venerdì 30 novembre 2018

Qosqo


mercoledì 14 novembre 2018

L'alloggio a Cusco

Masse di turisti vestiti di sgargianti abiti sportivi, ambulanti che offrono cose consuete ed inimmaginabili, clacson, i combi del trasporto pubblico, SUV, taxi. Minivan luccicanti che trasportano occidentali.
Due, tre settimane. Quanto tempo mi fermerò nella capitale Inca? Ora la missione è trovare un alloggio decente. L'immortale Cusco non è una città proprio economica e per questo sarà difficile trovare qualcosa in centro.

Dopo la pioggia anomala del giorno prima, tutto torna alla normalità delle terre aride e alte: secco, sole e nuvole vuote che fanno la loro strada verso universi lontani.

Dalla Matará comincio a visitare le vie attigue chiedendo e guardando con attenzione le insegne. Sono un viandante alla ricerca di un riparo, in attesa paziente di esplorare i luoghi significativi della città, di cercare quello che la vita ha cancellato. Tutto è tornato nuovo.
Giro per vie a lungo, con gli occhi sicuri che si abbassano quando passo i luoghi principali del Cusco, evitando così di disvelare presto le sue meraviglie.
Stanza: cara, occupata, rumorosa, troppi gringos, dormitorio no porfa. Stanze ideali con finestre che guardano il sole perché di giorno si scaldino. 
Istinto e tenacia portatemi nell'alloggio dove sono predestinato.

Alla fine del pomeriggio, quando il sole si nasconde dietro le montagne a ovest e la temperatura cala velocemente, in una via chiusa, a due isolati dalla Plaza de Armas, suono presso l'hospedaje Amanecer. Aspetto. Scende una giovane donna gentile.
"Sí, hay lugar pa' mañana", dice. Mi mostra una stanza ancora occupata, contratto il prezzo e subito la prenoto per le notti successive. Predestinazione.

Esco di nuovo. Come a Puerto Montt in pieno inverno australe questo cielo sacro e freddo voglio tatuarlo sulla pelle. Nel sangue.
"Take Me Apart", canta Kelela, la prescelta.

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domenica 28 ottobre 2018


venerdì 19 ottobre 2018

L'arrivo a Cusco

In questa zona periferica il combi è ancora vuoto. Pago subito al controllore 70 centimos e piazzo lo zaino in mezzo alle gambe. Guardo velocemente i pochi passeggeri con occhio critico, poi le iridi si concentrano sul paesaggio esterno. Sono quasi ventiquattro ore che viaggio. La stanchezza, l'altitudine e l'emozione tolgono il respiro.
Il combi gira per strade importanti molto trafficate, infilandosi saltuariamente attraverso vicoli stretti in pendenza con velocità vertiginosa. Ho perso e ritrovato l'innocenza nei granuli di polvere del cammino ed ora perdo l'orientamento quando sono vicino al cuore della capitale del regno Inca. La più bella città d'America che ha lasciato la verginità con la sua conquista.

Il bus dell'impresa Correcaminos sale e scende ospitando anziani e gruppi di giovani mentre il crepuscolo ci annuncia la sua importante presenza. Vedo vagabondi, visi poco raccomandabili, visi di funzionari pubblici, persone ipnotizzate dallo schermo del telefono, persone che vanno a godersi la serata in centro. Il tragitto pare così lungo che ad un certo punto chiedo se non mi sono perduto negli infiniti quartieri della città. Un paio di signori mi rassicurano.

Scendo nella Ayacucho quando il buio ha rapito dietro le montagne la luce solare. Da poco è caduta qualche goccia di pioggia e la temperatura non è per nulla calda. Una domenica pomeriggio alla ricerca di un alloggio economico in una delle città più turistiche. D'apprima chiedo a due poliziotti, poi un ambulante mi consiglia di dirigermi nella Matará: "Lì trova le stanze più economiche del centro", aggiunge. Prendo la Matará, passo un supermercato Orion, negozi di ottica, un paio di hotel e, nel traffico pornografico del nucleo di Cusco, la città imperiale, giungo alla pensione indicata.  

L'arrivo a Cusco, il ritorno en el Cusco cancellato dall'oblio. Quando ancora c'era innocenza.

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