martedì 9 febbraio 2010

Il cielo del viandante

“Buon giorno, ha un cuarto libero?” “Sì, per una persona.” “C'è il riscaldamento? Ah, è nel corridoio esterno...”
Le dodici del mattino e le iridi spaziano verso l'alto. Il cielo delle pianure d'America è sempre definitivo. Nuvole verginali come veli di fine tessuto esotico, filamenti rettilinei o incredibilmente contorti, onde anarchiche sparse a caso e lame perfette che tagliano il turchino intenso che veglia oltre con sicuro vigore. Conglomerati imponenti che sembrano prepararsi alla battaglia finale da un momento all'altro e minuti batuffoli vaganti solitari, in cerca del segreto profondo cieldell'aria. Gli occhi si perdono seguendo questa costante mobilità, cercando di assecondarla nelle sue evoluzioni, con poco successo. Anche in una giornata di bassa pressione con una cappa grigia sopra il capo è raro non osservare delle portentose combinazioni in cielo.  Ampi spazi, la Natura, venti e correnti, temperature e oceani contribuiscono a modellare la tavolozza che si trova sopra di me. Cirri maestosi, invadenti e sbeffeggianti dominano la panchina dell'alberata plaza de Armas mentre il disco solare mi abbaglia. Dopo essere uscito dalla stanza presso l'hostal Libertad sono qui, accucciato ad osservare il cielo ed il movimento cittadino. È una giornata soleggiata con temperature accettabili e l'aria frizzante odora di montagna.
Un ragazzino si siede accanto a me e mi osserva mentre guardo il cielo.
"Cosa stai guardando?", mi chiede.
"Le nuvole".
Dopo aver scambiato qualche parola mi domanda cosa faccio in questo posto.
"Viaggio", rispondo dopo un attimo di esitazione, in modo superficiale, quasi evitando di farmi carpire un segreto intimo e impossibile.
“E perché viaggi?”, mi incalza lesto il ragazzino con i capelli a spazzola la cui attaccatura scura quasi lambisce le folte sopracciglia che paiono tinte di lucido nero.
Incertezza. Se riuscissi, potrei rispondere come J. Donne 'Vivere in una sola terra è prigionia', oppure 'Fuggo dalla necessità e dallo scopo', come scrive Leed. Invece spiattello un semplice, tautologico e definitivo “Porque me gusta, oye(s)”.
Mi piace il tempo dedicato alla propria persona, l'uscire da ciò che definisce, l'adattamento e la lunga fatica che purifica, freddo-caldo-infinito e... incorporare la strada che si muove. Ci sarebbero molte altre motivazioni ma non posso raccontarti tutto questo, ragazzino, non riuscirei in questo momento e forse non capiresti subito. Sono attitudini intime, segmenti stratificati e profondi, vissuti, di difficile esposizione.
Il bambino lascia la panchina del centro di Chillán, Regione VIII.
Sono in continua e costante discesa; dal bus proveniente da nord ho visto in lontananza e sulla sinistra le cime innevate che costeggiano il confine argentino.
Nella piazza passano sferragliando furgoncini anni settanta, scolari in divisa, turisti locali che sotto la spavalderia celano l'eccitazione provocata dal tempo liberato e dal suo sapiente utilizzo, impiegati e qualche senza fissa dimora alla ricerca di vino economico.
Il mattino sta impregnandosi di giallo quando cammino veloce verso il mercato cittadino, dove partono i bus per le Terme.  Le giornate sono sempre più corte. Nell'automezzo mi fanno compagnia locali dai volti rugosi e seri, turisti in vistose tenute da volcsci e bambini rumorosi. Dopo mezz'ora di viaggio il panorama si ispessisce: oltre le colline troneggiano le Ande innevate. Mi  sveglio definitivamente per l'eccitazione quando, dopo una curva, appare in tutta la sua possanza il vulcano Chillán. Chiedo conferma all'uomo di mezza età dai tratti indigeni che è seduto accanto a me. Anche se viene leggermente celato da altre vette, è proprio lui. Una indistinta massa verde scuro composta da pini, cipressacee, faggi e coihues siede vigilante ai piedi del vulcano come rigogliosi totem indiani Mapuche. 
La strada asfaltata sale con costanza. Giunti presso un villaggio costituito da qualche casa e sparsi luoghi di ristoro, il bus si ferma per qualche istante. A lato dell'asfalto decine di uomini in pick-up aspettano le auto dei turisti per noleggiare loro le catene da neve. chill Il nostro bus sale veloce per il bosco dopo aver lasciato le ultime alte pianure a pascolo. Aria e cielo dell'Ovest entrano dal finestrino leggermente aperto davanti a me. Respiro forte l'aroma tonificante degli alberi fratelli mentre la strada mi porta in avanti ed in alto.

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