La Graciosa è il mio deserto, l’amore, lo stato di coscienza inalterato. Tanti giorni passati godendo ciascuna singola particella di presente, dove la consapevolezza si congiungeva e si disperdeva nell’anima della isola. Camminare, osservare, camminare, conoscere, rendere grazie. E ancora muoversi.
Sono due settimane che vago per sentieri incontrando quasi nessuno, facendo tacere la voce in favore del silenzio, dell’ascolto.
All’interno della riserva marina dell’arcipelago Chinijo, La Graciosa è una gemma di terra vulcanica che misura meno di dieci chilometri per cinque, all’estremo nord delle Canarie.
Questa mattina La Graciosa mi accoglie al meglio. Finalmente sono tornati i venti alisei. Il cielo turchese è profondamente intrecciato con innoque nuvole procedenti da settentrione. Esco dall’alloggio posto all’estremo est del villaggio di Caleta de Sebo e sono Dentro. Basta un passo e sono nella Natura. Oggi andiamo a est e poi a nord.
Prendo un sentiero che guarda dall’alto la costa tra radi cespugli di matabrusca e aulaga, un sentiero di sabbia che il vento ha rubato al mare. A sud, oltre lo stretto, scorrono le imponenti scogliere di Lanzarote, mentre a nord sono protetto dalle rocce scure che virano nel color porpora delle Agujas, la cui altezza massima giunge a 226 metri. La temperatura è ottima.
Avvicinandomi alle pendici delle colline e ai solchi tatuati nel tempo dalla rara acqua piovana, tra lievi avvallamenti il deserto permette la crescita alla tabaiba, a vigorosi cespugli di balancón, al matomoro. E alla pianta endemica favorita: la Kleinia neiirifolia, il verode.
Arrivato al barranco Conejos, entro nella sua fenditura e la discendo agilmente fino la mare. A sinistra ho il sentiero costiero che mi porta alle poche case di Pedro Barba. Proseguo brevemente fino alla punta est dell’isola e, mirando al norte, puntando a nord, sono salutato dagli alisei.
Le prima parte del sentiero si sviluppa tra aguzze roccette vulcaniche avare di vegetazione, mentre in lontananza vedo una specie di geyser che sputa acqua. Appena arrivato scopro che questo getto è provocato da un foro nella roccia nel quale le onde marine trovano periodico sfogo.
Proseguendo la costa verso nord, il paesaggio cambia decisamente: l’ambiente torna a essere sabbioso, con insenature dove possenti cavalloni dell’oceano Atlantico divenuto aperto offrono spettacolo senza fine. In lontananza si notano le altre piccole isole dell’arcipelago.
Il pellegrinaggio mi conduce fino a playa Ambar, quindi torno inizialmente per lo stesso percorso ma leggermente più nell’entroterra, passando accanto a una area protetta modellata da dune di sabbia. Sono da poco passate le 17, il momento che preferisco: nessuno in giro tranne qualche gabbiano felice, e la luce del sole inclinata. Visioni paradisiache.
Ritorno a Caleta de Sebo percorrendo un sentiero alto sopra il barranco Conejos, con il sole che discende a ovest negli occhi.
Nel silenzio del territorio e nel mio silenzio, al riparo dagli alisei, sento le onde lontane che si frantumano sulla costa vulcanica, i passi, e percepisco il sussurro delle essenze canarie, le mie piante. Una passione che non si estingue.
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