venerdì 27 novembre 2015

La laguna di Quilotoa

Il raffreddore e la voce bassa li porto addosso da qualche giorno. Sono su un camion che lentamente mi accompagna alla laguna di Quilotoa. E' una delle tante mattine iniziate troppo presto.

Ieri ho chiesto a tre persone l'orario del bus per Quilotoa, tutte e tre mi hanno dato differenti orari. Per non sbagliare alle sei ero fuori dall'hostal, aspettando il mezzo pubblico nel freddo moderato di Zumbahua. Anita, la proprietaria dell'alloggio, mi faceva compagnia avvolta nel suo poncho chiaro. Il bus non è passato.
Si ferma un camionista e dice in quechua alla signora Anita che va a Quilotoa per una cifra tre volte superiore a quella del bus. No. Il camion aspetta, io pure. Alla fine conveniamo per un prezzo equo. Partiamo.

Passiamo per pianori coltivati e colline, salendo piano. Prima delle otto superiamo la sbarra d'entrata della località turistica che dovrebbe prevedere una tassa di entrata. Nessuno in giro. Fuori fa freddo e c'è vento. Altitudine 3850. Trovo una stanza, poso lo zaino, riempio la bottiglia d'acqua e sono pronto per esplorare uno dei siti più significativi dell'Ecuador.
Come per la laguna di Cuicocha http://travel-ontheroad.blogspot.it/2015/08/il-vulcano-cuicocha-sopra-otavalo.html , il lago di Quilotoa si trova all'interno di un immenso cratere vulcanico.
 
Appena giungo sul bordo del vulcano vengo colpito da una vista eccezionale: in basso laQ01 superfice d'acqua è attraversata da una fascia di riflesso solare che attraversa metà del lago; il liquido è increspato dal vento che viene da oriente. Più in alto, oltre le pareti che si gettano nel cratere, l'orizzonte vasto offre montagne verdeggianti senz'alberi e nuvole in lento, inesorabile, addensamento. Fortunatamente riesco ancora ad ammirare i due picchi innevati dell'Illiniza. Poco a destra si indovina la sagoma del vulcano che fuma, la montagna di ghiaccio e cenere che porta il nome di Cotopaxi.
Ho chiesto ad un locale da che parte è meglio iniziare il periplo del grande cratere, lui mi risponde: "In senso antiorario. Non lo fa nessuno". Sempre con l'indescrivibile eccitazione del nuovo, ancora in perfetta solitudine, dal punto di osservazione presso cui mi trovo imbocco il sentiero a destra. 
La traccia nitida e stretta lambisce il bordo del vulcano, e con il camminare si modifica lentamente la percezione degli elementi, dei colori, il muoversi del sole. A sud posso vedere in tutta la loro estensione le montagne rocciose e le valli immense di Zumbahua. Laggiù, in quei posti magici ancora incontaminati dal turismo, strati persistenti di nuvole in movimento ma stabili cominciano ad abbassarsi sulle cime verdeggianti che superano i 4500 metri, portando nei pascoli abitati dai lama gocce gelate di pioggia.

Dopo aver attraversato un altro osservatorio Q02sopra il lago di Quilotoa mi aspetta l'ascesa della parete più alta del cratere. Dal basso vedo arrampicare una irregolare e ripida striscia che si insinua tra cespugli bassi ed erba giallo-verde.
Il sudore scompare velocemente sulla cima del monte Juyende, 3930 metri di altitudine spazzati dal vento che viene da lontano; la cumbre è coperta da terra chiara, pietre e steli ricurvi. Da questa altezza posso cogliere l'interezza del vulcano e del grande lago depositato nel suo cratere. Il mio corpo magro assorbe visioni di colori limpidi e basilari.
Scendo veloce dall'altro lato della cima, conQ03 un occhio sempre attento alle nuvole scure che si rafforzano nel cielo.
Oltre la metà del circuito incontro un gruppo di tre ragazzi silenziosi, poi altri ancora muniti di guida locale.  
Dopo tre ore e trenta minuti, tranquillo e sicuro nella mia solitudine, malgrado il mal di gola ed il raffreddore, riguadagno l'osservatorio da dove sono partito. Ora nuvole grigie stanno coprendo tutto, trasformando le acque del vulcano di un colore verde cinereo, che il vento forte rende ancora più misteriose nelle loro profondità imperscrutabili.

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