mercoledì 23 maggio 2018

Artigianato sud messicano


venerdì 18 maggio 2018

Le nuvole oltre San Cristóbal

Incontro Bernie davanti all'alojamento di San Cristóbal, nel quale mi trovo da quattro giorni. Sono mesi che le nostre coscienti solitudini si incrociano per una manciata di momenti significativi, scambiandoci impressioni di viaggio e consigli, allegrie e stanchezze. Dalla Bassa California fino a sud, nel cuore indigeno della terra Mesoamericana.
Bernie prima chiede in giro i prezzi, poi opta per una stanza dove ora mi trovo. Ci facciamo un caffè nella cucina comune della posada, prima di uscire nella pulita fresca mattina di San Cristóbal de las Casas. Chiapas.
Dopo il caldo ossessivo, le mosche della sabbia e i post-hippies ipocriti del Istmo, nulla di meglio inalare l'aria dei 2000 metri di SC. Aria che odora di pini e di nuvole che trasmigrano verso l'oceano Pacifico.

Bernie è un messicano magro, a tratti timido, spesso socievole, curioso, colto. Ha vissuto e viaggiato in Asia. E' appena reduce da un viaggio di almeno dieci ore da Huatulco, costa di Oaxaca. Gli chiedo se vuole riposare. No, andiamo.

In attesa che i mercati chiapaqueños arrivino al loro festigio, facciamo un giro nella città assonnata. Come sperimentato in molte occasioni, quasi nulla è più interessante della città durante il primo mattino: gli anziani che si recano nei caffè, gli ambulanti che cominciano ad appropriarsi degli spazi dove esporre la loro mercanzia, gli spazzini, uomini e donne ben vestiti che tornano da una festa ancora spiritati dalla notte decaduta. La calma. Viaggiatori alla ricerca.

Con ottimo umore Bernie entra in una pasticceria del centro dove prende un altro caffè ed un paio di paste. Una me la offre.
Prendiamo l'avenida Utrilla per dirigerci verso il mercato composito di Santo Domingo. Oltre ai prodotti indigeni più o meno artigianali, nelle strette vie adiacenti la chiesa e verso nord si accalcano venditori ambulanti di tutti i tipi: alimenti, utensili per la cucina, scarpe e vestiti, erbe curative, oggetti, cose. Una strada dietro il convento di S. Domingo porta diritta al mercato municipale, l'autentico mercato del centro città, congiungendo l'area più turistica con quella popolana.      

Nel mercato del municipio consumiamo il pranzo. Il settore dedicato alla ristorazione è dislocato proprio nel cuore della fiera, in un dedalo contorto, angusto ed irregolare di bancarelle. Non è facile trovarlo. Negli stand più esterni è possibile vedere qualche turista messicano od occidentale, ma nel suo nucleo...
Su un tavolaccio, appena dentro il viavai dei passanti indigeni, sotto i teli chiari oscurati dalle nuvole zingare del Chiapas che promettono pioggia, consumiamo il nostro pasto.



martedì 24 aprile 2018

Juego de la Pelota, m. Albán


venerdì 13 aprile 2018

Il monte Albán, Oaxaca

In un mondo a parte, in un luogo privilegiato dove la boscaglia lascia spazio alla visione ampia, domino Oaxaca e le montagne che la circondano. Una giornata limpida dopo i temporali. Quale piacere immaginare che la piccola cima sopra cui mi trovo un tempo fosse una piramide.

In pochi minuti sono uscito dal traffico caotico e violento del periférico, salendo verso il verde, la pace e la frescura degli 1800 metri. Un lunedì dove rade nuvole svogliate, ricche di umidità e ricordi, lambiscono le basse cime all'orizzonte. Ho come l'impressione, un robusto dejà vu, di aver vissuto questi momenti.

Arrivo all'entrata del sito archeologico con il primo van turistico. Pur trovandosi appena sopra Oaxaca, gli autobus urbani non raggiungono il monte Albán. I venditori ambulanti più o meno legali stanno ancora organizzandosi. Cappelli, improbabili resti archeologici, copie di manufatti precolombiani, bevande, artigianato.
Pago il biglietto d'entrata, snobbo le visite guidate a pagamento, e mi avvio quasi in solitudine tra l'erba umida in uno dei luoghi più significativi del Messico. In un altra vita l'erba del monte Albán era secca. Tutto era giallo. Anche il cielo.

Istintivamente mi dirigo verso i reperti Zapotecos più periferici: tombe con rimasugli di muri e colonne, circondate da arbusti ed erba alta. Appena oltre gli alberi bassi si delineano lontane sagome di colline.

Raggiungo la Gran Plaza da dietro, di soppiatto, silenziosamente, prendendola alla sprovvista. Dai resti dell'edificio A collocato su una possente piattaforma vedo tutto quello che devo vedere: i palazzi, gli obelischi, l'osservatorio astronomico al centro, la Piattaforma sud speculare a dove mi trovo. A sinistra si intravede la struttura del gioco della pelota. In lontananza ancora le montagne che racchiudono le lunghe vallate di Oaxaca. Le masse di turisti non sono ancora arrivate. Siamo pochi, felici, visitatori.

Scendo le gradinate ripide per posare i piedi sull'erba della Piazza Grande. Cammino nel prato bagnandomi le scarpe, percorrendo in senso orario le centinaia di metri della spianata, passando accanto a massicci manufatti di pietra. Come ogni visitatore immagino cosa pensavano, a cosa aspiravano, cosa facevano ogni giorno i privilegiati abitanti del nucleo centrale di un insediamento che prima di Cristo raggiungeva già decine di migliaia di persone. Civiltà e mistero, sfarzo e miseria.

Il sole è forte, l'aria è ancora fresca. La città silenziosa ottenebra i sensi.

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