giovedì 18 dicembre 2014

Ikan Durian, ovvero Tutti veniamo da Lì

Ora conosco il pesce coccodrillo che vagabonda nelle acque cristalline di Barracuda beach. Mentre combattevo la lieve corrente, i suoi occhi neri sporgenti mi guardavano impassibili. Non un movimento, non una nota d'impazienza. Tantomeno di paura. Il crocodilefish era a meno di due metri da me, mimetizzato nell'antica roccia corallina. L'istinto mi diceva che non avrebbe attaccato fino a quando mi fossi limitato a fluttuare leggero nell'acqua di sopra. Il mare di Kadidiri offre spettacoli inenarrabili.

La bassa marea è quasi al suo culmine prima di mezzogiorno e fatico a districarmi tra coralli che quasi lambiscono la superficie. Poi trovo la via e la nebulosità della sabbia costiera mossa dalle onde che si ritraggono. Lasciando il liquido che fa aleggiare, il corpo ne esce ingobbito e pesante. Mentre tolgo la maschera, percorso da brividi di freddo, con le costole sporgenti ed i polpastrelli e le dita dei piedi raminghi bianchi di umidità, le mie fedeli guardie del corpo, i cacciatori dei mastodontici granchiIMG_6830a delle noci di cocco, i due cani color nocciola alzano la testa dalla sabbia color neve e le loro code cominciano a muoversi. Sorrido. Come in un disco di Dorian Concept, presto tutta la potenza del sole equatoriale riscalderà il corpo che conosce (ama) l'acqua ed il bello che si trova al suo interno. Torno all'ombra del siete copas. Sulla destra della spiaggia deserta è arrivata una piccola barca. Una barca da pescatore.

Un uomo basso esce dall'unica capanna presente a Barracuda beach e mi saluta. Indosso la camicia e il cappello e gli vado incontro. I cani mi seguono senza voglia.
L'uomo senza nome è minuto e tozzo. Porta capelli neri folti tagliati a spazzola. Avrà meno di trent'anni ma ne dimostra almeno una quindicina in più. "Ti ho visto ieri nuotare", mi dice.
"Sì, anche oggi."
La sua barca a bilanciere è composta da due gusci affilati di legno grezzo attaccati tra loro. Il vecchio motore pare abbia compiuto molta strada. L'uomo mi racconta che è un pescatore e ha casa nel villaggio di Wakai, inoltre gestisce la raccolta delle noci di cocco in questa zona. Ha un'altra baracca all'interno dell'isola dove ogni tanto pernotta. Mi racconta molte cose, come quando una sera si stava avviando dalla spiaggia verso la sua abitazione saltuaria quando sul sentiero e nell'oscurità vede un'enorme serpente chiaro, oppure dei rumori notturni dei granchi del cocco. Racconta che l'anno scorso ha fatto dormire in questa spiaggia alcuni giovani occidentali e ha cotto per tutti il pesce accanto al falò.
Gli dico che ho appena visto un crocodilefish. L'uomo senza nome mi spiega che da quelle parti viene chiamato Ikan Durian, pesce durian, il pesce impossibile dai tanti aculei simili a quelli del frutto più straordinario, il Re dei frutti equatoriali. Tutti veniamo da lì.
In quel momento di instabile empatia, con due fratelli cani che gironzolano attorno alla capanna, con la marea senza colore del mare delle Molucche in pieno riflusso, sotto l'immutabile arco solare nel mezzo della Terra, il pescatore si accoscia e traccia sulla sabbia un circolo e alcuni punti. "Vedi, questo è il mondo, un punto sei tu, gli altri siamo io, i pesci, i cani e gli altri esseri umani", mi spiega, "tu sei bianco, io sono scuro, i pesci sono colorati, gli alberi sono verdi... ma il Creatore ci ha fatti tutti uguali ai suoi occhi."
Io assento.
Il pescatore dell'ecumenismo laico,  animista, poi disegna sulla sabbia una specie di nuvola che colloca sopra i disegni precedentemente fatti: "Vedi, tu vivi in Europa, io nelle Togean, ma sono sicuro che tutti veniamo da qui", dice indicando la nuvola.
Tutti veniamo da Lì.

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domenica 30 novembre 2014

Il crocodilefish nella spiaggia dei barracuda

Sotto la grande indian almond si sta bene. Il sole equatoriale fustiga ogni cosa: le palme da cocco, i cespugli dalle foglie carnose, le rocce chiare della scogliera attorno la spiaggia. Il disco implacabile abbaglia,kd3 tuffando raggi nella marea che si ritrae, definendo attorno a me la lattea, minuta, sabbia di Barracuda beach.
I due cani nocciola stesi a pancia in giù con le gambe aperte riposano sognando un altro mondo. Tutti veniamo da lì.
Al largo della baia ogni tanto passa una barca di pescatori. Quelli con le imbarcazioni più grosse si muovono al di là dell'isolotto che mi trovo di fronte. L'isola davanti a Barracuda beach è un peduncolo di corallo, un microscopico pezzo di roccia e terra sulla cui sommità svettano alberi indomiti.
Pochi minuti e sarò in acqua. Il sudore accumulato per aver attraversato una parte di Kadidiri è ormai cosa lontana. Appendo ad un ramo il sacchetto di plastica contenente il cappellino e l'acqua; la camicia su un altro ramo dell'albero. Rimane il corpo magro (e nudo), la passione, una maschera. Entro nel liquido cristallino alla mia sinistra, dove la lingua di sabbia s'incontra con le scogliere grondanti di vegetazione: lì l'acqua è leggermente più profonda.vd
All'inizio le rocce sfiorano il petto, poi mi muovo meglio. La meta di oggi è girare attorno a quello spuntone di isolotto a una sessantina di metri al largo della spiaggia. L'immettersi in un altra dimensione dona alla pelle una sensazione estatica, quasi superumana.

Nonostante i 29 gradi dell'acqua, dopo un'ora di nuoto cominciano a girare brividi di freddo insistenti. Sono contento: sul lato sinistro dell'isolotto, dove ci sono i coralli migliori, ho visto un majestic angelfish e una coppia di impassibili longfin batfish. Di barracuda neanche l'ombra, solo i ben più piccoli needlefish dai denti aguzzi.  Per alcuni minuti sono stato poi circondato da migliaia di piccoli pesci argentei: facevano il giro attorno al mio corpo, trasmettendo alle iridi tanti scomposti, riflessi, raggi solari. Ero assediato da quella perfetta confusione animale che mi regalava indescrivibili sensazioni primordiali, un caleidoscopio naturale di beatitudine. Tutti veniamo da lì.

Mentre esploro dei grossi coralli nella via del ritorno,  l'occhio si focalizza su qualcosa di strano. A circa due metri di profondità, su una roccia grigio-marrone, nell'acqua limpidissima delle undici del mattino, quasi in piena bassa marea, individuo un protuberanza dello stesso colore del corallo che assomiglia a qualcosa di vivente. E' un essere vivente. Riconosco gli occhi scuri e sporgenti, pinne ventrali schiacciate sul fondale, quelle dorsali arricchite da aculei. Un pesce a forma di goccia schiacciata con il muso piatto come quello di un papero malefico e gli occhi a metà tra rospo e coccodrillo. Il suo colore è poco definibile essendo composto da macchie grigio-giallo-marrone. Lui guarda immobile il mondo che passa, sicuro del suo mimetismo e delle sue difese naturali. Se potessi fare un salto fuori dall'acqua, lo farei. Un salto di gioia. Sotto di me c’è un crocodilefish. Lo osservo per minuti contrastando la lieve corrente marina che trasporta piccole porzioni di vegetazione e qualche medusa solitaria.  Poi torno.
Ora conosco il percorso per arrivare dai due cani nocciola senza incappare in taglienti coralli.
Alzando lievemente il capo noto che una barchetta ha fatto rotta verso la mia insenatura.

giovedì 6 novembre 2014

Barracuda beach

Il sentiero per arrivare a Barracuda beach non è proprio semplice. Parte subito ripido da dietro le case in legno che si affacciano sul mare di Kadidiri. Un ragazzo locale mi ha spiegato che devo mantenere il sentiero principale, ed una volta arrivato ad una grossa pozza d'acqua dolce prendere la destra.
La giornata è tersa e senza vento. Pur essendo di prima mattina, dopo la breve salita sono sudato. Anche oggi i due intrepidi cani nocciola dei miei ospiti mi seguono, ma con poca voglia. In testa mi gira un motivo dei The Cinematic Orchestra. Buone vibrazioni. Erbe alte ed umide entrano tra le gambe e le braccia come spade leggere e sinuose, ostacolando l'ascesa. Erbe equatoriali dai bordi seghettati e taglienti. Ieri sera ha piovuto e dunque il sentiero scuro è ancora più scivoloso del solito. Mi aggrappo con la mano libera a qualche radice sporgente o fusto di cespuglio.
L'entroterra di Kadidiri è inizialmente disseminato da vecchie piantagioni di palma da cocco e da sentieri angusti che penetrano la foresta. I due cani sono tornati vispi: entrano nella boscaglia, fiutano, cercano, osservano. Ben presto lascio le palme coltivate per entrare nel bosco. Qui l'aria diventa pesante seppure la temperatura non sia elevata: l'umidità la si può conoscere e palpare. Odore di zolfo e di materiale vegetale che lavora e si disintegra in poco tempo. Piccole zanzare fanno la corte alla pelle che tenta inutilmente di espellere sudore. Accelero il passo anche se vorrei Fffermarmi ad osservare meglio gli alberi, i fiori rossi che si arrampicano sui tronchi, gli insetti. Presto arrivo alle pozze di acqua dolce. Il sentiero qui si biforca. Costeggio gli specchi d'acqua fangosa e poi prendo il sentiero a destra. I cani scendono a bere.

Dopo aver raccolto qualche lime da una pianta spuntata dal nulla vedo alberi di banano e poi ancora palme da cocco. Sento di essere vicino alla meta. A sinistra mi protegge una collina ripida, forse l'inizio di una scogliera che si butta in mare.
Una brezza leggera che si insinua tra i tronchi alti mi avvisa che lo spazio aperto è prossimo. Apro la camicia per assorbire l'aria che viene del mare. Dall'alto ammiro la costa contornata da alberi e cespugli, da un mezzo anello di nivea sabbia e da un mare incastonato di azzurro. Barracuda beach. Scendiamo nella piccola spiaggia piano, assaporando con le iridi la Natura. Le scogliere laterali, gli alberi e le liane che sporgono da loro pericolosamente, la sabbia incredibilmente fine, l'isolotto minuscolo che spunta dall'acqua cristallina, sono lì. Tutto questo basta abbondantemente.
Ad una lato della spiaggia dei barracuda noto una casupola di legno. Mi avvicino ma non vedo nessuno. Sono felicemente solo, conBB due dolci cani esploratori. All'ombra di quella che nella querida Bolivia orientale chiamano siete copas il sudore del corpo ben presto si volatilizza. Le due fedeli guardie del corpo color nocciola scavano delle buche nella sabbia per riposarsi al fresco. Ogni tanto si alzano per mettere il muso nelle tane di innocui granchi, piccole, piccole, copie dei giganti granchi del cocco che vivono più in dentro, nella buia foresta.
La marea regredisce, lasciando tra le onde deboli alimento per un martin pescatore dal becco pesante e dai colori vistosi. Ancora non so che tra quei lievi flutti di acqua diafana presto incontrerò il mio primo crocodilefish.

sabato 11 ottobre 2014

I cacciatori dei granchi delle noci di cocco

I granchi hanno paura di due cani di media grandezza? La risposta è sì, a meno che si tratti di granchi del cocco. Proprio con questo tipo di crostacei ho fatto di recente conoscenza. Per non parlare del rischio concreto di essere azzannato da un timido sea banded snake. Ma questa è una storia che appartiene alle immersioni in Tanjung Karang, a Palu.

E' la prima mattina sull'isola di Kadidiri, Togean. Nel sacchetto di plastica bianco ho infilato maschera, boccaglio e una bottiglia d'acqua. Con il sapore del buon caffè di Sulawesi mi inerpico per uno stretto sentiero, e son subito nella foresta equatoriale. Inaspettatamente i due cani dei miei ospiti cominciano a seguirmi. Sono due fratelli dal manto nocciola, giovani e veloci, un po' cani da caccia, un po' altro. L'obiettivo (mio) è quello di raggiungere una spiaggia isolata; l'obiettivo (dei cani) è fare una passeggiata. Tutti vogliamo esplorare.
Le infradito a fatica percorrono la strada di terra scura e compatta. Si aggrappano ad antiche pietre di corallo per non scivolare. La foresta offre il suo straordinario spettacolo: alberi sconosciuti dai tronchi chiari, liane, palme poderose dalle foglie fitte si innalzano dall'oscurità. Il cuore batte al ritmo dei miei passi, al frinire lamentoso di cicale, al richiamo imperscrutabile di uccelli solitari. Un cuore umido a pochi chilometri dalla linea dell'equatore.
Dopo aver oltrepassato una collina, la foresta diviene pianeggiante ed acquitrinosa, con alberi dalle radici semiaeree che attingono dall'acqua la forza E' proprio in questa zona paludosa che ricompaiono i due cani nocciola, e tra qualche secondo farò conoscenza con i giganteschi granchi del cocco. Il sentiero costeggia grandi pozze di acqua dolce, facendomi ad un tratto notare una serie di grossi buchi nel terreno. "Saranno roditori", dico a me stesso. Ma le strane cavità hanno uno sviluppo stranamente verticale. Oltrepasso uno di questi antri neri e vedo qualcosa muoversi al suo interno. Mi blocco quando realizzo parzialmente cosa sto trovandomi di fronte. Una serie di zampe marroni, pelose come quelle di una tarantola, grosse, molto grosse, sono rannicchiate, quasi attaccate tra loro all'interno della tana. Il collegamento con quello letto da un libro ormai è immediato. Sono granchi del cocco,  http://it.wikipedia.org/wiki/Birgus_latro animali di alcuni chili di peso, piuttosto rari, le cui chele  dicono possano rompere i gusci delle noci di cocco. Sicuro è che se infilassi nel buco un dito o qualcosa di più consistente difficilmente rimarrebbe attaccato al resto del corpo.
Nel frattempo gli amici cani cominciano ad interessarsi alle tane dei paguri giganti, a volte mettendo dentro il naso per odorare la loro presenza. Cani temerari. Con il sudore che inonda la camicia decido di gironzolare attorno questi buchi oscuri con la speranza di vedere qualcosa di più. "Sono animali notturni", penso, quando ecco che i cani cominciano ad abbaiare, puntando qualcosa. Mi avvicino e sono subito colpito da un paio di chele decisamente grosse dietro (e sotto) le quali si difende il granchio stanato. Con una mossa fulminea il crostaceo si ripara le spalle portandosi a ridosso di una radice sporgente. I due fratelli circondano la preda a distanza di sicurezza; il pericoloso gioco finisce quando il granchio marrone trova un pertugio sotto la radice, così tutti ne escono indenni.
KaddDopo il significativo incontro è tempo di immergersi nelle cristalline acque di Kadidiri. La spiaggia è vicinissima, protetta da scogliere di roccia straripante di vegetazione. I cani si riposano sulla sabbia all'ombra di un gigantesco siete copas (indian almond), in attesa che il mio volare sopra coralli abbia fine.

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