venerdì 13 ottobre 2017

Scendendo la Sierra Madre

Le cose avanzano troppo velocemente. Non riesco a metabolizzare tutto nonostante la mia identità si faccia sempre più minuta per far spazio al mondo che entra.
Sono a Guachochi, 2400 m. Ancora per poco in cima alla Sierra Madre. 

Il viaggio da Creel a Guachochi è stato spettacolare: strade intricate, pareti rocciose chiare che terminavano in canyon profondi, boschi di aghifoglie, querce e cespugli. Sole. Nell'autobus salivano e scendevano indiani Tarahumara timidi e gentili, sovente vestiti con abiti tradizionali. Gli uomini portano una tunica bianca di cotone che arriva alle ginocchia, maglioni o casacche colorate, una fascia attorno alla testa e gli immancabili sandali sottili legati alle caviglie. Pochissime auto, pochissima popolazione. Cominciavo a scoprire l'immenso Nord.

A Guachochi mi dirigo verso una minuscola e anonima stazione degli autobus. "Quando parte il primo mezzo per Parral?", chiedo alla signora della biglietteria. "Tra mezz'ora. Sì, solo seconda classe". La biglietteria/sala d'aspetto è piena di persone, valigie, pacchi con indirizzi di luoghi sconosciuti scritti a mano. Sulle pareti sono attaccati due poster sbiaditi raffiguranti i Copper Canyon.
Salgo sul bus diretto a Hidalgo del Parral ancora a stomaco vuoto. Questa sera nella città dove è stato ucciso Francisco "Pancho" Villa mi aspetta Timoteo con la sua parrilla domenicale.

La carretera estatal 23 scende, e discendendo un fluido caldo e denso entra dai finestrini. Ogni chilometro di strada che scorre sotto di me vede l'inesorabile, progressivo avvicinamento alla zona semidesertica: tra alberi spinosi, tra i cespi dove a volte si attaccano rifiuti di plastica, sorgono estesi pascoli d'erba rinsecchita che dovrebbero mangiare animali invisibili. Pali di legno congiunti dal filo spinato. Colline e montagne sagomate dal vento definiscono la cornice del paesaggio.
La strada continua a scorrere.



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