mercoledì 8 luglio 2015

I 3000 metri della valle di Cocora, Colombia

La nuova escursione nell'incantevole valle andina ha oggi una meta molto ambiziosa: raggiungere la finca el Bosque, a 7,2 chilometri dalla localita` El Planchon, 2430 metri di altitudine, dove mi trovo ora. Un ponte costituito da due grossi tronchi di legno e un parapetto attraversa il torrente Quindío, portandomi nel bosco subtropicale che si rannicchia nei luoghi piu' bassi e riparati.
E' prima mattina ed in mano ho una mappa disegnata da un locale che mi ha spiegato come arrivare alla fattoria

Il bosco, dopo aver passato le palme tipiche della zona, le palme del Quindío. Non esistono mappe  del parco della valle di Cocora. Il personale dell'ufficio informazioni della riserva consiglia di prendere una guida per inoltrarsi nei sentieri meno battuti e affatto segnati. Questo e' uno di quelli.
Il cammino rimane nell'ombra fino ad un terzo attraversamento del torrente. Sui 2650 metri appaiono pini dai lunghi e morbidi aghi. Forse perche' solo solo e mi muovo silenziosamente sugli aghi caduti a terra, sicuramente per fortuna, seminascosto tra felci e altra bassa vegetazione si aggira a quattro metri da me un vecchio ricordo della querida Bolivia tropicale http://travel-ontheroad.blogspot.com/search/label/Bolivia%20tropicale , un animale  dal muso allungato, con le orecchie d'orso e la coda simile ad una marmotta. I boliviani lo chiamano Tejón, un mammifero della famiglia dei procionidi. Magari perche' si trova qualche metro sopra il sentiero, l'animale si allontana dall'umano con tranquillita', preoccupato piu' per la ricerca del cibo che d'altro. Quando proseguo il ripido sentiero lo sento ancora raspare nel sottobosco. Proprio adesso mi torna in mente un altro incontro casuale avvenuto ieri: stavo camminando quando sento un rumore, simile a quello del calabrone, che si aggira tra i fiori di un alberello, mi giro ed invece vedo un minuscolo colibri'.
A 2910 metri raggiungo il bivio che porta alla finca Santa Lucia; il vento e' forte. Sotto di me l'ingarbugliata ed impervia valle del torrente Quindío, sopra cime di 4000 metri che spradicamente si svelano dalle nuvole. Alberi simili agli aceri dalle foglie quasi marroni, costellano i pendii piu´ esposti. Quando sono costretto a scendere di
cento metri per guadagnare un'altra montagna mi accorgo che la meta sta diventanto impossibile, anche perche´ voglio tornare presto. Procedo comunque spedito nel sentiero tracciato dagli animali rimanendo lungo il crinale della montagna.
L'altimetro segna 3180 metri proprio ad un prato dal quale posso individuare la finca el Bosque: si trova sotto di me e ancora piu' a nord. Su queste distese verdi crescono dei cespugli dai fiori dai colori blu-violetto, forse rododendri. Mi godo il panorama sfidando il vento, solo, senza aver
incontrato umani, con il sole forte e le nuvole che si fanno sempre piu' imponenti.

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giovedì 2 luglio 2015

Prima escursione nella valle di Cocora, Ande Colombiane

Passo i margini di una fattoria, attraverso un ponte dove sotto passa un torrente e sono nell'entrata della valle. Di fronte si apre una visione di pascoli verdi tenuti come prati inglesi, boschi che dalle cime scendono a picco in basso, fattorie, pacifiche mucche, cavalli liberi e soprattutto una delle principali attrazioni del luogo: le palme da cera native proprio di questa area, il Quindío. Esse spuntano dalla terra slanciandosi diritte e affusolate, rivendicando il diritto di conquistare il cielo. E' davvero strano vedere i boschi, i cespugli, i prati di montagna, punteggiati da questi altissimi tronchi sulla cui sommità svetta un ciuffo di foglie.
Il sentiero che porta in localita' Estrella de agua, dopo essere stato abbondantemente toccato dal sole, si infila basso nel solco del torrente. Sono piu' di due settimane che non piove ma qui, causa il passaggio di turisti, di mandrie di bovini e naturalmente l'umidita', a tratti il percorso diviene fangoso. Il bosco e' colmo di piante tropicali di diverso genere, oscuro e pregno di vita. La foresta e' anche infestata da umani di diversa origine che, come me, vogliono esplorare questa famosa valle. Ponti tibetani, da attraversare rigorosamente uno alla volta, sovrastano il corso d'acqua. Quando i miei sandali stanno cominciando a cedere nell'umidita' della fanghiglia, ecco che vedo il bivio: avanti si va a Estrella de agua, a sinistra si arrampica un sentiero che porta alla finca de la Montaña. Prendendo la seconda via magicamente rimango solo con la natura che lentamente si modifica con l'altitudine. Verso i 2700 metri compaiono i primi sempreverde. Sono pini ed essenze vigorose della famiglia dei cipressi, mischiate ad una variegata scelta di piante e cespugli sconosciuti. Salgo velocemente con il panorama vegetale che assomiglia sempre piu' a quello alpino, ma no... in mezzo al bosco di pini ecco che spuntano alcune basse
palme. Quasi sotto la finca de la Montaña ricompaiono i primi prati. Qualche cane svogliato abbaia avvertito dalla mia presenza, poi, dall'alto, si affaccia brevemente una figura femminile. La fattoria della montagna e' sita a 2860 metri di altitudine ed e' contornata da boschi e qualche prato. Da lassu' finalmente posso godere del panorama di una parte della valle di Cocora. Di fronte si innalza un picco ricco di vegetazione fin quasi al suo culmine, a sinistra si sviluppa lentamente verso l'alto la vallata che qualche buon amico definerebbe un buco. Il cielo d'America e' come sempre eccezionale, anche qui tra le Ande e l'umidita' che viene dal Pacifico: nuvole veloci dalle cime piu' alte scendono nel loro perfetto disordine verso valle, girando attorno a guglie, picchi e panettoni verdi per poi sparire da qualche parte. 
Nella finca de la montaña e' ancora il sole che predomina, supportato da una brezza da nord. Il sudore scompare velocemente ma non si volatilizza il mio interesse. La fattoria di legno colorato a bianco e arancione dal tetto basso di tegole e' contornata da un'immensa quantita' di fiori e cespugli colorati. Proprio su questi fiori, con
stupore, vedo librarsi piccoli volatili dal piumaggio azzurro-verde argenteo, quasi fossero animali provenienti da un mondo fantastico: sono colibri'. Le loro ali invisibili e veloci si destreggiano con precisione da un fiore all'altro.
Rimango diverso tempo incantato da questi volatili, fino a quando decido di prendere la via de la discesa attraverso un fitto bosco di sempreverdi ed eucalipti. Nel scendere incontrero' diverse altre specie interessanti, ma queste amenita' rimaranno a delizia del sottoscritto.

domenica 14 giugno 2015

Il tempo svanisce nel terminal Daya

Arrivo alle 15:00 nel terminal dei bus di Makassar. Ieri ero nell'umida e cristiana città di Manado. Qui è secco e pieno di minareti.

Il bus diretto a Makassar city mi lascia all'incrocio per il terminal su una strada polverosa e trafficata.  Il ragazzo del mezzo di trasporto mi consegna lo zaino e mi indica la via: un chilometro. Quasi subito taxisti di vario genere chiedono insistentemente dove vado. Non rispondo, anzi vedo che nell'angolo opposto all'incrocio si sviluppa un mercato della frutta, quindi dico che vado al mercato. Chiedo i rambutan ma hanno solo longan. Scherzo con un paio di giovani fruttivendoli dopo aver fatto gli acquisti.

Il terminal Daya è una struttura bassa, piuttosto grande, contornato da edifici vuoti non conclusi ed enormi parcheggi con rari alberi. Attorno il nulla della periferia quasi disabitata. Da Daya partono gli autobus per il TDanord dell'isola. In quel primo pomeriggio pare una costruzione sovradimensionata e vuota. Cerco subito l'ombra per placare il sudore della camminata.
Ma nel mentre una persona posa lo zaino su una panchina di legno, dopo il traffico e la polvere, il viaggio da Manado, ancora sette ore di bus notturno per raggiungere Rantepao, con l'orologio che segna 37 gradi di temperatura, non passano quaranta secondi che, ecco, arrivano dal nulla un paio di venditori di biglietti.  La persona in questione, prima non risponde, poi inventa una destinazione a caso. La strategia funziona perché i procacciatori di clienti, disorientati, non vendono biglietti di quel tipo. Il caldo annichilisce tutti. Ma la pace dura poco.

Dopo aver acquistato il biglietto per le montagne di Tana Toraja mi infilo in uno dei pochi uffici con l'aria condizionata a chiacchierare con una signora. Quindi vago nell'assonnato terminal e, nella sua parte più ventilata, vedo un chiosco con degli uomini che fumano in silenzio. Saluto e chiedo se posso sedermi su una panca. Offro loro i longan precedentemente acquistati. Tranne il proprietario del chiosco, le altre persone vicino a me sono taxisti di jeep.  Forse sarà la brezza che raggiunge a tratti la pelle, o la luce del sole che si fa via via più obliqua, in ogni caso da quel momento comincio ad assaporare la lentezza del tempo. Colgo il vagare dei passeggeri in attesa di un provvidenziale mezzo di trasporto, osservo silenziose donne velate e uomini che fumano lentamente. Poi ci sono i gatti: un maschio dominante bianco e nero, dei giovani dal pelo cortissimo e le femmine. Ogni tanto si avvicina con circospezione un maschio adulto che viene sistematicamente scacciato dal bianco e nero. Li vedo stesi all'ombra, muoversi flemmatici mantenendo le distanze fra loro, e, come nei cartoni animati, entrare nei bidoni della spazzatura uscendone impettiti con qualcosa da mangiare. Nessuno ha più classe dei felini in questo mondo complicato.
Mangio tranquillo i longan, gustando il tempo che non passa. Ed i procacciatori di biglietti, le strade polverose e sporche, il caldo che mai finisce, la stanchezza, lo spaesamento di un nuovo posto, i bus scassati colmi di persone, come in un pezzo di K. Washington che dal presente riceve la linfa di ieri, ecco che torno pacificamente verso me stesso, ancora una volta a confronto con una nuova coscienza dell’identità.
Colgo nel disarmante anonimato del terminal Daya qualcosa che non avevo mai trovato.

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sabato 23 maggio 2015

Petronas T

KL

 
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