Il minivan per Pisaq parte da un dedalo di vie dopo calle Recoleta. Uscendo da Cusco, la città imperiale fondata a 3350 metri di altitudine, è impossibile non imbattersi in una miriade di siti archeologici. Passiamo vicino a Saqsayhuamán, per Q'enqo, fino a raggiungere i 3700 metri di Tambomachay. Il combi del trasporto pubblico sale ancora un poco per poi scendere nella valle Sacra a velocità illecita.
Raggiungo Pisac (Pisaq) in 50 minuti, passo a piedi il ponte sul fiume Vilcanota e qui ho la brutta notizia: per raggiungere il sito archeologico bisogna prendere il taxi. L'umore scende in basso. Un taxista mi domanda una cifra esagerata per arrivare alla meta. Neanche gli rispondo. Incontro una coppia di argentini che mi chiedono se voglio compartire il taxi con loro. "Massimo otto soles", propongo. L'autista approva. Partiamo. I due ragazzi sono di Mendoza. Simpatici come tutti gli argentini agli occhi e al cuore di noi europei. Mentre parliamo la strada risale una valle stretta ricca di fattorie e campi saggiamente coltivati. Da qualche parte risuona un ritmo downtempo dei Bent. Fatemi viaggiare all'infinito, così nel movimento incessante riuscirò a guadagnare la flebile speranza dell'immortalità.
L'entrata del parco archeologico di Pisaq ci accoglie sulla dorsale di una delle innumerevoli montagne che circondano la valle Sacra. Mi fermo qualche minuto a parlare con un incaricato che mi spiega la possibilità di raggiungere il villaggio di Pisac a piedi, passando per il sentiero ufficiale.
Da questo lato della giogaia domino la valle sottostante, i sapienti e vasti terrazzamenti incaici e le diverse costruzioni antiche che si mimetizzano perfettamente con l'ambiente.
Dopo essere passato lungo delle fonti d'acqua mi arrampico per quello che probabilmente era un fortino. Da quassù il panorama è ancora più vasto: cime rocciose che digradano verso zone coltivate, i boschi di eucalipti e la valle irrigua.
Il sentiero che porta al pueblo di Pisaq si svuota totalmente dai gruppi turistici, rendendo giustizia all'austerità del sito e consentendo alla mente di poter vagare in solitudine tra natura e rovine.
Continuo a scendere passando per un angusto passaggio scavato nella roccia, una serie di torri, abitazioni con muri costituiti da pietre perfettamente incastrate a secco. E poi terrazzamenti dove ora cresce l'erba, i muri di contenimento e il vento delle Ande che passa tra i cespugli aridi. Mi muovo senza sosta.
Raggiungo Pisac (Pisaq) in 50 minuti, passo a piedi il ponte sul fiume Vilcanota e qui ho la brutta notizia: per raggiungere il sito archeologico bisogna prendere il taxi. L'umore scende in basso. Un taxista mi domanda una cifra esagerata per arrivare alla meta. Neanche gli rispondo. Incontro una coppia di argentini che mi chiedono se voglio compartire il taxi con loro. "Massimo otto soles", propongo. L'autista approva. Partiamo. I due ragazzi sono di Mendoza. Simpatici come tutti gli argentini agli occhi e al cuore di noi europei. Mentre parliamo la strada risale una valle stretta ricca di fattorie e campi saggiamente coltivati. Da qualche parte risuona un ritmo downtempo dei Bent. Fatemi viaggiare all'infinito, così nel movimento incessante riuscirò a guadagnare la flebile speranza dell'immortalità.
L'entrata del parco archeologico di Pisaq ci accoglie sulla dorsale di una delle innumerevoli montagne che circondano la valle Sacra. Mi fermo qualche minuto a parlare con un incaricato che mi spiega la possibilità di raggiungere il villaggio di Pisac a piedi, passando per il sentiero ufficiale.
Da questo lato della giogaia domino la valle sottostante, i sapienti e vasti terrazzamenti incaici e le diverse costruzioni antiche che si mimetizzano perfettamente con l'ambiente.
Dopo essere passato lungo delle fonti d'acqua mi arrampico per quello che probabilmente era un fortino. Da quassù il panorama è ancora più vasto: cime rocciose che digradano verso zone coltivate, i boschi di eucalipti e la valle irrigua.
Il sentiero che porta al pueblo di Pisaq si svuota totalmente dai gruppi turistici, rendendo giustizia all'austerità del sito e consentendo alla mente di poter vagare in solitudine tra natura e rovine.
Continuo a scendere passando per un angusto passaggio scavato nella roccia, una serie di torri, abitazioni con muri costituiti da pietre perfettamente incastrate a secco. E poi terrazzamenti dove ora cresce l'erba, i muri di contenimento e il vento delle Ande che passa tra i cespugli aridi. Mi muovo senza sosta.