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giovedì 18 novembre 2010

Una mattina a Bangkok – parte due

Le infradito raschiano lievemente le piastrelle consumate del Ratchadamnoen Klang; il viale immenso termina da qualche parte nell'orizzonte composto e umido. Attorno sfilano passanti, taxisti in attesa di lavoro e qualche turista che si avventura fuori dai recinti ordinari senza un mezzo a motore. E poi c'è il traffico delle nove sopra una strada dalle mille corsie. Se non fosse per lo sciamare compulsivo di veicoli, questa zona della citta' sarebbe davvero piacevole, quasi perfetta: sulla destra l'università, il teatro e in lontananza il Palazzo reale, alle mie spalle il fiume carico di limo e piante acquatiche, davanti ancora monumenti. BKKIn  alto il monsone sfavilla nuvole placide che migrano verso nord.
Mi passo per l'ennesima volta la mano sulla fronte per allontanare sudore. Numero due. La prima traspirazione è arrivata quando facevo colazione, nonostante il ventilatore acceso sopra il capo; bevevo caffè tiepido e lì, dietro, sotto la maglietta, centinaia di goccioline convergevano in rivoli caldi che percorrevano la schiena per accumularsi nella stoffa dei pantaloni.
Ad una fermata del bus gli occhi cercano il numero 79. Nulla. Proseguo alla successiva trovando sul consunto cartello metallico quello che cercavo. Mi siedo su una panchina accanto ad un ragazzo, mentre decine di persone aspettano pazientemente i mezzi pubblici. Il giovane indossa calzoni neri attillati, camicia scura sovrastata da una vistosa collana d'oro, scarpe di tela; un ciuffo di capelli lisci copre buona parte della guancia brufolosa.
“Scusa, ogni quando passa il 79?”, chiedo.
Il ragazzo prima di rispondermi muove leggermente il busto in segno di disagio. “Ogni quindici minuti... più o meno”, dice timidamente.
Dopo poco arriva il mio bus arancione, prendo posto e attendo rilassato la bigliettaia con calzettoni corti e gonna blu di ordinanza. Quattordici baht. I passeggeri mi osservano per qualche secondo, poi riprendono a toccare il cellulare o a guardare fuori dal finestrino godendosi la temperatura all'interno del mezzo. Nessuno lo esprime esplicitamente quasi fosse un segreto profondo, ma sotto gli occhi dei viaggiatori riconosco il piacere dell'attimo, catturo la gioia di esporre pelle, vestiti, tutto, alla catarsi dell'aria condizionata.
Dal vetro le mie iridi salgono sul Monumento alla democrazia che si perde nel cielo indefinibile, toccano i contorni del Forte, il ponte sul canale, per poi percorrere la Lan Luang road.
La Citta' degli Angeli mi entra sempre con maggior forza come una oscura e tossica pozione; se dovessi analizzarmi assisterei dentro alla mente ad una battaglia selvaggia tra l'istinto liberatorio di abbandonarmi alla metropoli e la volontà programmatica che attinge da qualche insulsa razionalità. Perché non farsi trascinare dal mezzo in posti sconosciuti, alieni, in quartieri impossibili e magari ostili? Perché non perdersi in labirinti vergini all'occhio del viaggiatore?
Scendo alla fermata, attraverso una strada ed incontro quello che cercavo. Costeggiando parzialmente un canale alberato, a cavallo tra l'area storica e quella commerciale di questa immensa citta', ifruitl mercato della frutta mi si apre davanti. Mangostine, longan, banane, dragon fruit con polpa rossa e bianca, dolcissimi chirimoyas, manghi, avocado, noci di cocco e decine di altri frutti sono perfettamente allineati sulle bancarelle brulicanti di clienti. Giro tra gli stretti vicoli interni del mercato osservando, comparando i prezzi, perdendo tempo senza perderlo.
Fin da questa mattina, quando stavo disteso sul letto della stanza dalle pareti di cartongesso ipnotizzato dalle pale del ventilatore, programmavo di acquistare ad un costo ragionevole il re dei frutti tropicali, quello per cui vale la pena affrontare asfalto ed umidità.
Presso la bancarella che ho di fronte trovo cio’ che desideravo: un robusto giovane con guanti e grembiule rinforzato, munito di coltelli ed una specie di machete, mi mostra con orgoglio la montagna di spinosi durian che ha alle spalle. Mentre faccio pesare, stimo, annuso, alcuni passanti osservano incuriositi questo straniero piovuto dall'effimero con la maglietta inzuppata di sudore, disperso in un lontano mercato della Citta' degli Angeli; osservano il suo contrattare, il sorriso determinato, l'espressione del suo volto quando assaggia il loro frutto più intimo. Il durian impossibile.

sabato 28 agosto 2010

Sensi in Birmania

Occhi vigili. Passi lenti ed accurati, evitando le buche, i marciapiedi sconnessi e le cose sbattute sul cemento bollente macchiato di rosso. E poi mucchi di terra, ammassi di rifiuti, deiezioni di animali, vecchie infradito solitarie. Quando le bancarelle di uno degli infiniti mercati si spostano da una strada, pare che gli scarti siano maggiori della merce venduta.
Vista acuta quando attraversi la strada: taxi-camion-riscio'-bici-moto-jeep-carri sono piu' grossi e non si fermano davanti ad un pedone. Occhi che si appannano di fronte alla miseria, occhi che ridono incontrando un birmano.

Respiro tenue. Aria che alita di spezie e fritture mischiata al fumo degli incensi e alle diverse tonalita' cromatiche sputate dai tubi di scappamento dei motori. Nelle citta' lo smog entra in piacevole sinergia con sudore e crema solare, annerendo velocemente i bordi dei vestiti a contatto con la pelle. Respira piano e cerca di distrarre l'olfatto quando si fanno strada odori sgradevoli e ventate di caldo torrido che stordiscono; invece assorbi l'aroma delle piante in fiore, delle corolle di gelsomini da offrire al Buddha, dell'erba tagliata e dei profumi di donna. La passione fa avvertire la presenza di alcuni frutti prima ancora di catturarli con la vista.
Impegnati sempre nella sfida per riconoscere la processione interminabile di odori che costantemente vengono incontro: e' una battaglia lunga ed impossibile.

Gusto tenace. Comincia con gli aromi facili ed immediati come l'ananas e il dragon fruit: la soddisfazione e' immediata anche se -come in un'amore veloce- poi rimane ben poco. Ora si sa' dove vado a parare: limbo, paradiso e purgatorio. Il naso lo rifiuta con moderazione, la lingua ed il palato istintualmente vorrebbero scacciare la sua polpa molle. Ma poi arriva il gusto, travolto da una pienezza incontenibile. A differenza dell'avocado che riserva il maggior piacere con il retrogusto, il finale del durian non puo' che discendere la volutta' iniziale. Probabilmente e' impossibile descrivere le fasi di un frutto che non conosce vie di mezzo, che da altezze impensabili, nel giro di un nanosecondo, conduce attraverso incomprensibili e fugaci paludi.
Il curry delle bancarelle di strada riservano piacevoli sorprese, come la zucchina amara cotta con altre verdure e speziata con aromi dolci, le erbe fresche raccolte nei campi che accompagnano la zuppa di noodles di riso, verdure rotonde simili a piccole melanzane bianche che pizzicano il palato quasi fossero piccanti. La bocca gioisce gustando gli spiedini di verdura e carne cotti al momento e non rifiuta lo zucchero che viene abbondantemente versato su un caldo roti.

Udito paziente. Udito che vorrebbe cancellare il fracasso proveniente dalla strada. Clacson immortali con decine di tonalita' diverse ma con una costante: la potenza del suono. Pensi che dopo qualche settimana riuscirai ad accettare il concerto di voci, musica sparata al massimo volume, rombi di motori piu' o meno diroccati e le trombe delle auto. Invece no. Soprattutto in citta' e lungo le arterie stradali, l'udito deve farsi piccolo, insensibile, rilassato.
Raccolgo voci di ragazzi che cantano solitari mentre camminano, gli imbonitori nei mercati e sui treni, voci di bambini viziati e di piccoli senza casa. Suoni di ciabatte strofinate sull'asfalto, cammino leggero di cani randagi liberi, passo potente dei pacifici bufali e ruote di bicicletta che rosicchiano la terra battuta. Gridi di uccelli alieni e vento tra le foglie di palma.

Tatto leggero. Tocca il fresco gomito della statua del Buddha, percependo le migliaia di mani che ti hanno preceduto, i sudici corrimano del bus, le tavole di legno del sedile della classe Ordinary e la maniglia della porta di un devastato gabinetto pubblico. Le mani ed i piedi sudati si coprono di polvere e inquinamento durante un viaggio; percepisci i polpastrelli unti e secchi contemporaneamente, vedi unghie e caviglie che diventano nere, il viso e' una maschera dura. Acqua. Gocce di doccia fresca e purificatrice.
Sento il pavimento dei templi e rimuovo le decine di minuti passati in una notturna Yangon allagata con l'acqua piovana sopra le caviglie ricca di ogni sostanza vagabonda e con i buchi dei canali di scolo invisibili. Accarezzare gatti dal pelo corto e il tronco di un grande albero. Portarsi la mano sul viso per allontanare l'eterno sudore, sbadigliare tenendo le dita scostate dalla bocca.

mercoledì 19 agosto 2009

Frammenti di viaggio 9

Malattia inconfessabile.
Devo dire la verita'. Sono stato infettato da una strana malattia: si chiama Durian ed e' molto difficile da estirpare. L'unica cura e' ingerire dei semi con attorno della polpa bianca burrosa emananti un odore non troppo gradevole ma con un sapore che non scordi piu'.
Il frutto Durian, appunto! http://en.wikipedia.org/wiki/Durian
I cinesi e molti indonesiani vanno matti per questo grosso frutto marrone spinoso non facile al palato e troppo ingiustamente censurato da irrimediabili conservatori. Infatti, anche se viene rifiutato da diversi hotel per il suo aroma che si espande, una volta che vieni contagiato non puoi quasi piu' farne a meno. Il gelato al Durian e' buonissimo, chissa' come sara' con sopra della fresca e dolce panna!
Ho deciso di intraprendere questo grande passo a Bandung, Jawa, presso un negozio che si occupava solo di questo. Dei seri professionisti. Fuori da questo locale/ripostiglio, su un largo marciapiede prossimo ad una strada secondaria di periferia, erano ammucchiati in diverse pile decine di durian e parecchi estimatori attorno a loro. Il mio posto. Quella sera, dopo una salutare e fresca doccia, mi sono approssimato presso questa mecca del gusto ed ho chiesto umilmente di farne parte. Ho preso un basso e sporco sgabellino di legno, mi sono seduto di fronte ad una inquietante montagna marrone di prodotti della terra ed un signore di mezz'eta', con un grosso coltello, ha aperto la coriacea buccia del frutto facendomi assaggiare la polpa. Difficile descrivere il sapore: burro di arachidi, avocado e molto altro ancora, con un retrogusto indubbiamente forte. L'addetto del durian ha assaggiato a sua volta il frutto aperto ed ha annuito. A questo punto ho cominciato lentamente a gustare. Con la mano destra mettevo in bocca un grosso seme e succhiavo la polpa posta al suo esterno. Da neofita non gustavo a lungo ogni singolo seme, mentre la coppia di indonesiani vicino a me ci sapeva fare. Ci vuole tempo per tutto. Dopo i primi 5-6 semi la pancia del postulante Stefano era colma, la sua sciocca mente si chiedeva quali effetti poteva avere questo frutto sull'apparato digerente e cose di questo tipo. Ma, alla fine, come per molte cose, la passione la vince e quindi il novizio riusci' a terminare con successo il grosso frutto che porta il nome di Durian. L'amore era scoppiato.

Volti di viaggiatori.
Robert. Trent'anni circa, biondo, indossa camicia polo chiara, pantaloni corti, cappellino con visiera, occhiali da sole. Viene da Hannover e lavora nel campo della contabilita'.
Robert l'ho conosciuto ieri, di ritorno dalle isole malesi Perhentian. Delle diverse barche provenienti dai due atolli colme di turisti, siamo solo in due che aspettiamo il bus locale per Kuala Terengganu. Quasi subito concordiamo sull'isola appena visitata: troppi stranieri, nessun malese tranne quelli che lavorano nel turismo, prezzi alti, posti carini, ecc... Robert ha venti giorni di ferie e sta' visitando l'Asia per la prima volta. "Un mondo tutto differente", esclama quasi subito. Aspettando il bus delle 10 piano piano esponiamo a vicenda le proprie considerazioni sui posti visitati e sul viaggiare.
Robert e' un tipo di poche parole ma molto ben assestate. Si pone tante domande su quello che lo circonda per tentare di capire. Descrive cosi' Kuala Lumpur: "Una citta' dove il postmoderno si mescola con pezzi di terzo mondo".
Durante il viaggio verso Kuala Terengganu a tratti il nostro scambio continua. Arrivati a destinazione ci salutiamo stringendoci forte ed a lungo la mano. Lui rimane in citta', io cerco un bus notturno per il meridione.

Katerine. Ha preso il bus per Bandung all'ultimo momento. Io ero seduto nei sedili anteriori, lei e' salita dietro. Quasi subito un gruppo di ragazzi indonesiani ha prodotto delle considerazioni sulla ragazza; Katerine si e' messa a ridere ed e' stata al gioco.
Studentessa olandese, capelli color paglia scuro raccolti in cima alla testa, calzoni lunghi leggeri, maglietta e scarpe da ginnastica. "Porto i pantaloni lunghi per rispetto del Paese in cui mi trovo".
I giovani indonesiani tentano l'approccio plateale con l'attraente Katerine.
Arrivati a Bandung la ragazza mi si avvicina e chiede se sto andando a cercare un alloggio. Ci conosciamo cosi'.
Sul bus cittadino scherziamo bonariamente riguardo i diversi prodotti che gli ambulanti ci propinano a bordo: rivista di cucina introdotta da una spiegazione vocale, giornali, caramelle balsamiche e altro ancora in 20 minuti nel traffico cittadino.
Una volta scesi dal bus che si ferma di fianco ad una grossa moschea, ci incamminiamo alla ricerca di un alloggio economico. Uomini si voltano al passaggio dell'olandese.
Mi racconta che ha visitato Bali e ora Jawa insieme ad un'amica; ora si e' staccata temporaneamente dalla compagna per procedere in solitaria. "Mangiamo quasi sempre nei warung, le bancarelle gastronomiche". Poi: "Siamo scappate da Kuta, Bali, non la sopportavo", "Gli indonesiani sono estremamente simpatici, sei d'accordo anche tu?".
Katerine sorride sempre.
 
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