mercoledì 31 maggio 2017

Il punto panoramico speciale sul Ladakh

Nella strada che collega Leh a Manali esistono diversi paesi dai quali si possono compiere interessanti percorsi. Uno di questi è Lhato (o Lato), 3900 metri. Qui ho conosciuto Greg, uno statunitense quarantenne che passa il suo tempo tra il Ladakh, il Nepal e Boulder, Colorado. Ottima persona.

Sono due mesi che mi trovo ad altitudini che superano 3000 metri. Questa mattina voglio raggiungere un punto panoramico dal quale spero di ammirare i 6000 che guardano verso ovest. Seguo l'impetuoso torrente che permette di irrigare buona parte del paese di Lhato. Esso subito si infossa tra pareti solcate da venature multicolore di rocce purpuree, massi levigati dal tempo e cespugli.
Come spiegava Greg, dapprima il sentiero segue la parte sinistra del corso d'acqua, poi si arriva ad un punto dove bisogna attraversare: il caldo dell'estate himalayana ha però ingrossato troppo il fiume. Decido di prendere una traccia di sentiero senza guadare, quindi salire ad intuito tenendomi alto rispetto ad alcuni affossamenti sottostanti, senza perdere di vista la meta e la via del ritorno. Sopravvivono all'inclemenza del sole e del secco solo alcuni ciuffi d'erba morente e piccoli fiori gialli. In alto vedo diversi avvoltoi, e poco dopo faccio scappare una lepre che si mimetizza perfettamente nell'ambiente. Fortunatamente lo strato di nuvole mattutino sale verso l'alto, oltre le cime.


A quota 4500 il panorama si apre decisamente: sono arrivato su un costone morenico che divide due conche importanti che danno vita a differenti corsi d'acqua. Sulla sinistra domino una valle lunga che termina con qualcosa di grande in direzione ovest; sempre in quella zona ma separati dall'antica morena, svetta un picco aguzzo colmo di neve. Proseguo ancora nella totale solitudine, tra fioriture di stelle alpine.   

Sono tre ore e mezzo che cammino, trovandomi ora in perfetto equilibrio tra due pendici, in bilico sulla costa di monte che fraziona due splendide valli del Ladakh splendido. Sopra volteggiano gli avvoltoi, mentre da ancora più in alto cadono innocui atomi d'acqua ghiacciata. Sono in maniche corte.
Mi trovo a 4940 metri, e da qui riesco a dominare mezzo mondo: montagne, vette, crepacci, ghiaccio sono attorno e sopra di me. A est piove o nevica, a nord si vedono solo cime basse, invece a sud e a ovest apprezzo le catene più significative.
Le valli sottostanti portano verso due strisce lunghe di ghiacciai parzialmente celati dalla non rettilineità delle conche. Fotografo diverse volte il maestoso picco aguzzo che probabilmente porta il nome di KY III.

E' il mio posto speciale. Trovato così. Rimango immobile nel vento che alterna macchie di sole a gocce di ghiaccio che si annientano nel terreno arido.
Sotto, in basso, puntini neri pascolano nelle vicinanze dei torrenti. Yak. 
 
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venerdì 26 maggio 2017

Sulla strada Leh-Manali


venerdì 12 maggio 2017

Khardung La, il passo carrozzabile più alto del mondo

L'alba a Leh è arrivata un'altra volta. Il sole scavalca piano le cime aride che coronano la città. Lascio la guest house dopo le 6. Alla mia destra domina Lui, il palazzo di Leh, con i suoi monasteri. L'aria fresca è senza vento.
In dieci minuti sono a Polo Ground diventato un polveroso parcheggio che odora di orina. Le jeep collettive che vanno per la Nubra valley si trovano appena all'entrata del parcheggio. Una famiglia di post-hippies francese aspetta altri tre passeggeri per partire. Dopo aver scambiato una frase con il conducente e salutato i francesi, poso lo zaino in attesa di altre due anime viaggianti che non arriveranno.

Attorno a me la strada brulica di uomini bassi dalla pelle scura provenienti da stati più meridionali. Le loro chiacchiere animate sono intervallate dall'aspirazione di sigarette e da sputi catarrosi. La maggioranza di questi giovani uomini in attesa di essere caricati sui camion per lavori giornalieri dimostra venti anni in più. Scuolabus, mezzi pesanti che rigurgitano fumo nero, minivan, le jeep dei viaggi organizzati passano strombazzando come da protocollo.
    
Dopo quasi due ore partiamo. Subito la jeep si inerpica per salite e tornanti, arrivando a dominare completamente la città di Leh, capitale del Regno Alto, Maestoso, del Ladakh. Appena oltre la sua conca verdeggiante di pioppi dai quali fioriscono dorati stupa, il secco, la polvere, l'austera aridità prevale su tutto. Verso sud, oltre la valle dell'Indo, troneggiano cime di 6000 metri dai ghiacciai perenni. Presto veniamo inghiottiti da colline monocolore che solo raramente consentono la visione lunga verso meridione.

Passato South Pullu la strada continua ad essere asfaltata, ma ancora per poco. Una valle stretta terminante con un ghiacciaio si apre davanti a noi. Alcune cime vicine vengono offuscate dalle nuvole.

Appena passate alcune strisce di bandierine buddiste che donano i loro mantra di pace al vento, osservo l'altimetro che segna la cifra spettacolare di... 4999 metri: scatto una foto con l'orologio, il braccio abbronzato punteggiato da pelle d'oca e la pista deserta che sale verso il passo più alto che esista. Dove ci porta la strada? Oltre l'immaginabile, oltre la lingua del ghiacciaio che guarda a nord, nelle nuvole del cielo dell'Asia centrale.

Giunti al passo Khardung, 5359 m, io e i francesi siamo un pelino emozionati. La jeep Tata si ferma e usciamo a respirare l'aria povera di ossigeno ma ricca di tutto quello che può gratificare una solitaria anima errante. Grazie. 

Grazie per le visioni ultraterrene di montagne lunari solcate da vestigia di torrenti antichi, delle rocce e la polvere che prosciugano microscopiche porzioni di verde resistente, grazie per le vette innevate a sud che guardano verso la Zanskar valley, gioiello sconosciuto di tutti i fiori di Loto.
Grazie alle nuvole che occludono parzialmente la vista a nord ed a est, in modo tale che la mente possa fantasticare sulle cime di 7000 e 8000 metri che proprio in quei luoghi si elevano.






giovedì 27 aprile 2017

Visioni dal monastero Karsha


 
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