giovedì 16 maggio 2019

La penisola del faro alla Isla del Sol

"Non passare per la mulattiera che porta all'altra parte dell'isola, perché gli stranieri non possono transitare", mi avvisa Leonardo dopo avermi spiegato con accuratezza il cammino per la penisola che vediamo da Yumani. Dispute tra popolazioni locali, la misteriosa morte di una viaggiatrice coreana e la metà dell'Isla del Sol chiusa al turismo non stanno facendo bella pubblicità a questa fulgida isola posta nel cuore del Lago Titicaca.

Alle 8:30 sono sulla mulattiera alta che porta a nord, verso la parte chiusa dell'isola; gli occhi ancora conservano la recente visione dell'alba sorta dalla Cordillera Real.  Il sole vergine illumina di sbieco i colli, i cespugli, le zolle arate a mano. Circa a 300 metri dal posto di controllo lascio la mulattiera che nei punti umidi è ancora gelata, per gettarmi verso la baia a sinistra. Costeggio due di queste anse e sono ancora una volta abbagliato dalle luci estreme, dai colori definitivi che mi offre questo mondo ultraterreno: il litorale costituito da pietre bianche, il lago turchino, le colline della penisola verde-cinerino e l'azzurro saturo di un nuovo cielo.

Dopo la seconda baia sono costretto a salire un colle e quindi raggiungere un ampio lido dove ci sono un paio di pescatori, degli uccelli marini. Un falco che si allontana. Da almeno mezz'ora sono nella parte dell'isola chiusa agli stranieri.

Nella stretta e selvaggia penisola mi sento più che mai libero, solo, fiero. Ma presto il sentiero che si inoltra tra boschi comincia ad assottigliarsi ed a moltiplicare le sue tracce. Cerco di seguire la via principale, con un occhio alla posizione.

Finito il bosco inizia un traverso tra pietre e cespugli mezzi secchi ed affilate piante grasse. Il percorso si frammenta ancora, inoltre il cammino rallenta causa la pietraia fatta da sassi appuntiti. Davanti ho una lingua sottile di deserto contornato da acqua dolce.

Sorpassato un poggio vedo il faro, il peduncolo del promontorio. Pochi passi e sono arrivato: due ore e quindici minuti dal villaggio di Yumani. Dal piccolo faro posso vedere le colline e le basse montagne della terraferma boliviana e peruviana.  

Un ultimo ricordo dell'escursione: per una parte di ritorno dalla penisola sono stato accompagnato dal suono del flauto di un pescatore invisibile nascosto tra i giunchi del lago. Le vibrazioni dello strumento aleggiavano dolci nell'aria austera ed enigmatica dell'Isla del Sol.

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martedì 30 aprile 2019

Le albe dalla Isla del Sol

Dalla stanza posta in cima al villaggio di Yumani ogni mattina ammiro l'alba che sorge dalla Cordillera.
Quando fuori i pendii umidi brinano, e la stanza dalle finestre esposte al sole riesce ancora a mantenere l'alito di calore del giorno passato, tra montagne di trapunte il mio volto si innalza per ammirare il nuovo mattino sulle terre alte del continente americano.

Scomparse le ultime stelle, il cielo limpido in alto è grigio piombo, diventando più chiaro e lattiginoso via via che si avvicina alle creste montagnose da dove sorgerà il sole.
Le pochissime nuvole sottili che vagano nella volta sono ancora cinerine, mentre le acque appena increspate del lago Titicaca riflettono qualche onda luminosa più dell'aria.
Aumentando la luce posso distinguere persone del villaggio che camminano silenziosamente in compagnia dei fedeli asini, i colori delle case, degli alberi, dei prati e della dirimpettaia isola della Luna.
Mentre la schiena avvisa i primi brividi di freddo, i raggi di un sole ancora invisibile proveniente dal caldo (querido) tropico boliviano rendono distinguibili i ghiacciai dalle rocce della Cordillera Real. Oltre il lago che non finisce mai, paradossalmente i monti appaiono incredibilmente limitrofi e vividi, forse perché perfettamente delineati dall'alba che sale. E il lago Titicaca, la Cordillera, il cielo dividono il mondo in tre parti distinte nell'aria rarefatta dei 4000 metri.
Un respiro forte, un sospiro ed il sole esce dalla montagna, illuminando il mio volto, il torace, il letto. Riempiendo di luce e calore la stanza sopra il villaggio di Yumani.
Cosa farà oggi il mio cuore ancora ammaliato dal crepuscolo che porta il giorno?

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martedì 23 aprile 2019

L'arrivo alla Isla del Sol

I colori totali, immutabili delle forme elementari entrano nell'anima. La luce abbacina gli occhi, il respiro è sempre alla ricerca d'aria. La barca che porta all'Isla del Sol parte lentamente dopo il controllo spurio dell'autorità militare boliviana di Copacabana. Tutti sanno che queste imbarcazioni piene di turisti, locali e merci spesso oltrepassano i loro limiti di portata.
I miei limiti di portata si sono estesi oltre l'immaginario: stanze che non superano i 12 gradi durante la notte, viaggi notturni lunghissimi, sveglie ad orari estremi, ubriacature infinite di dislivelli, l'altitudine vera.

La barca solca lentamente le acque tranquille del Lago Titicaca, con la brezza che viene sempre da nord-est, e la terraferma fatta da colline brulle, mucchi di alberi, rocce e qualche casa che si allontanano. Uccelli bianchi si confondono tra le piante acquatiche e le rive chiare.

In un'ora e venti siamo a Yumani, nella parte dell'isola aperta al turismo. Salgo velocemente il sentiero lastricato da pietre antiche alla ricerca di un alloggio. Oltrepassata una fonte d'acqua stupendamente sistemata, comincia la sequenza di donne che vendono prodotti artigianali provenienti da chissà dove, e asini che trasportano carichi troppo pesanti per loro. Senza convinzione chiedo qualche prezzo per dormire. Voglio giungere nel punto panoramico di Yumani, dove poter ammirare i due lati dell'isola.

Arrivato in cima alla costa un muratore, Leonardo, mi consiglia andare all'hostal Pachakuti. Nella cucina oscura dell'alberghetto incontro due donne; la più giovane mi mostra una stanza in alto, con tante finestre esposte al sole. Dico che voglio stare qualche giorno nell'isola e concordiamo per 35 bolivianos a notte, bagno e acqua calda inclusa. Il panorama dalla camera è una cosa incredibile, ultraterrena.



mercoledì 27 marzo 2019

Il sito archeologico di Pisaq

Il minivan per Pisaq parte da un dedalo di vie dopo calle Recoleta. Uscendo da Cusco, la città imperiale fondata a 3350 metri di altitudine, è impossibile non imbattersi in una miriade di siti archeologici. Passiamo vicino a Saqsayhuamán, per Q'enqo, fino a raggiungere i 3700 metri di Tambomachay. Il combi del trasporto pubblico sale ancora un poco per poi scendere nella valle Sacra a velocità illecita.
Raggiungo Pisac (Pisaq) in 50 minuti, passo a piedi il ponte sul fiume Vilcanota e qui ho la brutta notizia: per raggiungere il sito archeologico bisogna prendere il taxi. L'umore scende in basso. Un taxista mi domanda una cifra esagerata per arrivare alla meta. Neanche gli rispondo. Incontro una coppia di argentini che mi chiedono se voglio compartire il taxi con loro. "Massimo otto soles", propongo. L'autista approva. Partiamo. I due ragazzi sono di Mendoza. Simpatici come tutti gli argentini agli occhi e al cuore di noi europei. Mentre parliamo la strada risale una valle stretta ricca di fattorie e campi saggiamente coltivati. Da qualche parte risuona un ritmo downtempo dei Bent. Fatemi viaggiare all'infinito, così nel movimento incessante riuscirò a guadagnare la flebile speranza dell'immortalità.

L'entrata del parco archeologico di Pisaq ci accoglie sulla dorsale di una delle innumerevoli montagne che circondano la valle Sacra. Mi fermo qualche minuto a parlare con un incaricato che mi spiega la possibilità di raggiungere il villaggio di Pisac a piedi, passando per il sentiero ufficiale. 
Da questo lato della giogaia domino la valle sottostante, i sapienti e vasti terrazzamenti incaici e le diverse costruzioni antiche che si mimetizzano perfettamente con l'ambiente.
Dopo essere passato lungo delle fonti d'acqua mi arrampico per quello che probabilmente era un fortino. Da quassù il panorama è ancora più vasto: cime rocciose che digradano verso zone coltivate, i boschi di eucalipti e la valle irrigua.
Il sentiero che porta al pueblo di Pisaq si svuota totalmente dai gruppi turistici, rendendo giustizia all'austerità del sito e consentendo alla mente di poter vagare in solitudine tra natura e rovine.
Continuo a scendere passando per un angusto passaggio scavato nella roccia, una serie di torri, abitazioni con muri costituiti da pietre perfettamente incastrate a secco. E poi terrazzamenti dove ora cresce l'erba, i muri di contenimento e il vento delle Ande che passa tra i cespugli aridi. Mi muovo senza sosta. 





 
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