giovedì 24 dicembre 2015

Il vulcano Chimborazo

In poche ore sono passato dalle miti temperature di Baños alla nebulosa entrata del parco del Chimborazo. Da 1800 a 4300 metri. I guardiaparco mi suggeriscono di coprirmi.
A Riobamba ho improvvisamente deciso di prendere il bus che passa per l'entrata del vulcano più alto d'Ecuador. Nel mezzo di trasporto mi sono seduto accanto ad una guida che è scesa con me. Dice che oggi non sarà facile vedere la montagna.
In un ambiente silenzioso, lunare, spazzato da nuvole perenni e dal vento che le accompagna, mi registro, lascio lo zaino presso l'ufficio del parco, indosso la giacca a vento economica e faccio rifornimento d'acqua nei bagni. I guardiaparco annuiscono con la testa. "Non abbandonare il sentiero, ci si può perdere", ammoniscono. Non sono preoccupati per me, sanno che so.

Respiro nuvole e vento sulla strada brulla di ghiaia grigia, con rari ciuffi gialli d'erba e cespugli contorti verso il basso come unica vegetazione. Ogni tanto il panorama circoscritto si apre per qualche secondo facendo intravedere l'altopiano che declina bruscamente verso nord-ovest. Il percorso sale lentamente, attraversando dolci avvallamenti extraterrestri che rapidamente cambiano direzione. Passa qualche jeep, mischiando polvere di terra con polvere d'umido. Quando la motivazione di salire verso il nulla si affievolisce nel freddo, con una prospettiva indefinita di osservare qualcosa, nel silenzio assoluto,
davanti a me la nebbia si apre disvelando una longilinea sagoma di vigogna. Zampe sottili, collo lungo, manto superiore quasi rosso. Come in un pezzo onirico di Floating Points, la visione dell'animale dal comportamento composto e attento dura poco. La nebbia lo riassorbe presto.

Dopo aver preso una scorciatoia e riguadagnato la strada decido di fare autostop. Il primo pick-up non si ferma, il secondo sì. Sono due uomini sulla quarantina; uno meticcio e l'altro nero. Sarà per il loro modo di parlare, per il fatto che il nero ha l'accento straniero e perché sullo specchietto dell'auto portano un crocifisso che chiedo loro se solo cristiani. "Sì, siamo sacerdoti", rispondono.
Il prete ecuadoriano è parroco di un quartiere della città di Riobamba, il nero viene dal Congo ed è un missionario.


In un lampo siamo al primo rifugio a 4800 metri. Saliamo insieme a piedi verso la base del Chimborazo, la montagna con la cima più distante dal centro della Terra. La vegetazione è ormai quasi sparita lasciando pieno campo a terra rossa lavica e pietre smussate. A circa 5000 metri raggiungiamo il secondo rifugio. Qui incontriamo la neve. I due sacerdoti sono felici di poter mettere i piedi sulle chiazze di neve ventata e di toccarla. A tratti il vulcano di 6310 metri disvela porzioni di ghiaccio e roccia che salgono alte, oltre le nuvole.
Deve aver nevicato durante la notte. Nell'equatore d'America anche a 5000 metri la neve dura poche ore.

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