Momento importante quello che riserva il giorno che inizia:
raggiungere con le proprie forze la penisola dove si trova Balos, una delle
primarie attrazioni di Creta. Quando esco dall’alloggio di Kissamos, nel sangue
vagabondo circolano tonnellate di adrenalina.
L’adrenalina
continua ad assuefarmi dopo aver passato il porto ormai deserto della città e
inoltrarmi nell’ultimo peduncolo della baia di Kissamos. Sono passati quaranta
minuti nei quali le gambe hanno liquidato la parte meno interessante del
percorso. Ora il profilo apparentemente infinito della penisola di Gramvousa e
della lunga fascia di strada marrone tendente al porpora che la attraversa risulta
più limpido, nonostante l’opacità portata dai ricurvi raggi solari di novembre.
È il momento di estrarre dallo zaino i bastoncini da trekking.
Alle 10:35
sono sulla strada di terra che porta alla laguna di Balos. Vento di nord est asciuga
parzialmente il sudore. La baia di Gramvousa (o di Kissamos) è stata
agevolmente oltrepassata in trenta minuti, senza incontrare alcun essere umano.
Passo dopo
passo la consapevolezza delle cose, di quello che sto compiendo, di quello che fa
parte di me e che mi circonda si espande nella sua pienezza. Finalmente a contatto
con la natura semidesertica marina dai colori rigorosi, quasi che si confonde con
il suolo, dalle forme globose e basse per proteggersi da un mondo difficile. Con
immenso piacere riconosco piante di altre isole lontane perdute nell’oceano: l’Aulaga,
la Tabaiba, l’Espino del mar. Attorno all’incedere fluiscono essenze sconosciute
e altre con le quali da poco ho fatto conoscenza come il Lentisco e la Carruba.
Queste ultime riescono a svilupparsi nelle zone meno esposte.
Il tempo
passa, e la strada mi conduce, al culmine di una salita a 200 metri sopra il
livello del mare, all’entrata della riserva. Una quindicina di auto finora mi
hanno passato lentamente. Adesso mi attende una moderata discesa senza alcuna
vista della costa ovest, dove risiede la meta. Non è finita.
È da poco passato mezzogiorno quando mi appresto, volando di
giubilo, a scendere verso Balos. Sul sentiero incrocio una giovane famiglia con
bambini biondi di sole e di aria; il ragazzo comincia a sorridermi da lontano, di seguito
anche la compagna. Mi avevano visto quando erano in auto, all’inizio della
strada.
“Sei arrivato, grande!”, si complimentano.
“Tre ore, da Kissamos”, rispondo con gratitudine.
“Da Kissamos!”.
“Sì”.
La laguna di Balos esprime il suo splendore questo limpido
giorno di novembre, con la brezza che allontana la foschia e la quasi assenza
di visitatori. Una sottile striscia di roccia scura che collega l’isoletta di fronte,
proteggendo dal moto ondoso diretto, permette che dal versante meno esposto del
bacino si depositi sabbia e che si riesca a cristallizzare una laguna con
diverse tonalità di chiaro che si mescola con l’azzurro del mare, a seconda
della profondità.
Dopo più di tre ore posso toccare il mare e la sabbia bianca
di Balos, nel cuore del Mediterraneo.
Testo e foto
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