mercoledì 8 aprile 2020

Destinazione Colchane: dislivelli iperbolici

«But heading out towards Ponoma
where you wont be alone»
Bon Iver

Acquisto il biglietto per Colchane nel quartiere boliviano di Iquique. Donne tarchiate con la pollera sedute appena fuori sulla strada rappresentano sconosciute compagnie di autobus internazionali. Faccio un giro per la via, chiedo prezzi e orari, infine decido per l'impresa che appare messa migliore. La zona più a est della calle Esmeralda, dove ora mi trovo, di notte è molto pericolosa. Dicono che anche i carabineros non si avventurino. Iquique è colonizzata da boliviani e peruviani.

Nella stazione degli autobus c'è una grande confusione di persone, facchini, beni e valigie. Tutti i posti a sedere della struttura sono fottutamente occupati. Anche il pavimento. Pare di essere in altri mondi dislocati appena più a nord. Tranne qualche cileno e occidentale, la maggioranza dei passeggeri sono immigrati provenienti da regioni più povere che tornano a casa.
E' sera e sono stanco. Tutto il giorno che cammino lungo la costa respirando l'estate australe, la sua brezza, osservando gente di diverse etnie che si reca al mare, persone in bici, i richiami degli ambulanti che declamano i loro prodotti, uccelli marini che si destreggiano con il vento. Nelle ore più calde ho trovato l'ombra sotto le case coloniali di Iquique.

Il mio autobus per Cochabamba è in ritardo. Coño se conosco Cochabamba. Avevo 24 anni.
Continuano ad arrivare mezzi diretti in Perú, Ecuador e Bolivia presso i quali si accalcano immigrati stracarichi di bagagli. Televisori nuovi dallo schermo enorme vengono infilati nella stiva dei bus a due piani. Gente che contratta, grida, chiama, si abbraccia, si lascia, piange.
Vite interrotte. Vite spezzate. Vite raminghe.

Alla fine la signora della stazione mi avvisa che il torpedone è arrivato. Il nome della compagnia è diverso rispetto a quello che cita il mio biglietto, ma il bus è nuovo ed il posto a sedere assegnato è ottimo. Nulla da reclamare. Il bus cama è pronto per partire verso le ande, attraversando prima il deserto di Atacama, poi le gole, i canyon, e infine l'altopiano, la Puna. Troppo dislivello in poche ore.

Il lungo viaggio arriva nel buio appena dopo Colchane, a una manciata di chilometri dal confine boliviano. La frontiera è chiusa di notte. L'autobus si ferma, quindi posso approfittare ancora della mia poltrona. Riesco perfino a dormire un poco. Non sento ancora i 3700 metri di dislivello appena compiuti.

Alle sei e trenta esco dal bus. Giacca a vento leggera e zaino. Un tenue malore circola da qualche parte della testa, ma il crepuscolo sulla Puna annienta ogni disturbo. Sono eccitato, libero, leggero. Volo sulla strada asfaltata, illuminato dall'etere. L'aria è pura, vergine.
Infine arriva da est, dalla Bolivia, il sole abbagliante che porta contrasto sui contorni, rischiara di sbieco l'erba secca e spettacolari nuvole stratificate, e mette in evidenza montagne imbiancate di neve fresca.
Volo verso Colchane, con il sole sulla schiena che viene dalla Bolivia.
  
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