lunedì 25 novembre 2024

La ruta de Los Volcanes da El Paso. La Palma

 

Sono ebbro di adrenalina. Mi eccita la prossimità di compiere un nuovo sentiero, destinazione la ruta de Los Volcanes. Isola La Palma. 
 
La guagua 300 mi lascia precisamente davanti al camino las Moraditas, a 810 metri di altitudine. Passo alcune case e fattorie, quindi sono nel bosco. Aghi di pino coprono scrupolosamente il terreno, lasciando crescere solo qualche cespuglio di amangante prossimo alla fioritura. 
Salgo spedito, con la resina dei sempreverdi nel petto, con ardente desiderio di scoprire, fino a un punto dove il panorama si apre leggermente: il sentiero comincia a inerpicarsi su una delle diverse colate laviche fino a arrivare ai piedi della montagna Quemada. 
Qui è impossibile non rimanere derubati dall’incanto. Il suolo è pienamente coperto da gransón, i lapilli, e da cenere vulcanica della recente eruzione del Tajogaite. Sporge solo qualche roccia sulla quale crescono microscopici cespugli di particolare aeonium, il bejequillo, tremendamente endemico. Attorno a questo panorama extraterrestre brillano vigorose le chiome dei pini canari, benedetti dal sole inclinato a sud. Verde chiaro contro il nero del gransón proveniente dalle profondità imperscrutabili della crosta terrestre. 
 
Giro attorno alla montagna Bruciata per dune morbide fino alla zona di interdizione. I molti cartelli spiegano che per ragioni di sicurezza non è possibile andare oltre. Sono passati quasi quattro anni ma il vulcano Tajogaite ancora fuma.
Il percorso costeggia l’area monitorata, quindi si rituffa tra le aghifoglie. Ancora colline di lapilli scuri che entrano gioiosamente nelle scarpe, e sono quasi sulla cresta. Le nuvole degli alisei che spesso stazionano sulle cime permettono la crescita di un bosco fitto e multiforme: ai pini si aggiungono essenze di lauracee e il brezo, l'erica arborea, che può superare i quattro metri di altezza. Lindura.
 
Ormai sono nei pressi del refugio Pilar a 1450 metri. Il prossimo passo sarà raggiungere il vólcan Hoyo Negro, nel pieno della ruta de Los Volcanes numero 131. 
L'isola de La Palma è chiamata la Isla Bonita.
 

Testo e foto Diritti Riservati Creative Commons
 

 





giovedì 21 marzo 2024

Agía Napa-Protaras: da costa a costa. Cipro

 È una strana sensazione trovarsi nella zona di Agía Napa nel mese di marzo. Clima strepitoso, albe che rubano il fiato e quasi tutte le strutture ricettive chiuse. Bassa stagione. L’ideale per scoprire uno dei luoghi più intriganti dall’isola.  


Questa giornata le articolazioni inferiori non mi guidano verso Cape Greco seguendo la costa disseminata da scogliere e spiagge preziose ma puntano all’entroterra. Dall’abitazione di Protarás -che ha già ricevuto l’abbondante benedizione dal sole risorto- attraverso la vicina strada principale, lascio i rifiuti nei contenitori della raccolta differenziata, percorro  pochi metri e sulla destra trovo il percorso rurale in leggera ascesa. Dopo aver oltrepassato una chiesa moderna inizia la vegetazione mediterranea. Mi tuffo.  


È una benedizione scorrere nella Natura dopo le moderate precipitazioni di gennaio e febbraio. Siamo all’apice della felicità: suonano al cielo gli uccellini, gioiscono di foglie nuove i cespugli e gli alberi,  fioriscono i bulbi. 


La  cappella di Agioi Saranta l’incontro nel mezzo di una foresta di cipressi, incastrata nella collina di rocce chiare. La visito, quindi salgo sul promontorio che la sovrasta. Da quel punto incorporo la paziente flora del Mediterraneo, la costa e le increspature del suolo. La linea marina si distingue nettamente dal primo cielo. Ne approfitto per farmi un’idea del  percorso non segnalato che vorrei compiere: attraversare questo minuto spigolo di mondo dalla costa nord a quella sud.
Cammino sulla strada bianca senza incontrare alcuno, passo un’altra cappella, quindi incrocio una via: prendo quella in salita.
 Tento diverse opzioni di sentieri che  continuamente si moltiplicano, infine trovo il luogo dove scavalcare la collina madre. Passo alcune case disabitate,  vedo in lontananza uno dei molti insediamenti militari,  e poi sono sulla strada che porta a Agía Napa. Ora è sufficiente scendere, senza più farsi aiutare dal telefono; l’altitudine  tutto vede. Perdo dislivello con la mente sgombra liberata dal cammino.  Devo  accelerare, il pomeriggio è verso la decadenza. Chissà se da Agía Napa si contemplerà anche il decadimento dela stella solare? 





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martedì 12 marzo 2024

Il filo spinato di Nicosia

Tutti sanno che Nicosia è una città divisa. Così bella e così separata.

Ogni giorno percorro un pezzo di confine che amputa in due Lefkosía, dalla parte greco cipriota, quindi da quella invasa dalla Turchia. Sfioro con le mani e con lo spirito i muri, le torrette, il filo spinato, i cartelli minacciosi, osservando, e quando possibile guardando oltre. Vedo gli edifici e le strutture della zona cuscinetto fermati dal tempo, al periodo della tregua forzata. Mi chiedo chi viveva in quelle case crivellate da colpi di armi pesanti, quali erano le loro emozioni e le speranze prima che venissero deportati in un altrove. Ora è una intercapedine fantasma che testimonia i conflitti umani senza soluzione. Un set cinematografico apocalittico di scarsa categoria ora in disuso, ripreso continuamente da decine di telecamere estremamente tecnologiche.
Oggi decido di visitare questa lacerazione dalla porzione turca. Passo il posto di controllo greco cipriota di Ledras Street, cammino piano nella zona di interdizione, quindi mostro i documenti alla controparte turco cipriota. Eludo efficacemente i procacciatori e prendo il primo vicolo a sinistra. Velocemente i negozi per turisti scemano, lasciando posto a case modeste e a una serie di officine meccaniche quando ci si congiunge con una via più ampia. I passi cercano il Sud, la zona di confine, l’ultima testimonianza fisica del conflitto. Entro presto in un quartiere di edifici storici, dove a destra noto uno scheletro di chiesa, mentre a sinistra la via improvvisamente cessa di esistere: un imponente cancello rinforzato dal filo spinato e da cartelli militari bloccano l’accesso alla zona di nessuno. Anche se non vedo alcuno in giro non mi azzardo a fotografare le ville abbandonate dell’aldilà, coperte dagli alberi e dal disfacimento. Paradossalmente mentre il tempo e le rimozioni allontanano le angustie della guerra civile e dell’invasione, il decadimento progressivo delle abitazioni, le insegne polverose, la ruggine, con le piante spontanee che colonizzano il cemento e i balconi, amplificano lo squarcio nella memoria del Paese.
Da un punto più alto osservo la vicinissima, altra, Nicosia con le chiese così unite nelle loro differenze, e la sua modernità. Guardando a Sud.

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Fonte: WEB

 Fonte: WEB

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giovedì 29 febbraio 2024

I monti Troodos a Cipro

 

Alle 9:20 passa il 64, l’unico mezzo pubblico che porta alle Troodos mountains. Qualche centinaia di metri lungo la passeggiata costiera di Lemesos e sono alla fermata del 64, di fronte ai giardini. Dai finestrini scorrono le spiagge fecondate dal mare Mediterraneo, la promenade, Old Hospital, e poi diritti verso nord, verso il centro dell’isola di Cipro. Sul bus qualche turista, gente del luogo e lavoratori stranieri.

L’autista ci conduce su colline di roccia bianca solcate da ulivi, da piante da frutto, da boschi. Ogni tanto passa un borgo con case basse colorate di chiaro.

Alle 11 siamo a Troodos square. Tutti scendono.

Dopo essermi orientato, in modo istintivo sono alla partenza del sentiero numero 10. Percorso troppo lungo per il mio tempo a disposizione, secondo la signora dell’ufficio turistico di Lemesos. Compongo i bastoncini da trekking e sono pronto per il giro circolare attorno al monte Olimpo, immerso in un fitto bosco di pinus brutia.

Percorro alcuni umidi avvallamenti settentrionali, accompagnato dai canti festosi degli uccelli che annunciano la primavera, con il terreno gravido di macchie di bucaneve autoctoni, giunti dopo le nevi.

Passando dal versante nord a quello est e poi meridionale, molto cambia. Il bosco di pini neri si dirada, si abbassa, quasi  scompare, lasciando nel suolo arancione di pietre bianche, bassi cespugli globosi, splendide essenze di cipressi locali (j. foetidissima) e di cedro di Cipro. Tutte le piante poste a meridione conoscono le avversità estreme del clima. Soprattutto loro.

Sotto le brezze che soffiano svogliatamente da sud est, con il sole che riscalda il corpo, manca solo una cosa: il mare. Esso appare ben presto, oltre le colline verdi di Cipro, portando con il vento favorevole aromi alieni che si mischiano alle resine dei sempreverdi locali.

Continuo veloce il percorso circolare numero 10 nel parco nazionale dei monti Troodos senza quasi dislivello, incrociando rari escursionisti, penetrando piccole valli dove la vegetazione è più fitta. In una di queste depressioni incontro un cipresso dal tronco maestoso. Il cartello spiega che questo padre generatore ha 800 anni di vita.

Le prime macchie di neve le trovo a ovest e poi a nord. Sono sotto quasi 200 metri rispetto al monte Olimpo (1950 m) con le sue piste che da poco hanno chiuso agli sciatori.

In 2 ore e 55 minuti concludo il percorso di 14 chilometri. Ben in tempo per prendere il bus che torna in prossimità del mare Mediterraneo. Un altro mondo. I cieli sopra le Troodos mountains non verranno dimenticati. 

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