domenica 28 febbraio 2016

La Panamericana da Cuenca verso il Nord

A Cuenca ci sono tanti turisti. Vago senza meta per le piazze del centro storico, imprimendomi le ultime immagini della città. Mi siedo a lungo su una panchina che domina l'imponente cattedrale, osservando i gitanti, i venditori ambulanti, gli alberi del parco. Nuvole veloci passano nel cielo. Il sabato è la giornata più bella della settimana. Per pranzo mangerò salchipapas in  qualche locale sgangherato fuori dal centro.
Prima che imbrunisca mi incammino verso il terminal dei bus. Prendo vie strette e poco trafficate. In tasca ho il biglietto dell'autobus notturno che porta a Latacunga: 6-7 ore di viaggio verso nord. 10 $. Il lungo tragitto di ritorno a cavallo della Panamericana che mi riporterà in Colombia comincia tra qualche ora.

Mi siedo sotto ad uno dei due televisori del terminal di Cuenca, in una posizione più possibile lontana dal trambusto. Davanti a me una famiglia di campagna mangia qualcosa portato da casa. Sopra il canale statale manda in onda il faccione tondo di Correa in visita a Guayaquil. Quattro ore alla partenza.
Nella fila di sedie di metallo della sala d'aspetto passano giovani, lavoratori che tornano il fine settimana nei propri villaggi, coppie di anziani in visita a parenti e turisti locali. Pochi gli stranieri. Nessun venditore ambulante. Sono almeno due ore che il presidente Correa parla in quell'inutile canale televisivo. 

Tempo lungo, tempo che riesco a fatica ad addomesticare, ma alla fine prendo lo zaino, vado in bagno, lavo i denti, passo il controllo dei biglietti e sono sul bus. Per evitare brutti scherzi ricordo espressamente al controllore di svegliarmi all'uscita di Latacunga. "Sì, papi", mi risponde l'uomo dall'accento colombiano.

Alle 5:30 del mattino il bus mi lascia all'uscita dell'autostrada di Latacunga, al desvío, a 2750 metri di altitudine. E' presto, è  buio e sono solo. Cammino veloce fino all'imbocco del bivio che porta verso la meta. In mezzo al crocevia d'asfalto è stazionato un pick-up della polizia con il motore acceso per mantenere il riscaldamento e le luci accese. Busso al finestrino e chiedo quando arriva il primo bus per Zumbahua. Mi rispondono che passa verso le 6.
Intanto il crepuscolo da qualche parte comincia a creare le prime ombre, gettando luminosità sulle montagne più belle d'Ecuador e della cordillera Central. Faccio autostop ma i rari automezzi non si fermano o si dirigono verso mete diverse. Arrivano altre persone. Un ragazzo mi racconta che la polizia presidia l'area perché ci sono stati episodi di malvivenza.

Alle 6:15, quando il crepuscolo dell'equatore illumina ormai chiaramente la cima conica del Cotopaxi, il vulcano che erutta fumo e cenere, da qualche parte, dalla Panamericana o da Latacunga, arriva un bus. Nonostante sia pieno all'inverosimile, il mezzo si ferma. 

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venerdì 12 febbraio 2016

Ritorno a Zumbahua


giovedì 28 gennaio 2016

Il Parque nacional Cajas, Ecuador

L'entrata del parco nazionale è posta appena sotto la strada che va ad occidente, verso l'oceano Pacifico.
La piccola guardia forestale ed il suo staff si eccitano per l'arrivo degli stranieri con l'autobus di linea. Sono il primo. Scambiamo due parole.
"Sei spagnolo?", chiede con sicurezza nell'atto di registrarmi.
La guardo per un intervallo di secondo, poi la bocca che frena un ghigno risponde: "Sì".
La funzionaria mi spiega qualcosa, mi avverte che è pericoloso uscire dai sentieri e, consegnatomi una mappa abbastanza incomprensibile, passa alla coppia di britannici dietro di me.

Dagli stabili della sede del parco si domina il panorama che caratterizza gli ecosistemi andini del
páramo: arbusti, erba dura mezzo ingiallita, piante grasse, macchie di alberi e qualche fiore isolato. In basso si adagiano diversi laghetti che ora trasmettono il grigio-bianco del cielo. Quest'ultimo trasporta nuvole che nel congiungersi con montagne di roccia e prati diventano più evanescenti. La vista non è poca cosa.
Comincio a scendere il sentiero umido di terra scura accompagnato dal vento.
Dopo aver attraversato il primo lago, le abbondanti indicazioni iniziali sul percorso cominciano a diminuire, lasciando spazio ad un tracciato sottile tra gli steli d'erba. Nei giorni passati ha piovuto molto, quindi l'acqua ed il terreno melmoso mi fanno capire quale sarà uno degli intralci principali lungo il percorso: il fango.
Dopo mezzo chilometro supero una coppia di ragazzi indecisi se andare avanti. Afferriamo cespugli per non scivolare sul fango nero di terra vulcanica.
Ad un certo punto il sentiero si dirama in due-tre percorsi. Ne provo uno che conclude nel nulla, ne provo un altro e vedo una traccia che sale oltrepassando l'avvallamento che congiunge due laghetti. Lo raggiungo. A questo punto non posso che andare avanti, viste le mie condizioni: nel punto più basso, prima di raggiungere una tavola di legno che fungeva da ponticello, quasi appeso ai rami di alberi bassi non sono riuscito a non sprofondare nel fango e muschio e acqua oltre le ginocchia.
Da un boschetto di alberi di queñua posto a riparo sotto una pendice si gode la vista verso oriente.
Decine di specchi d'acqua digradano verso il basso, tra cime arrotondate rivestite di prati e circondate da nubi. Oltre le montagne e la foschia si può immaginare la città di Cuenca, il gioiello del sud dell'Ecuador.     
In questo tratto di percorso alto, dove l'aria dolce di tropico si mischia a fragranze montane, l'olfatto si inebria, si confonde, perdendosi dentro sé stesso.
Discendo per altri pendii, costeggiando laghi stretti la cui limpidità del liquido contenuto in essi si trasmette da una conca all'altra. Anche se credo di aver sbagliato percorso vado avanti, sicuro della vista ampia che consente
l'orientamento. Perdo lentamente quota, tra erba, muschio e specie di agavi dalle foglie seghettate che offrono i loro fiori su steli massicci. A tratti compare il sole.

Sono passate almeno tre ore di cammino quando incontro il segnale finale del sentiero numero uno, ben sopra la strada asfaltata che scende a oriente.
Ho compiuto il giro largo di buona parte dei laghi e laghetti del parco nazionale Cajas, percorrendo tracce antiche sulla cordillera Central, librando il corpo vicino ai 4000 metri di altitudine.
Decido di tornare alla sede del parco per visitare il suo museo e poi fare autostop verso la città incantata, Cuenca.

mercoledì 13 gennaio 2016

Parque Cajas, Ecuador


 
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