martedì 2 febbraio 2021

La Ruta de Los Volcanes. La Palma sud

 

Oggi voglio spingermi verso un punto mai raggiunto sul sentiero GR 131 che porta al rifugio El Pilar.

I boschi di pino canario cominciano appena sopra il paese di Fuencaliente. Respiro ossigeno impregnato da aromi di resina mentre il corpo si inerpica su colline che diventano sempre più alte. Dove la persistente coltre di aghi di pino non arriva, il sottobosco germina di piccole erbe e fiori di montagna. Dopo le benefiche piogge cadute nella prima metà di gennaio 2021, tutta la vegetazione sta rinascendo; quando le temperature si alzeranno forse spunteranno i funghi.

Seguo attentamente i segnavia bianchi e rossi con la mente che si libera ad ogni passo, calpestando un terreno che alla sabbia vulcanica alterna rugose rocce di colate che ancora non si sono mimetizzate nel paesaggio. Supero una coppia di anziani tedeschi.

Oltrepassati i 1000 metri il percorso diventa meno pendente, offrendo alla vista magnifici esemplari di pino le cui spesse cortecce conservano ancora le vestigia di incendi passati. A giudicare dalle giovani piante, sono almeno tre anni che il fuoco non si propaga.

Quando arrivo sotto il vulcano Martín tutto diventa straordinario: sovrastando il mare di nuvole che guardano a est e a sud appaiono le cime delle isole El Hierro e La Gomera, mentre sua maestà innevata il vulcano Teide, 3715 m, domina Tenerife.

Il cammino faticoso su fini lapilli conduce al cratere del Martín a 1550 metri e quindi a una serie di vulcani sempre più alti della formazione orografica che da sud dell’isola di La Palma raggiunge i punti più alti con la Caldera di Tamburiente. Pini canari pongono radici su terreni di color rosso, mattone, grigio e nero.

Dopo la parete de La Deseada sopra i 1900 metri, il sentiero scende verso un paio di vulcani neri. Qui il vento si è finalmente fatto sentire, anche se continuo a rimanere in maniche corte.

I passi portano fino a un immenso canyon, oltre il quale la Ruta de Los Volcanes 131 si abbassa fino al rifugio El Pilar. Ho raggiunto l’obiettivo: 12-13 chilometri toccando tutti i vulcani più significativi della dorsale sud; crateri dalle forme e colori più disparati, colate di lava che hanno rigurgitato nell’oceano, isole dell’arcipelago che crescono oltre le nuvole. Ora devo scendere. Le giornate di febbraio sono ormai lunghe; la luce illuminerà i Panorami ancora per molto.

 

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venerdì 22 gennaio 2021

L'eruzione del vulcano Teneguía

 

Appena prima dell’entrata al vulcano San Antonio il sentiero precipita in basso, verso il mare.

Dalle ultime pendici del villaggio di Fuencaliente scivolo sulla ghiaia grigia per più di cento metri fino a una pianeggiante strada sterrata. 

Mi trovo mezzo chilometro sopra l’oceano Atlantico in uno dei punti più a sud ovest dell’arcipelago canario e dell’Europa politica. Il sentiero 131 che costeggia la maggioranza degli straordinari vulcani dell’isola di La Palma sta per terminare, esplorando l’eruzione più recente.

Dopo aver passato piantagioni di vite esposte a ovest, il percorso vira decisamente a sinistra, e da qui è possibile troneggiare il vulcano Teneguía con la sua chilometrica colata che raggiunge la costa. La bocca del cratere color mattone scuro è collassata nella sua parte più distante dal mare, costringendo il magma a realizzare un percorso illogico ai piedi di colline per infine raggiungere l’acqua.

Il sentiero 131 scende ondeggiando verso la colata del Teneguía dell'anno 1971, mentre la vegetazione si riduce ancora. Cinquant’anni tra qualche mese sono passati e, a prima vista, poco pare cambiato.

Mentre un ininfluente vento meridionale lascia scorrere ininfluenti nuvole passeggere, le scarpe si destreggiano a fatica tra scabre pietre nel pieno della colata lavica. Il percorso vede ai suoi lati una impenetrabile accozzaglia di rocce scure dalle moltitudinarie forme e livelli. Nei punti più inimmaginabili piante solitarie colonizzano lentamente il territorio.

Lasciato il fiume di magma che scende diritto al mare, il panorama diventa meno aspro con il ritorno della ghiaia e sabbia dei lapilli. Essi hanno ricoperto dossi e colline, con l’eccezione di qualche roccia.

La mitica Ruta de los Volcanes 131 è quasi terminata. Finirà toccando il faro di Fuencaliente nell’estremo sud di La Palma. Poi l'oceano.

 

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martedì 5 gennaio 2021

Libero nell'isola La Graciosa

 

È un attimo uscire da Caleta de Fuste per immergersi nell’ambiente semidesertico de La Graciosa.

Un giorno prima della Epifania, in piena burrasca denominata Filomena che sta portando acqua e qualche disagio perfino nelle Canarie. Oggi tira vento da ovest che porta ondate di globi nuvolosi. Decido di salire sull’Aguja Grande che troneggia davanti al mio incedere.

Per evitare le jeep “safari” che scarrozzano i turisti intorno all’isola, prendo un sentiero che punta diritto al mio vulcano.

Mi volto indietro verso le basse case bianche di Caleta de Fuste e osservo l’ambiente che sto attraversando: il sentiero sabbioso, i cespugli bassi in parte secchi rivivono la loro primavera, le minuscole piantine da poco germinate. Gli occhi si spostano verso la mia direzione, la direzione del vento che non porta pioggia. Per ora.

La traccia non indicata che sale sulla Aguja Grande comincia dietro un giardino recintato. La terra chiara di basalto è ora disseminata da ostili pietre vulcaniche e da lapilli, l’inizio del Malpaís. Passo a fianco di qualche orto abbandonato dove pazienti agricoltori avevano utilizzato i sassi per costruire muretti antivento.

Aggirato un canyon, il percorso si inerpica verso il crinale basso del cratere. Qui le rocce sono coperte da licheni dai diversi colori.

Quasi subito sono nella parte più alta del vulcano ma all’orizzonte si profila un flusso di nuvole che scaricano pioggia, dirette proprio verso la Aguja Grande. Il vento fortunatamente è piuttosto forte, quindi l’orda d’acqua dolce dovrebbe essere veloce. Mi riparo dietro delle rocce.

L’ondata di pioggia leggera passa di tutta fretta, lasciando un arcobaleno che termina a poche decine di metri da dove mi trovo. Risalgo nella parte più alta del vulcano per dominare le altre inabitate isole dell’arcipelago più settentrionale. A sud le alte scogliere di Lanzarote sono celate da fitte nuvole che sembrano immobili.

Con il sole, con nuovi arcobaleni nei cieli e nessuna nuova minaccia, scendo nella parte centrale del cratere. Qui, al riparo dai venti e dallo spray marino, in mezzo a cespugli che non hanno resistito alla prolungata siccità, sembra di essere calati in un altro mondo: prati di fiori gialli e bianchi, erba cipollina selvatica e piante sconosciute i cui semi ibernati sono arrivati alla agognata germinazione.

 

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giovedì 31 dicembre 2020

Punta di Jandía, Fuerteventura

 

31 dicembre 2020. Ho appena terminato il cammino che separa la fine di questo lembo di mondo dalla mia destinazione. Gli occhi sono ancora impregnati da tutti quei 26 chilometri di costa oceanica che dal faro di Jandía portano a Morro Jable. Quale regalo migliore la Natura poteva farmi?

La mattina inizia con l’autobus che mi lascia nel minuscolo villaggio di Puerto de la Cruz. Raggiungo il faro passando per la costa nord ovest di Punta Jandía. Onde impetuose della riva di Barlovento si infrangono senza sosta sulla scogliera scura, nel tentativo di addolcire le rugose rocce vulcaniche. Il vento moderato da nord rende piacevole il movimento.

Il faro sembra quasi lì ad aspettarmi, come attende ogni santo giorno dell’anno i  navigatori di mare e terra, avvisando che qui l’isola inizia o finisce. Insieme alle auto noleggiate dei turisti arriva un gruppo di rumorosi quad.

Lascio la Punta per tornare indietro, questa volta lungo la più tranquilla costa di Sotavento. La stretta fascia di terra che divide le due rive è costituita da sabbia proveniente da una friabile e chiara roccia basaltica.

Cammino respirando forte lo iodio della bassa marea, dentro la mite luce del sole invernale, scendendo e risalendo scogliere, lasciando impronte evanescenti sulle spiagge che compaiono all’improvviso, veicolato dall’esperto movimento del corpo.

Dopo qualche chilometro vedo decine di surfisti accalcati nello stesso posto in attesa dell’onda congeniale. Sono quasi tutti giovani e stranieri, muniti di furgone o camper.

Mentre le montagne a nord si avvicinano, mi concentro ancora una volta sulla flora e fauna del Parco naturale di Jandía. Le piogge di dicembre stanno

modificando il deserto: i cespugli emettono nuove gemme e foglie, dalla sabbia e dalla ghiaia vulcanica crescono piantine dai piccoli fiori; impollinatori, cavallette o grilli,  lucertole e piccoli volatili si fanno più gagliardi. Quasi tutto il paesaggio sta subendo una temporanea mutazione, colorandosi di verde.

Il vento mi soffia nella parte sinistra del corpo; quando sono al suo riparo quasi sudo, sulle scogliere le maniche corte della camicia sentono il fresco.

Dopo dieci chilometri abbondanti di percorso ritrovo la spiaggia nascosta dove tempo fa avevo fatto il bagno. Ridiscendo la sua gola stretta e rimango a osservare le onde che si buttano sulla arena muovendo, negli angoli della minuscola insenatura, levigate pietre scure.

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