domenica 14 giugno 2015

Il tempo svanisce nel terminal Daya

Arrivo alle 15:00 nel terminal dei bus di Makassar. Ieri ero nell'umida e cristiana città di Manado. Qui è secco e pieno di minareti.

Il bus diretto a Makassar city mi lascia all'incrocio per il terminal su una strada polverosa e trafficata.  Il ragazzo del mezzo di trasporto mi consegna lo zaino e mi indica la via: un chilometro. Quasi subito taxisti di vario genere chiedono insistentemente dove vado. Non rispondo, anzi vedo che nell'angolo opposto all'incrocio si sviluppa un mercato della frutta, quindi dico che vado al mercato. Chiedo i rambutan ma hanno solo longan. Scherzo con un paio di giovani fruttivendoli dopo aver fatto gli acquisti.

Il terminal Daya è una struttura bassa, piuttosto grande, contornato da edifici vuoti non conclusi ed enormi parcheggi con rari alberi. Attorno il nulla della periferia quasi disabitata. Da Daya partono gli autobus per il TDanord dell'isola. In quel primo pomeriggio pare una costruzione sovradimensionata e vuota. Cerco subito l'ombra per placare il sudore della camminata.
Ma nel mentre una persona posa lo zaino su una panchina di legno, dopo il traffico e la polvere, il viaggio da Manado, ancora sette ore di bus notturno per raggiungere Rantepao, con l'orologio che segna 37 gradi di temperatura, non passano quaranta secondi che, ecco, arrivano dal nulla un paio di venditori di biglietti.  La persona in questione, prima non risponde, poi inventa una destinazione a caso. La strategia funziona perché i procacciatori di clienti, disorientati, non vendono biglietti di quel tipo. Il caldo annichilisce tutti. Ma la pace dura poco.

Dopo aver acquistato il biglietto per le montagne di Tana Toraja mi infilo in uno dei pochi uffici con l'aria condizionata a chiacchierare con una signora. Quindi vago nell'assonnato terminal e, nella sua parte più ventilata, vedo un chiosco con degli uomini che fumano in silenzio. Saluto e chiedo se posso sedermi su una panca. Offro loro i longan precedentemente acquistati. Tranne il proprietario del chiosco, le altre persone vicino a me sono taxisti di jeep.  Forse sarà la brezza che raggiunge a tratti la pelle, o la luce del sole che si fa via via più obliqua, in ogni caso da quel momento comincio ad assaporare la lentezza del tempo. Colgo il vagare dei passeggeri in attesa di un provvidenziale mezzo di trasporto, osservo silenziose donne velate e uomini che fumano lentamente. Poi ci sono i gatti: un maschio dominante bianco e nero, dei giovani dal pelo cortissimo e le femmine. Ogni tanto si avvicina con circospezione un maschio adulto che viene sistematicamente scacciato dal bianco e nero. Li vedo stesi all'ombra, muoversi flemmatici mantenendo le distanze fra loro, e, come nei cartoni animati, entrare nei bidoni della spazzatura uscendone impettiti con qualcosa da mangiare. Nessuno ha più classe dei felini in questo mondo complicato.
Mangio tranquillo i longan, gustando il tempo che non passa. Ed i procacciatori di biglietti, le strade polverose e sporche, il caldo che mai finisce, la stanchezza, lo spaesamento di un nuovo posto, i bus scassati colmi di persone, come in un pezzo di K. Washington che dal presente riceve la linfa di ieri, ecco che torno pacificamente verso me stesso, ancora una volta a confronto con una nuova coscienza dell’identità.
Colgo nel disarmante anonimato del terminal Daya qualcosa che non avevo mai trovato.

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sabato 23 maggio 2015

Petronas T

KL

giovedì 30 aprile 2015

Sotto il vulcano Manado Tua i pesci danzano (2)

Dove vanno i pesci blu con le pinne che fluttuano lunghe nell'acqua? Forse sono stati da poco a rendere omaggio al vulcano Manado Tua e alle sue correnti speciali. Saranno ormai una quindicina di minuti che vago tra picchi, vallate e dirupi delle acque di Bunaken, in direzione del vulcano, e la processione di blu redtooth triggerfish continua senza apparente termine.
La giornata è serena e calda, ma nell'acqua si sta bene. Sempre. Dopo un'ora di cammino per raggiungere il pontile di Alung Banua sono immerso nell'elemento della quasi inspiegabile levità, nuotando piano tra coralli che si inabissano nell'imperscrutabile profondità del mare.  Muovendosi facendo il minimo rumore, senza pinne e altri orpelli, dopo un certo allenamento l'udito si affina: riesco a udire scatti improvvisi di pesci, il loro raspare con la bocca sulla roccia per trovare alimento, gorgogliare di bollicine che dal fondo si liberano verso l'alto, e ad avvertire il pericoloso rumore di qualche motoscafo di passaggio. La grande barriera che guarda in fronte l'isola vulcanica di Manado Tua è una meta importante per i sommozzatori. Odo ancora l'intimo mio respiro, i sommessi mugugni e la voce mentale che comunica la passione.
Ma ecco che incontro qualche isolato esemplare di stripe surgeonfish colorato orizzontalmente da strette e alternate fasce blu, gialle e nere. I miei pesci favoriti. Un inchino è dovuto ancora una volta al Moorish Idol e al suo fluttuante vessillo bianco.  Questa parte della costa è meno affascinante di quella orientale, probabilmente perché nel passato i pescatori qui si sono maggiormente accaniti. Accelero il mio nuotare in direzione del vulcano che fatica ad avvicinarsi.

Dopo un'ora di nuoto sono quasi a ridosso di una grande boa che segna la svolta verso il canale di mare che separa Bunaken da MTVManado Tua. Sono arrivato. Il luogo è deserto tranne una barchetta che trasporta due turisti locali muniti di ombrello parasole. Dalla barca affusolata il panorama deve essere straordinario: da un lato la costa bassa piena di mangrovie dalle radici denudate dalla bassa marea e a poche centinaia di metri il perfetto vulcano coperto di vegetazione le cui pareti si gettano nell'acqua. E poi sotto il liquido limpido, diafano, fermo, che permette di osservare sé stessi su una barca di legno sospesa nel nulla della trasparenza e il mondo subacqueo sottostante.
Giungendo al mio parziale periplo non ho potuto non notare che in questo angolo dell'isola la barriera corallina si allunga molto verso l’esterno. Con la bassa marea ora posso scivolare su decine e decine di metri quadrati di cespugli di antozoi in perfetto stato di salute, pesci timidi che trovano conforto e riparo tra coralli con forma e colore dei più disparati. Esploro ancora una volta emancipato dal tempo, conscio che la via del ritorno è lunga.
In questo momento dove brama e fervore si sommano alla stanchezza, le iridi dietro il vetro della maschera cominciano a comprendere il perché della leggenda locale che narra le meraviglie di quest'angolo di mar di Celebes: nello stretto che separa il vulcano Manado Tua vedo centinaia di redtooth triggerfish blu dalle code che oscillano, i grandi pesci unicorno che sembra provengano dalla preistoria, i butterflyfish dai mille colori, gli anemoni con i clownfish, i coralli che quasi toccano il cielo nella bassa marea. L’insieme,  nella sua straordinaria armonia, è un tributo a Madre Natura, ma questo posto ha qualcosa in più... Forse sono le correnti lievi che si incrociano, magari un sotterraneo fluido ancestrale proveniente dal vulcano, o il luogo nella sua complessità fa intuire di trovarsi in una condizione di grazia. Sotto il vulcano i pesci ondeggiano a mo' di danza e, accanto a loro, una figura umana tenta goffamente di imitarli.

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giovedì 16 aprile 2015

Children of central Bangladesh

CCBD

 
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