mercoledì 27 aprile 2016

Festa nel paese


Oggi è un giorno di grande festa a Zumbahua. La sua piazza d'asfalto e polvere dove domina il vento delle alture ora è popolata da camion e uomini che stanno allestendo i palchi delle orchestre.
Gente di città si mischia a montanari dall'afflato sottile delle Ande. L'eccitazione è notevole.

Il tempo è un inganno della mente. Sono nel pieno di una giornata infinita. Nelle vene scorrono le immagini di queste ultime venti ore. Ieri ero a Cuenca, adesso, dopo una camminata di diverse ore, sono nell'hostal di doña Anita affacciato sulla piazza. A 3550 metri di altitudine.

Quando i cinque palchi dei musicisti sono pronti, arrivano i festeggiati in corteo. Le donne indossano scarpe col tacco, gonne scure, gli immancabili cappelli di feltro e scialli finemente ricamati. Gli uomini ed i ragazzi vestono decisamente con minor grazia. Quello che sicuramente i generi non dimenticano di tenere sono i bicchieri e le bottiglie di birra Pilsener. Diverse persone sono già ubriache. L'orchestra immette nell'aria suoni al massimo volume.

Scendo in piazza e mi mescolo alla folla. Le feste sono in realtà due. Due matrimoni ed una comunione. I gruppi musicali si alternano ciascuno nel suo palco. Gli invitati ed i festeggiati cominciano a ballare in una frenesia di sonorità distorte, scialli svolazzanti e bottiglie mezze piene del liquido amaro che schiuma. Il sole forte dell'equatore riscalda ulteriormente l'atmosfera.

Con l'andare del pomeriggio e l'alternarsi preciso dei musicisti, le feste cominciano a degenerare: vedo un ragazzo corpulento steso a terra, uomini che urinano in ogni dove. Le ubriacature si incattiviscono. Madri e mogli cominciano a portare a casa uomini sfatti e senza più soldi. Quando arriverà il buio non mancherà la pelea, la lotta, le botte, le rivalità di paese.

 
Dopo aver fatto due passi, torno al balcone dell'hostal che guarda la piazza di Zumbahua. Nell'atmosfera obliqua e limpida del tardo pomeriggio, i colori vivaci di ponchos e scialli danzanti nonché caracollanti si mescolano nella caleidoscopia nella festa che libera l'alterazione della coscienza.
Dall'alto tutto sembra perfetto: la gente festante, la chiesa, più in là le case basse, e quindi montagne tappezzate da pascoli e campi coltivati. I boschi di sempreverde nelle conche vengono oscurati temporaneamente da nuvole gonfie che scendono verso il Pacifico.
Su quel balcone di Zumbahua, sferzato dalle brezze alte, qualcuno è illuso di essere stanco. La giornata non ha voglia di terminare.
  
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giovedì 14 aprile 2016

Fiesta en el altiplano


mercoledì 30 marzo 2016

Le terre alte sopra Zumbahua

Il vento dell'oriente si insinua tra i fili d'erba e gli eucalipti facendo lamentare i loro rami. In alto oltre l'alto le nuvole si muovono veloci verso la loro estinzione, verso la costa pacifica. Dove tutto cambia.
Una notte passata senza dormire nell'autobus che ha solcato brandelli infiniti di Panamericana. Il desvío, l'autostop, un bus pieno oltre 4000 metri di altitudine. Un cammino inventato quasi al momento.
La stanchezza non esiste sulla strada di ciottoli e polvere che porta verso agglomerati di case e pascoli sconosciuti. Il cielo, l'aria, le montagne e uno dei panorami più belli e inesplorati della cordillera Central stanno tatuandosi irreversibilmente dentro me. Lo stomaco vuoto si nutre dello scenario offerto dai sensi.
Dopo venti giorni torno a Zumbahua.


E' domenica di un periodo festivo e la gente dei villaggi si reca a messa, riceve visite dai parenti che si sono trasferiti in città, suona musica e, naturalmente, beve tanto. I soldi non mancano mai per una sana ubriacatura.
Salgo rapido lungo la stradina nel centro della valle, salutando le sparute persone che incontro, rispondendo alle loro timide domande. Lama e cani ossuti sono presenti in ogni dove. I campi coltivati si sviluppano dalla parte più pianeggiante del centro della conca per poi salire, restringendosi in piccoli rettangoli verso le cime, prima delle rocce. In alto si scorge qualche pascolo immerso nel verde. Non lo so ancora, ma proprio uno di questi prati oggi riuscirò a raggiungere.

Dopo un'ora di cammino raggiungo un canyon dove anche i pick-up sono costretti a fermarsi. Una camioneta che mi aveva in precedenza sorpassato era carica di suonatori che ora trasmettono le loro vibrazioni da una parete rocciosa all'altra. Oltre il canyon mi rendo conto dell'estensione della valle che sto percorrendo: l'altopiano si dirama almeno in due bacini costellati da radi cespugli, qualche casa e soprattutto pascoli e montagne che salgono delicatamente oltre i 4500 metri. Percorsi immensi da esplorare.
 
All'imbocco di un nucleo di case incontro una coppia di signori che sta aspettando un passaggio per tornare a valle. Al loro fianco stazionano un paio di casse vuote di birra. L'uomo mi racconta storie di puma che braccano vitelli di toros bravos (tori cattivi, inselvatichiti) che attaccano anche l'uomo, e altre vicende misteriose che veleggiano nelle terre alte. Oltre l'alto.
Per il ritorno il signore mi consiglia di prendere un sentiero panoramico che sale la montagna.
 
Come ogni vicenda buona che si ripete e che si ripeterà, quando mi trovo sulla cima verdeggiante di uno degli infiniti corrugamenti montagnosi che digrada su prati d'erba dura verso nord, sparute gocce d'acqua gelata raggiungono la giacca a vento leggera. Ma le gambe sono indirizzate senza errore su Zumbahua dove domina ancora il sole. Le mani sono fredde ma la mente è piena di immagini suggestive della camminata. Nel vento forte ne estraggo due: la vastità del páramo e i bambini a cavallo di lama.
Apura don Choco, la giornata sarà lunghissima.


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lunedì 14 marzo 2016

Dintorni di Zumbahua


 
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