sabato 26 settembre 2015

Attorno i ghiacciai del Cotopaxi

"Devi provare, probabilmente ce la farai". Con queste parole il gestore di un hotel di Latacunga mi convince a raggiungere il parco nazionale del vulcano che fuma, il Cotopaxi.
Sveglia molto presto, il bus che risale a nord la Panamericana, la strada che porta all'entrata del parco, l'incredibile.
Sono  da poco passate le otto e la buona sorte mi ha concesso di guadagnare i quasi venti chilometri deserti che portano al lago di Limpiopungo grazie a due insperati passaggi. Sono le otto e qualche minuto e il vulcano e' sopra di me, da qualche parte, nascosto dalle nuvole. Davanti l'altopiano di sabbia e terraLagL nera, cespugli bassi, i fiori, il vento forte. Verso sud-ovest solo nuvole, dall'altra parte il sole intenso illumina praterie e montagne sagomate dal tempo. Altitudine: in un soffio siamo a 3850. Quasi librandomi nell'aria fine dalla contentezza, nella totale solitudine mi dirigo verso il lago di Limpiopungo.
Nei pressi di questa poco profonda concentrazione d'acqua, quasi una palude, noto dei rumorosi uccelli dal petto bianco e anatre con il becco ed il capo grigio. Inizio il periplo del laghetto prendendo un sentiero oltre un ponte di legno. Mentre cammino piano e poi veloce con a lato colline verdi di cespugli ed erba dura d'alta montagna e le acque azzurre mosse dal vento, gli occhi si fissano su un rapace che con le ali immobili domina il cielo; girandomi per osservare il suo percorso all'improvviso vengo abbagliato da una visione: sopra uno strato di nuvole bianche in movimento ma ferme, si disvela la perfetta forma conica coperta di neve e ghiaccio di una delle montagne piu' famose Cot1del Paese. Il Cotopaxi, 5860 metri. Dalla sua punta estrema un pennacchio di fumo bianco si confonde con le nubi eteree.
Quando finisco il giro della laguna di Limpiopungo il vulcano e' quasi sgombro dalle nuvole. Sono le 9:30 e cominciano ad arrivare le jeep dei turisti. Decido di salire verso il rifugio del Cotopaxi. Questa mattina una guida mi ha spiegato che ci vogliono cinque ore di cammino per raggiungerlo.
Taglio diritto per praterie di cespugli, muschio mezzo secco e minuscoli fiori. Vento e panorami di Patagonia nell'equatore d'America. Dopo aver passato il lungo pianoro sono ai piedi della montagna. Per accorciare la via mi infilo in una gola torrentizia ora asciutta. Adesso diviene piu' facile perdere l'orientamento essendo sparita la visuale lunga che porta al rifugio. Nessun sentiero. Dopo aver risalito la gola ritrovo la strada sterrata e, in alto, il rifugio. Guardo l'altimetro e mi accorgo di aver passato i 4000 metri. Appena piu' in basso l'altopiano e piu' in la' cime smussate. La vista e' maestosa.
La vegetazione lentamente scompare lasciando posto a terra, ghiaia scura e macchie di fiori gialli senza stelo. Ma lo spettacolo e' uno solo: ripulita dalle nuvole, oltre la terra grigia, oltre macchie marroniCot2 liberate dalla neve, tra i ghiacciai azzurri e bianchi, si innalza la cima del vulcano Cotopaxi, bella e temibile e ambigua. Gravida di attivita' al suo interno e coperta di neve immacolata fuori, dove i venti sono inarrestabili.
Oltre quota 4700 raggiungo il parcheggio  delle jeep che portano i turisti al rifugio e piu' in alto. Sono contento, ormai il rifugio e' vicino e sono salito veloce, faticando un poco.
Non e´ passato mezzogiorno e mezzo quando arrivo al rifugio del monte Cotopaxi a 4860 m, mille metri sotto la cima alta che fuma. A due ore e cinquantacinque dal lago di Limpiopungo. Un leggero mal di testa vorrebbe farsi strada ma i panorami andini d'alta quota annichiliscono qualsiasi ininfluente disagio corporeo.
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martedì 15 settembre 2015

In avvicinamento al vulcano Cotopaxi (5860 m)

Coto-i

venerdì 28 agosto 2015

Il vulcano Cuicocha sopra Otavalo, Ecuador

Il bus mi lascia all'entrata della riserva del lago di Cuicocha, a 3040 metri di altitudine. Nella lingua degli incas, il quechua, Kuychi Kucha vuol dire Lago degli dei. Parole che si riveleranno davvero appriopiate.
Il grande lago e' circondato da cime che sono le pareti confinali di un vulcano, il vulcano Cuicocha. 
In assoluta solitudine prendo il sentiero che si arrampica costeggiando le guglie sagomate di questa montagna, sviluppandosi per sette chilometri da una altitudine di 3050 metri fino a...
Dall'alto il lago e' davvero intrigante: acque azzurre e profonde increspate dal vento che soffia da qualche parte, forse da nord. In mezzo al lago svettano due isole a forma conica coperte dalla vegetazione. La brezza trasporta veloci nuvole basse che periodicamente offuscano una parte del cratere. Mi dirigo verso le nuvole.
Il sentiero di scura sabbia lavica e' contornato da cespugli, alberelli e fiori. Dopo quasi non averli considerati, la vista si focalizza meglio su dei fiori color viola chiaro: sono orchidee in miniatura che crescono dove l'umidita' delle nubi e' piu' consistente. Il verde intenso delle montagne, la vegetazione bassa, il cielo azzurro solcato da cumuli nuvolosi costanti che scompaiono dopo essere entrati nella bocca del vulcano, fanno quasi vedere panorami del nord della Scozia e di altre latitudini.
Dopo aver superato un coppia di stranieri arrivati al lago in taxi, le nuvole scompaiono, riportando il sole. Le cime piu' alte a nord che superano facilmente i 4000 metri invece, con il passare dei minuti, sono sempre piu´ invisibili. Si nota che la bassa vegetazione arborea scompare sopra i 3800 metri, lasciando piena liberta' all'erba.
A 3300 metri di altitudine, su una parete di media altezza del vulcano, la visione sul lago di Cuicocha diviene piu' unitaria. Steli d'erba fitta e bassi cespugli adornati da fiori bianchi e rosa scendono a picco nelle acque blu-cristallo della laguna, sfidando la pendenza e le raffiche di vento umido. Prima di salire ancora, il cammino
passa verso l'esterno del vulcano, scendendo un poco e nascondendo agli occhi la vista del lago. La pendenza aumenta davanti a quella che sembra la cima piu' alta della costellazione del cratere vulcanico. A quota 3450 si puo' ammirare dall'alto il lago dentro in cratere di Cuicocha. Le isole costituite da due coni di lava ciascuna
fuoriescono incredibimente dalla massa d'acqua, quasi che il vulcano voglia rivendicare nel tempo la sua antica supremazia, mentre masse nuvolose escono ed entrano senza sosta nella sua grande bocca. Intanto le alte cime alle mie spalle si stanno completamente coprendo.
Dopo due ore e mezzo completo il sentiero, tra boschi di pini e vento che trasporta lontane particelle d'umidita'. E' ora di raggiungere la strada asfaltata che porta a Quiroga e poi a Otavalo, in attesa di un raro autobus o altro mezzo di trasporto.

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martedì 11 agosto 2015

Percorrendo la Panamericana verso sud

Il gruppo di rumorosi turisti colombiani hanno cominciato a fare rumore nell'hotel dalle 4 del mattino. Alle 6 sono in strada, sulla strada lastricata del bel centro storico di Popayán, diretto verso il terminal. Le vie vuote, da poco la luce dell'alba, il problema della sicurezza in Colombia. La mente si consola con un ritmo dall'ultimo lavoro del britannico Lapalux.
Arrivo alla 6:20 al terminal. Niente. Il minivan diretto a Pasto e' completo. Impreco.
Alle 6:50 parto con un minibus non esattamente dell'ultimo modello. Quasi tutti i passeggeri hanno i tratti somatici degli indigeni andini. "It's over, I am older", recita il pezzo di Lapalux. Velocemente prendiamo la Panamericana inforcando la direzione sud.
Prospettiva di viaggio piu' che discreta: e' mattina, siamo a 1800 metri di altitudine, raggiungeremo i 2500 di Pasto, il bus senz'aria condizionata forse non sara' un problema. Forse. Invece subito scendiamo diritti diritti verso il caldo, addentrandoci tra valli e montagne. Nonostante sia domenica, grossi camion sbuffanti fumo nero rallentano l'odiata discesa. Metto le cuffie cercando brani che infondano buon umore. Il ragazzo simpatico vicino a me con il quale ho scambiato due battute si addormenta.
Verso i 1100 metri, quasi l'altitudine di Cali, dopo solo un'ora di viaggio, facciamo una pausa; evidentemente l'autista vuole fare colazione. Pace. Mi concentro sul panorama circostante ricco di alberi tropicali che esprimono tutta la loro grandezza, espandendosi in alto ed in largo. In mezzo a questi boschi ci sono alberi dai fiori rosa e rosso vivo, quest'ultimi somiglianti alle bellissime piante che portano il nome di gallito o ceibo. Accanto alle rare fattorie sorgono piccole piantagioni di banani, mais, yuca e grossi alberi di mango.
La discesa del bus sembra non finisca mai, incuneandosi tra stretti tornanti e vegetazione sempre piu´arida. Il sudore corporeo comincia ad esprimersi con intensita'. Dopo essersi riaddormentato, il ragazzo accanto a me si sveglia e mi chiede se siamo arrivati ad un dato paese. Gli rispondo che non lo so. Evidentemente il rumore del bus gli ha in precedenza impedito di scovare il mio accento straniero. L'informo che siamo a 700 metri di altitudine e nel mezzo di una valle quasi desertica. Lui annuisce assonnato. L'autobus percorre per diversi chilometri questa valle costituita da alberi bassi, cespugli, cactus e terra gialla.  Nel mezzo scorre un torrente, un alieno nel secco desolante. Poche le abitazioni.
Il sudore scompare risalendo oltre 1700 metri sopra il livello del mare. Il ragazzo dallo sguardo gentile e' gia' sceso da un pezzo.

Dopo circa sei ore di viaggio ed aver oltrepassato un passo a 3100 metri, raggiungiamo Pasto. Come dice il nome (pasto = erba, pascolo) l'umidita' e la pioggia raggiungono con generosita' la citta' rendendo i boschi e la vegetazione di un verde intenso. La Panamericana prosegue verso sud, verso Ipiales e la frontiera con l'Ecuador. 
 
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