mercoledì 28 ottobre 2015

La mente leggera nella stanza a 3550 metri

Sonno lieve che lambisce il dormiveglia. Apro gli occhi su una stanza scarna con un letto a castello vuoto e coperte di lana. Illuminata dalle luci della strada, la carta da parati delinea disegni semplici sul muro chiaro. Cartoline di posti lontani sono attaccate alle pareti. Su un comodino sono appoggiati un deodorante, una crema solare, l'orologio e l'astuccio della toilette. Dal soffitto spunta una lampadina bianca collegata a due fili elettrici colorati. Nel silenzio totale solo il vento ha il coraggio di insinuarsi negli spifferi delle finestre dell'hostal di doña Anita. 
Alle cinque del mattino, con il buio violentato dalle luci dondolanti dell'unica piazza di Zumbahua, sepolto da coperte pesanti e con il naso freddo, la mente lucida si inabissa incontrando l'estraniazione. Un buco senza oscurità, un momento dove la coscienzaCdP rimane attiva nel centro e vacillante in periferia. Riporto le iridi a fissare senza scopo la carta da parati. Non è la solitudine ne' una temporanea amnesia, non si tratta del ventesimo giorno di viaggio che inizia oggi, ma avviene in me qualcosa che assomiglia ad uno spaesamento consapevole, un vuoto che pone interrogativi, un vuoto. E nel silenzio arrivano domande senza risposta: cosa faccio qui? Chi sono?
Rimango immobile a lungo, sovrastato dalle coperte di lana grezza, nella nicchia di calore che si disperde lentamente.
In quei momenti non riuscii a comprendere bene l'estraniamento di quella mattina nella stanza dall'aria fredda; solo qualche ora dopo, tra praterie di erba dura dei 4200 metri della cordillera Central, illuminato dal sole forte dell'equatore, capii qualcosa di più, capii che quel vuoto, quelle domande appartenevano a piccoli pezzi di me che stavano mutando, rinascendo, alla ricerca di una ricollocazione mobile. Al viaggio.
L'erba d'alta quota scivola sotto le scarpe. I sandali avanzano rapidamente verso una meta sconosciuta. Dopo la visita al lago di Quilotoa tornerò a Zumbahua. 
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mercoledì 14 ottobre 2015

Laguna di Quilotoa

LQ

sabato 26 settembre 2015

Attorno i ghiacciai del Cotopaxi

"Devi provare, probabilmente ce la farai". Con queste parole il gestore di un hotel di Latacunga mi convince a raggiungere il parco nazionale del vulcano che fuma, il Cotopaxi.
Sveglia molto presto, il bus che risale a nord la Panamericana, la strada che porta all'entrata del parco, l'incredibile.
Sono  da poco passate le otto e la buona sorte mi ha concesso di guadagnare i quasi venti chilometri deserti che portano al lago di Limpiopungo grazie a due insperati passaggi. Sono le otto e qualche minuto e il vulcano e' sopra di me, da qualche parte, nascosto dalle nuvole. Davanti l'altopiano di sabbia e terraLagL nera, cespugli bassi, i fiori, il vento forte. Verso sud-ovest solo nuvole, dall'altra parte il sole intenso illumina praterie e montagne sagomate dal tempo. Altitudine: in un soffio siamo a 3850. Quasi librandomi nell'aria fine dalla contentezza, nella totale solitudine mi dirigo verso il lago di Limpiopungo.
Nei pressi di questa poco profonda concentrazione d'acqua, quasi una palude, noto dei rumorosi uccelli dal petto bianco e anatre con il becco ed il capo grigio. Inizio il periplo del laghetto prendendo un sentiero oltre un ponte di legno. Mentre cammino piano e poi veloce con a lato colline verdi di cespugli ed erba dura d'alta montagna e le acque azzurre mosse dal vento, gli occhi si fissano su un rapace che con le ali immobili domina il cielo; girandomi per osservare il suo percorso all'improvviso vengo abbagliato da una visione: sopra uno strato di nuvole bianche in movimento ma ferme, si disvela la perfetta forma conica coperta di neve e ghiaccio di una delle montagne piu' famose Cot1del Paese. Il Cotopaxi, 5860 metri. Dalla sua punta estrema un pennacchio di fumo bianco si confonde con le nubi eteree.
Quando finisco il giro della laguna di Limpiopungo il vulcano e' quasi sgombro dalle nuvole. Sono le 9:30 e cominciano ad arrivare le jeep dei turisti. Decido di salire verso il rifugio del Cotopaxi. Questa mattina una guida mi ha spiegato che ci vogliono cinque ore di cammino per raggiungerlo.
Taglio diritto per praterie di cespugli, muschio mezzo secco e minuscoli fiori. Vento e panorami di Patagonia nell'equatore d'America. Dopo aver passato il lungo pianoro sono ai piedi della montagna. Per accorciare la via mi infilo in una gola torrentizia ora asciutta. Adesso diviene piu' facile perdere l'orientamento essendo sparita la visuale lunga che porta al rifugio. Nessun sentiero. Dopo aver risalito la gola ritrovo la strada sterrata e, in alto, il rifugio. Guardo l'altimetro e mi accorgo di aver passato i 4000 metri. Appena piu' in basso l'altopiano e piu' in la' cime smussate. La vista e' maestosa.
La vegetazione lentamente scompare lasciando posto a terra, ghiaia scura e macchie di fiori gialli senza stelo. Ma lo spettacolo e' uno solo: ripulita dalle nuvole, oltre la terra grigia, oltre macchie marroniCot2 liberate dalla neve, tra i ghiacciai azzurri e bianchi, si innalza la cima del vulcano Cotopaxi, bella e temibile e ambigua. Gravida di attivita' al suo interno e coperta di neve immacolata fuori, dove i venti sono inarrestabili.
Oltre quota 4700 raggiungo il parcheggio  delle jeep che portano i turisti al rifugio e piu' in alto. Sono contento, ormai il rifugio e' vicino e sono salito veloce, faticando un poco.
Non e´ passato mezzogiorno e mezzo quando arrivo al rifugio del monte Cotopaxi a 4860 m, mille metri sotto la cima alta che fuma. A due ore e cinquantacinque dal lago di Limpiopungo. Un leggero mal di testa vorrebbe farsi strada ma i panorami andini d'alta quota annichiliscono qualsiasi ininfluente disagio corporeo.
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martedì 15 settembre 2015

In avvicinamento al vulcano Cotopaxi (5860 m)

Coto-i
 
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