lunedì 22 novembre 2021

La spiaggia di Gui Guí, Gran Canaria


L’escursione di oggi non è semplice: la baia di Gui Guí o Guguy.

Dalla playa della Aldea, dopo una ripida salita che porta alla fine della località Curmeja, il sentiero che si addentra per valli e dorsali di cime ha finalmente inizio. Sono già sudato dopo 200 metri di dislivello: la giornata calda e l’assenza di vento non aiutano proprio. 22 novembre 2021.

Alle 11:30 raggiungo un passo a 700 m dopo una ripida ascesa per un barranco oscuro, con i vestiti malditi dalla traspirazione e le iridi piene di flora canaria di bassa altitudine. Anche le euphorbias endemiche soffrono la troppa aridità che da mesi regna nel centro-sud dell’isola. Dal valico il mare non si vede ancora: tra le valli impervie e strettissime le cui cime sono parzialmente celate da nuvole, in fondo si può solo immaginare l’oceano, sentire la sua aria che filtra appena tra la foschia. La discesa inizia.

Alla fine della seconda depressione si configura una oasi verde con una abitazione. Il sentiero mi conduce verso di essa. Passo degli orti, una piccola fonte d’acqua e mi trovo davanti un grosso pastore belga che mi abbaia. Quasi subito una voce invisibile mi dice che il cane è innocuo. La voce diventa presto una persona, Iho, che vive da decenni in quella zona isolata insieme a una signora piemontese. Ci fermiamo a parlare, incurante della lunga strada che ancora aspetta. Iho conosce le piante canarie, le stagioni che cambiano con il cambio del clima, i venti.

La traccia di friabile roccia chiara che si meticcia con strati rossi e poi scuri sale dalla casa di Ilo fino a oltre 400 metri di altitudine per infine scavallare nel canyon di Guguy grande. Palme e orti coltivati si sviluppano in basso. Proprio in basso, dove ci sono due case in rovina, incontro un danese incerto davanti alla biforcazione del cammino. Ci fermiamo un attimo. “Secondo me bisogna andare in basso”, dico all’uomo. Lui annuisce.

La spiaggia di Gui Guí grande è nascosta tra ripide scogliere di lava grigia con la sabbia quasi chiara accarezzata dal mare. Diverse sono le persone che godono dell’ambiente selvaggio, quasi tutte arrivate obbligatoriamente a piedi dalla più vicina Tasartico.

Infatti anche nel mio tragitto di ritorno sono solo benché in dolcissima compagnia delle tabaibas, del cardón, del tajinaste blanco, del balillo in fiore e di tutte le poche altre piante che popolano l’ambiente desertico.

Sono le 16 e 30 passate quando ripasso da Iho, due lunghe parole, riempio la borraccia alla sua fonte e continuo velocissimo la sfida verso l’ascesa e la discesa e l’imbrunire che arriverà tra meno di due ore.

Giungo alla mia abitazione quando sono le 18:45, con la luce del telefono accesa e il suo contapassi che indica 34,3 chilometri di strada compiuta, e 1500+1500 metri di dislivelli tra canyon e cime laviche ardite appena smussate dal tempo.

 




 

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