito la valle principale immettendosi di seguito in un avvallamento secondario. La strada sterrata viola spazi verdi punteggiati da erba coriacea e secca. Nuvole basse definiscono appena le sagome arrotondate di colline.

Dopo una zona umida non possono passare inosservate delle piante alte, sparse sulle montagne. Sono puyas, flora tipica di queste aree, con foglie simili a quelle dell'agave, la cui appendice dei vegetali in questione può innalzarsi a più di dieci metri di altezza.

La strada continua a salire, permettendo la vista sporadica di montagne innevate. Un sole lontano cerca con poca convinzione di farsi strada tra le nuvole.

Nuvole basse, terre alte; respiro veloce e sospiro lungo; passi corti ma rapidi. A 5000 metri raggiungo il ghiacciaio Pastoruri. Pioggia gelata si accumula sulla giacca leggera.
Il sentiero artificiale di pietre si snoda sulla terra polverosa vulcanica.

Avvicinandomi alla massa di acqua dolce solidificata riesco finalmente a comprendere la sua possenza: il muro di ghiaccio e' largo e alto diverse decine di metri. Sorprende la sua compattezza dato che i visitatori quasi possono toccare la parete bianco-azzurra dai sassi della morena.

Oltre al lago dove confluisce il ghiacciaio in orribile ritirata, nella zona sono presenti almeno due pozze d'acqua dai colori strani, ultraterreni: in mezzo a pietre scure galleggia un liquido marrone-radioattivo, arancio-metallico. Tonalità: il grigio, il marrone dei laghetti, la neve, l'azzurro e le nubi che celano la montagna del ghiacciaio Pastoruri.

Anche se i respiri ed i sospiri lunghi continueranno, l'avventura tra le cime incredibili della cordillera Blanca e' quasi terminata. 

lunedì 16 luglio 2018

La piramide sopra il lago Parón

Aspettiamo che il mezzo si riempia, poi partiamo. Salita, coltivazioni di fiori, cime innevate e sole. L'auto collettiva porta a Parón.
Vengo lasciato alla fine del villaggio, in un bosco che conduce presso una valle dalle lisce pareti rocciose che obbligano per uno stretto passaggio. Siamo a più di 3300 m di altitudine.
Passo un posto di controllo ancora deserto e comincio a prendere sentieri che accorciano la strada sterrata. Bosco, umidità, acqua che scorre da qualche parte: il torrente. Nell'assoluta solitudine guadagno tornanti ancora nell'ombra della valle angusta; superate queste curve, sono obbligato a percorrere la pista sterrata.

In seguito la valle si apre, concedendo alla vista, a destra e sinistra, diverse cime della cordillera Blanca. Ma e' in fondo che primeggia il diamante più prezioso: la piramide di Garcilaso. Nonostante la moderata altitudine il passo accelera ancora per poter cogliere da vicino il geometrico gioiello della natura.

In due ore e cinque minuti sono al lago di Parón, 4200 m. Una mappa del parco nazionale Huascarán illustra un corollario di cime che attorniano la laguna: tre montagne di oltre 6000 metri, altre di 5000. E davanti, leggermente spostata a destra, la piramide.
Un ragazzo del luogo mi spiega che un sentiero sulla sinistra costeggia il lungo e stretto lago. Bevo un sorso d'acqua e via per il percorso lacustre!


Il tracciato formato da ghiaia e sassi bianchi, ombreggiato periodicamente da alberi bassi, porta verso il ghiacciaio formato dal monte Chacraraju, 6112 m, e dalla indescrivibile piramide de Garcilaso, 5885 metri. Sono stupito, confuso e quasi riuscirei a volare sulle acque imperscrutabili della laguna Parón.


Quasi alla fine del lago, proprio sotto il ghiacciaio, mi siedo sulla riva bianca dello specchio d'acqua. L'irradiazione solare è fortissima, come pure la passione.

Rimango un tempo sconosciuto presso le acque gelide del lago, spostando gli occhi da una montagna all'altra, da una roccia ad un ghiacciaio, da un torrente cobalto alla perfetta piramide bianca di Garcilaso per meta' abbagliata dal sole. 

giovedì 28 giugno 2018

Lago Churup, Cordillera Blanca


Il combi parte dall'angolo con Las Americas, Huaraz. Destinazione Pitec. Nel minivan pubblico ci sono solo stranieri.
Subito la strada sale, passando villaggi contadini dalle case con muri di terra e tetti con tegole: su molte di queste coperture svetta un crocifisso metallico. Campi di grano verde, ortaggi e tante coltivazioni di fiori. Più tardi un agricoltore mi dirà che la produzione floreale raggiunge direttamente i mercati delle lontana e grigia capitale.
Nella sua ascesa il combi affronta forti pendenze quasi senza tornanti.
Ad un certo momento la vegetazione si dirada lasciando il preludio alle terre alte. In questa giornata senza nuvole, oltre le montagne più basse sorgono cime aguzze luccicanti neve e ghiaccio.

A Pitec, 3800 m, il minivan ci lascia presso una delle porte d'ingresso del parco nazionale Huascarán, cordillera Blanca.
Prendiamo subito il sentiero che condurrà al lago di Churup, destinazione finale.
Dopo aver chiacchierato e sciorinato le loro esperienze sulle montagne andine, i passeggeri del combi silenziano le loro bocche e si distanziano a gruppi di due-tre persone. Parto per ultimo. L'aria fresca e leggermente rarefatta penetra con forza nei polmoni.

Il sentiero ben segnato prima si arrampica su un costone di un'antica morena, poi affianca una valle stretta. L'ambiente e' austero, secco, punteggiato da radi cespugli e dall'erba di montagna.
Entrando nella valle dove scorre il torrente proveniente dal lago, la vegetazione diviene più rigogliosa, con preponderanza di alberi di queñua dalle cortecce nocciola che si sfogliano.

Circa a 4200 metri passo una serie di muri di roccia con l'aiuto delle corde fisse. All'ombra l'acqua e' ancora ghiacciata dalla notte.
Superata la zona rocciosa mi trovo non distante dal nevado Churup, 5495 m.

La laguna di Churup, 4450 m, la raggiungo in fretta. Il lago e' incarnato in una barriera di rocce ripide. Alla sua sinistra svetta severa la cima Churup. Un lago alpino dal colore blu-verde smeraldo. Bello. Salgo subito al mirador che domina lo specchio d'acqua.
I passeggeri del combi stanno ancora arrancando nell'ascesa.

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giovedì 14 giugno 2018

Lima, primo impatto


Un misto di nebbia, inquinamento e foschia attende il tramonto sulla citta'. Sono le 17 e non so cosa fare.

Decido di uscire dalla struttura aeroportuale, pur rimanendo nel suo protettivo sedime.
Faccio due passi con la borsa in spalla in attesa che arrivi la decisione. Decine e decine di passeggeri vanno sicuri verso le loro destinazioni. Parlo con un taxista abusivo, poi incontro di nuovo Miguel, un conducente autorizzato.
Vorrei uscire in strada per prendere un bus o un taxi collettivo ma so che e' complicato e pericoloso. Sono appena arrivato in Peru'. Quindi contratto con Miguel.
Miguel e' un taxista giovane e spigliato. Mi mostro tranquillo e senza fretta. Alla fine l'autista accetta la tariffa che gli propongo. Si parte per Miraflores.



Appena saliti in auto Miguel chiude la sicurezza delle porte. In due secondi siamo nel traffico violento e infinito di Callao. Auto malandate e luccicanti SUV, camion sbuffanti fumo, bus di linea pieni all'inverosimile, pedoni che corrono per non essere falciati durante l'attraversamento. Coda. Coda. 


Il suono continuo dei clacson si suddivide principalmente dal tocco leggero del taxista che cerca passeggeri, dallo  strombazzare lungo del guidatore arrabbiato. Continuamente a venti centimetri dalla collisione con un altro mezzo.


Dopo aver passato un'uscita che porta al centro storico, ci inoltriamo verso il sud dell´immensa metropoli. Mentre l'aria fosca si tinge di oscuro grazie al tramonto, Miguel mi racconta di suo figlio e della famiglia, e della sua Lima. La radio propone un miscuglio di musica andina, raggaeton e pop latino.
 
Raggiungiamo il mare. I viali puliti ed ordinati di Miraflores ci accolgono con il buio del cielo palpabile. Ristoranti, locali, palazzi signorili protetti da filo metallico elettrificato. Sono quasi arrivato.

La lotta del traffico non si esaurisce neanche a Miraflores, Lima.


 
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