giovedì 13 gennaio 2022

Consumando suole al Lomo Centeno


«The call of the wild

is driving me crazy»

Jimi Tenor

 

La roccia lavica consuma le forze, erode le suole come fossero formaggio, ma ti porta in alto. Siamo quasi a metà gennaio, sotto i cieli indulgenti di Tenerife. Alla ricerca dei preamboli della montagna alta.

Inizia da Barranco Hondo, 400 m, l’ascesa verso l’area speciale denominata Las Lagunetas, sul crinale nord est dell’altopiano che si arrampica così tanto nella volta celeste. Barranco Hondo con i suoi peschi in fiore e i piccoli angeli volatili che chiamano la primavera li lascio presto, iniziando un sentiero che segue una rugosa lingua di lava dai colori purpurei, addobbata ai lati da vegetazione che lentamente sta recuperando il caldo arido della stagione passata: gli endemici balo, aeonium, tabaiba amarga producono timide foglie nuove, nella speranza che le nebbie donino gocce di vera pioggia.

Salgo su quella lava rafferma con velocità, con il sudore che impregna la camicia, fino a 700 metri di altitudine, quando il mare di nuvole inonda parzialmente la visuale, abbassando le temperature. Ora l’oceano e la stupenda Gran Canaria con il Roque e le montagne di Tamadaba a est sono più lontane.

Dopo gli 800 metri l’anello di nubi viene oltrepassato, e il sole forte è solamente mitigato quando si entra nella foresta perenne di conifere canarie. Mai un attimo di respiro concede il cammino che ora è infinitamente morbido nel tappeto preziosamente intessuto da aghi di pino. Senza quasi percepire quella fascia intermedia di vegetazione arborea, gli occhi si sono presto abituati alla luce debole filtrata da imponenti piante di pino canario che più avanti si mischieranno sì, a faya e brezo.

Las Lagunetas e il Lomo Centeno, 1400 m, li raggiungo in una ora e trentacinque minuti, con tanta adrenalina da vendere. I luoghi offrono ben poca visuale. Solo una radura permette di osservare la costa est e il mare che guarda l’Africa perennemente invisibile. Il Teide? Ancora troppo, troppo lontano. E alto.

 

Testo e foto diritti riservati Creative Commons

 





 

martedì 14 dicembre 2021

Dalla Cruz di Tejeda al Roque Nublo


Ho appena intrapreso una delle più significative escursioni che si possono realizzare nell’isola di Gran Canaria: Cruz di Tejeda-Roque Nublo. I cartelli dalla Croce indicano che per raggiungere il famoso monolite bisogna inizialmente prendere la direzione di Llanos de la Pez.

Il sentiero si immerge fin quasi dall’inizio in un mare di pini canari, costeggiando crinali dai quali escono periodicamente panorami mozzafiato nonostante una leggera foschia causata da una calima residuale. Anche qui l’incendio devastatore di qualche anno fa ha violato buona parte del sottobosco di cistacee e ginestre che, con molta fatica, stanno dando vita a nuove essenze germinate nel grembo della copertura di aghi di conifera.

La traccia ben segnalata si sviluppa gioiosamente senza grandi dislivelli, cavalcando colline vulcaniche dalle quali a nord domina la zona più umida di Vega San Mateo e i prodromi della città di Las Palmas, mentre a sud e a  ovest svettano montagne, picchi e piccoli villaggi bianchi. Il Roque Bentaya e il Nublo primeggiano per bellezza. L’oceano in basso è immerso nella bruma, mentre l’isola di Tenerife con il suo vulcano alto sono solo un sogno.

Tutte le visioni medio-lunghe si miniaturizzano quando si entra nella foresta che porta a Llanos de la Pez, così pure le tracce del percorso si moltiplicano dovendo di conseguenza prestare attenzione ai radi segnali. Il bosco emana odori di resina e si odono rumori del picchio e segnali alti di rapaci.

Ora sono in località El Garañon dopo cinque chilometri di cammino, e da qui comincia una discesa per poi risalire fino ai 1800 metri del Roque.

Giunto alla piattaforma finale dalla quale si innalza l’immensa massa rocciosa del Nublo sono infine arrivato alla meta. Venti meridionali poco intensi portano velature alte di nuvole. Scelgo una posizione strategica e mi siedo di fronte al Roque. Sembra impossibile che da questa spianata brulla possa essere rimasta una roccia quasi perfetta che si innalza verso l’etere.

Rimango a lungo davanti alla rupe, con le sue facce che cambiano con il girare basso del sole di dicembre. Lontano e a ovest scorgo la Aldea e Tamadaba, posti conosciuti.

È sempre il sole di fine anno che mi avvisa di alzarmi e prendere la via del ritorno per Tejeda, non prima di aver circumnavigato appena poco dal basso lui, il Roque Nublo.

 

Testo e foto diritti riservati Creative Commons

 






 

 

venerdì 3 dicembre 2021

Cammini alternativi a Gran Canaria

 

La sveglia suona troppo presto. Un percorso veloce nel buio per prendere la prima guagua fino al faro di Maspalomas e poi la visione di una nebulosa alba che viene da oriente spuntando dall’oceano. Le montagne dove dobbiamo dirigerci sono coperte da un sinuoso strato di nuvole. Questa volta sono accompagnato dal buon Sergio in una breve visita all’arcipelago incastonato nella Macaronesia.

Tejeda, la nostra meta, è un mezzo disastro: nuvole basse, vento e pioggia leggera ma continua. La speranza che il brutto tempo si ritiri una volta per tutte nel mare è confutata da diverse persone del luogo. L'umore è comunque ottimo. Quindi? Piano B: si va nel vicino e più meridionale paese di San Bartolomé. Altro mondo a distanza di pochi chilometri.

Il cammino alternativo punta alla degollada della Manzanilla partendo appena sopra San Bartolomé, insinuandosi prima tra frutteti dove spiccano le piante di mandorlo, in seguito si inerpica tra pini canari costeggiando rocce dalle tonalità diverse. La ghiaia e la terra del sentiero sono conseguenza di questo crogiolo di stratificazioni vulcaniche, partorendo colori come panna rosa e marrone chiaro.

Con il sole potente che ci illumina siamo presto al passo dove si forma verso sud una valle stretta: Manzanilla. Dopo essere rimasto qualche giorno nel desertico sud dell’isola, sembra impossibile riempire i sensi con tanta vegetazione. Davanti e intorno a noi domina il verde dei pini e di qualche basso cespuglio che invadono cime, gole, valli fino a dove arrivano gli occhi. Panorami di altri paesi si affastellano nella mente, provocando déjà-vu e ricordi di visioni a ripetizione.

Due escursionisti consigliano di tornare a San Bartolomé facendo un percorso ad anello in altitudine. Approvato.

La piana strada forestale costeggia avvallamenti dai quali è piacevole osservare come le montagne  e la roccia cambino secondo l’esposizione e l’illuminazione. Dopo i maglioni indossati e il freddo della non lontana Tejeda ora si cammina in maniche corte.

Prima di prendere la guagua 18 sarà d’obbligo festeggiare con una birra (pivo) la giornata e il ritrovo in questa isola oceanica.

 




 

 

 

Diritti riservati Creative Commons

lunedì 22 novembre 2021

La spiaggia di Gui Guí, Gran Canaria


L’escursione di oggi non è semplice: la baia di Gui Guí o Guguy.

Dalla playa della Aldea, dopo una ripida salita che porta alla fine della località Curmeja, il sentiero che si addentra per valli e dorsali di cime ha finalmente inizio. Sono già sudato dopo 200 metri di dislivello: la giornata calda e l’assenza di vento non aiutano proprio. 22 novembre 2021.

Alle 11:30 raggiungo un passo a 700 m dopo una ripida ascesa per un barranco oscuro, con i vestiti malditi dalla traspirazione e le iridi piene di flora canaria di bassa altitudine. Anche le euphorbias endemiche soffrono la troppa aridità che da mesi regna nel centro-sud dell’isola. Dal valico il mare non si vede ancora: tra le valli impervie e strettissime le cui cime sono parzialmente celate da nuvole, in fondo si può solo immaginare l’oceano, sentire la sua aria che filtra appena tra la foschia. La discesa inizia.

Alla fine della seconda depressione si configura una oasi verde con una abitazione. Il sentiero mi conduce verso di essa. Passo degli orti, una piccola fonte d’acqua e mi trovo davanti un grosso pastore belga che mi abbaia. Quasi subito una voce invisibile mi dice che il cane è innocuo. La voce diventa presto una persona, Iho, che vive da decenni in quella zona isolata insieme a una signora piemontese. Ci fermiamo a parlare, incurante della lunga strada che ancora aspetta. Iho conosce le piante canarie, le stagioni che cambiano con il cambio del clima, i venti.

La traccia di friabile roccia chiara che si meticcia con strati rossi e poi scuri sale dalla casa di Ilo fino a oltre 400 metri di altitudine per infine scavallare nel canyon di Guguy grande. Palme e orti coltivati si sviluppano in basso. Proprio in basso, dove ci sono due case in rovina, incontro un danese incerto davanti alla biforcazione del cammino. Ci fermiamo un attimo. “Secondo me bisogna andare in basso”, dico all’uomo. Lui annuisce.

La spiaggia di Gui Guí grande è nascosta tra ripide scogliere di lava grigia con la sabbia quasi chiara accarezzata dal mare. Diverse sono le persone che godono dell’ambiente selvaggio, quasi tutte arrivate obbligatoriamente a piedi dalla più vicina Tasartico.

Infatti anche nel mio tragitto di ritorno sono solo benché in dolcissima compagnia delle tabaibas, del cardón, del tajinaste blanco, del balillo in fiore e di tutte le poche altre piante che popolano l’ambiente desertico.

Sono le 16 e 30 passate quando ripasso da Iho, due lunghe parole, riempio la borraccia alla sua fonte e continuo velocissimo la sfida verso l’ascesa e la discesa e l’imbrunire che arriverà tra meno di due ore.

Giungo alla mia abitazione quando sono le 18:45, con la luce del telefono accesa e il suo contapassi che indica 34,3 chilometri di strada compiuta, e 1500+1500 metri di dislivelli tra canyon e cime laviche ardite appena smussate dal tempo.

 




 

Diritti riservati Creative Commons

 
Creative Commons License
Travel Viaje Viaggio Voyage by Dr. Stefano Marcora is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
Based on a work at travel-ontheroad.blogspot.com.