Sotto di noi un mare impenetrabile per effetto del moto ondoso ed un riverbero di provenienza indefinita. Raggi di sole sbilenchi filtrano tra nuvole cariche di cromaticità variabile; proiettando lo sguardo che dal filo dell'acqua raggiunge la terraferma a nord, si ricevono diverse sensazioni disarmoniche tra loro: luce al tramonto, arrivo di un temporale, occhi che osservano il mondo attraverso filtri improbabili. In alcune porzioni di cielo, nuvole e mare gareggiano a riflettersi il grigio, come in un continuo gioco di specchi.
Il bus della Cruz del Sur vola sui prati verdi macchiati dal giallo del freddo dove pascolano bovini, attraversa fattorie di legno, boschi scuri piegati dal vento oceanico, masticando la strada solitaria. Una signora dai tratti indigeni sale ad Ancud: indossa una giacca color limone sbiadito e tra le mani porta un pacco voluminoso, forse un regalo. A tratti i
La cittadina di Castro mi accoglie con una tiepida luce che pare provenga dal sole. Questa volta ho un indirizzo sicuro dove dormire: un commesso viaggiatore che ho conosciuto molta strada più a nord mi ha fornito tutti gli estremi. Attraverso vie umide con la borsa a tracolla tra donne che tornano dalla spesa, artigiani con furgoncini rumorosi, operai e bancarelle dei commercianti. Suono al numero civico di una casa bassa e semplice. La signora con il grembiule blu mi ascolta in silenzio, poi, dopo essersi asciugata le mani in grembo, dice che è dispiaciuta ma tutte le sue stanze sono occupate.
Mi riesce difficile spiegarlo, ma Castro è una città diversa da quelle che ho appena visitato. Altra gente, altro sangue. Altri destini più severi. Visito la zona portuale e poi l'area delle tipiche palafitte poste sull'acqua. Cammino a lungo tra i quartieri popolari, osservando, accompagnato da ventate di pioggia invisibile e dalla brezza disarmante; come un vagabondo privilegiato e solitario sperimento cosa vuol dire vivere tutto il giorno fuori, facendosi corrodere piano piano dal
La Panamericana è terminata. La scorro mentalmente lungo i tratti infiniti che ho percorso. Decine e decine di bus, ore su ore ascoltando musica, leggendo un poco, ma soprattutto con gli occhi abbagliati dal panorama che scorreva pazientemente sui vetri.
Da questo locale di Castro, Chiloé, seduto di fronte alla vetrata che si affaccia sulla strada, riesco a sentire sul corpo le vibrazioni che mi ha tramesso la Ruta 5, le molte persone sfiorate solo per un attimo e quelle invece che hanno portato significato. La strada è lì dura, calda, fredda, vuota, ma soprattutto inevitabile. Mi risulta difficile restare fermo mentre la via aspetta un nuovo passeggero dal destino ramingo, attende colui che affronta lo scopo disarmato.
Negli anni passati, durante un viaggio, vivevo il tempo trascorso sopra un bus, una barca, un treno come una perdita, una sconfitta. Adesso capisco che a cavallo della strada è possibile incontrare parte di sé stessi, è realizzabile il silenzio, mentre il flusso ci accompagna in luoghi sconosciuti.
Il movimento libero pare alieno alla senescenza, sembra alieno alla morte, trasmette uno status che si accosta alla invulnerabilità.
Con il corpo esausto, sotto questo cielo burrascoso, mi risale alla mente una frase del Kalevala: 'L'interna fiamma, la febbre di andare'.