martedì 30 agosto 2016

Il Kolahoi disvelato

Il secondo giorno di trekking con la guida di Aru verso i ghiacciai del Kolahoi si fa decisamente più interessante.
Abbiamo da poco lasciato il rifugio a Lidderwat. Siamo in tre: io, Manzoor, il suo cavallo. Fin dal primo giorno del mio arrivo a Aru si è instaurato un rapporto di amicizia con questa persona. I suoi modi di fare spontanei e libertari, la sua giovialità, lo scarso interesse per il guadagno facile, forse per la prima volta, mi hanno convinto ad accettare la proposta di quattro giorni di trekking attorno la catena del Kolahoi, Kashmir.
La lucente mattina offre ai sensi tutta la bellezza dell'altopiano che stiamo attraversando: massi ed erba sottile ci portano dove la valle si restringe, lasciando spazio a sempreverdi, betulle ed altre latifoglie che puntano dritti in alto, verso lontane cime parzialmente innevate. Il Kolahoi rimane celato nella profondità della valle. Anche qui sono molti gli insediamenti di pastori nomadi che vivono in case di legno e pietra, oppure in tende.
Lentamente ci avviciniamo al fiume Lidder dalle acque bianche di ghiacciaio, estremamente rapide. Solo in Himalaya ho visto torrenti e fiumi tanto veloci, anche in presenza di pendenze irrilevanti.
Incontriamo qualche pastore, in discesa verso valle per fare provviste. Manzoor si ferma a scambiare qualche parola con loro. Camminiamo al passo del cavallo che trasporta tutto il necessario per quattro giorni. La mia guida segue l'animale spronandolo con un ramoscello o riconducendolo nel sentiero. "Non conosce questi percorsi", si giustifica.
La conca alterna praterie, dove pascolano cavalli, a pietraie con rocce di diverso tipo e morfologia.
Ad un certo punto siamo costretti ad attraversare un torrente in piena. "Il cavallo non riesce a passare", dice Manzoor, osservando lo stretto ponticello. Quindi, dopo essersi tolto le scarpe, procede a guidare l'animale nelle acque cristalline e violente del corso d'acqua.

A quota 2900 la conca esprime tutta la sua ponderosità, con alberi di betulle sul versante destro, mentre dalla parte opposta vedo cespugli, pietre e prati. Qualche nevaio scende fino in basso. In fondo si vedono solo i contrafforti del Kolahoi. Sono ansioso di ammirare la montagna alta.

La montagna alta comincia a disvelarsi dopo un'ora ancora di cammino. Dapprima una cima, poi un ghiacciaio, quindi un altra vetta ed un ghiacciaio ancora più massiccio. Eccomi, sono qui, grande montagna. Una delle catene più suggestive del Kashmir è sopra la testa, laggiù, verso nord. Nel frattempo stiamo attraversando alti nevai decaduti, frammisti a sfasciumi di massi e pietrisco. Il cavallo sale senza problemi. "Questa notte dormiremo presso una famiglia di pastori, miei amici", spiega Manzoor.
Vivere due giorni sotto la tenda di questa famiglia di pastori di pecore a più di 3000 metri di altitudine, sotto le vette ghiacciate del Kolahoi, 5425 m, sarà una grande esperienza.  

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giovedì 25 agosto 2016

Lidder valley


giovedì 28 luglio 2016

Aru, Lidder valley, Kashmir

Nella jeep collettiva c'erano solo accompagnatori di cavalli per turisti. 
Estraggo dalla tasca il  nome di una persona che potrebbe ospitarmi. Chiedo dove abita e mi accompagnano presso una grande casa di legno con il tetto in lamiera. Entro nell'abitazione e in cucina vedo due uomini che stanno fumando. Manzoor Kuche esce dalla stanza e mi abbraccia in modo familiare. Ancora non lo so, ma quest'uomo con i baffetti ed il gilet da pescatore diverra' una delle persone piu' significative del viaggio in Kashmir.
Su consiglio di Manzoor prendo il sentiero che sale verso una delle due valli che si diramano da Aru. In alto, immobili, salgono catene di roccia e neve di 4000 metri. Il percorso passa per una serie di boschi di sempreverde, per poi aprirsi in una moltitudine di pascoli bagnati da ruscelli. Qui sorgono diverse case dei pastori nomadi. Sono strutture di legno e pietra con il tetto piatto ricoperto da arbusti e terra. Se non fosse per il telo impermeabile che copre qualcuna di queste case, sono abitazioni che gli esseri umani costruiscono uguali da millenni. Al vedere un occidentale qualche bambino in tunica lunga esce dall'oscurita' per salutarmi e chiedere qualcosa.


Seguo a caso i sentieri piu' battuti, per decidere infine la meta: un passo verdeggiante.
Come ad Aru, 2350 m, qui l'aria ed il cielo sono limpidi, lontani dallo smog della perigliosa Srinagar.
Dopo aver passato altri insediamenti di nomadi comincio a risalire la piccola valle che conduce al passo dal nome sconosciuto. Pietre ed erba bassa costellano il sentiero. Impiego molto di piu' del previsto, ma, finalmente, raggiungo la meta. 3250 metri. Dal passo domino parte della valle del fiume Lidder, le cui acque bianche provengono dala catena montuosa del Kolahoi. Con l'andare della giornata le nuvole si addensano attorno alle cime piu' alte, nascondendole.

giovedì 30 giugno 2016

Srinagar vista da dentro

E' difficile vedere Srinagar da questo locale. E' possibile ascoltarla, annusarla, anche se il curry della cucina confonde i sensi. Usero' gli occhi del cuoco Aziz per osservare.
Il ristorante di Aziz di giorno pare chiuso, oscurato dal totalitarismo del ramadan: spingo una porta ed una zaffata di gas e odori pungenti mi investono. Una stanza di diciotto metri quadri, un tavolo perennemente unto, due sgabelli, zanzariere quasi completamente otturate da polvere, grasso e sporcizia, finestre coperte da tessuti scuri. Sopra un mobile in cemento e piastrelle sono inseriti il lavandino, alcune mensole ed un frigo. Cosa contiene il frigo? Alimenti deperibili e... la cassa dei soldi.

Sopra il lavandino e' situato uno scaldabagno elettrico misteriosamente avvolto da un antico cellophane trasparente. Ancora piu' a destra sono situati i fuochi del gas e pentole fumanti di alluminio annerite alla loro base. Aziz mi volta le spalle mentre cucina la mia mezza porzione di curry di pollo. Prezzo concordato in anticipo: 130 rupie. Il cuoco lavora svelto indossando un grembiule da cucina.
Sopra le piastrelle una volta gialle si agita una ventola di aspirazione. I muri del ristorante sono vecchi, scrostati e unti.
Aziz  mi serve su un piatto d'acciaio del riso bollito di qualita' ed un buon curry. Su due ciotole di metallo sono adagiate verdure fresche e cetrioli grattugiati nello yogurt.
Nel locale in apparente penitenza entra lo strombazzare continuo e compulsivo del traffico di Dalgate ed il vociare degli ambulanti. Dentro, con il sudore che scende verso il basso sotto forma di goccioline, ascolto musiche kashmire da una radiolina.
Aziz mi descrive con orgoglio la sua moschea Jama. Parla male del governo nazionale e locale, dei militari (indiani, non kashmiri) massicciamente presenti con armi pesanti in pugno in ogni angolo della citta'. Dice che la situazione non puo' che peggiorare. Probabilmente ha ragione riguardo l'ultima affermazione.
Sono l'unica persona seduta a mangiare nel piccolo locale di Aziz, anche se ogni tanto entra un uomo a spiluccare qualcosa o a fumare una sigaretta proibita.
 
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