domenica 30 novembre 2014

Il crocodilefish nella spiaggia dei barracuda

Sotto la grande indian almond si sta bene. Il sole equatoriale fustiga ogni cosa: le palme da cocco, i cespugli dalle foglie carnose, le rocce chiare della scogliera attorno la spiaggia. Il disco implacabile abbaglia,kd3 tuffando raggi nella marea che si ritrae, definendo attorno a me la lattea, minuta, sabbia di Barracuda beach.
I due cani nocciola stesi a pancia in giù con le gambe aperte riposano sognando un altro mondo. Tutti veniamo da lì.
Al largo della baia ogni tanto passa una barca di pescatori. Quelli con le imbarcazioni più grosse si muovono al di là dell'isolotto che mi trovo di fronte. L'isola davanti a Barracuda beach è un peduncolo di corallo, un microscopico pezzo di roccia e terra sulla cui sommità svettano alberi indomiti.
Pochi minuti e sarò in acqua. Il sudore accumulato per aver attraversato una parte di Kadidiri è ormai cosa lontana. Appendo ad un ramo il sacchetto di plastica contenente il cappellino e l'acqua; la camicia su un altro ramo dell'albero. Rimane il corpo magro (e nudo), la passione, una maschera. Entro nel liquido cristallino alla mia sinistra, dove la lingua di sabbia s'incontra con le scogliere grondanti di vegetazione: lì l'acqua è leggermente più profonda.vd
All'inizio le rocce sfiorano il petto, poi mi muovo meglio. La meta di oggi è girare attorno a quello spuntone di isolotto a una sessantina di metri al largo della spiaggia. L'immettersi in un altra dimensione dona alla pelle una sensazione estatica, quasi superumana.

Nonostante i 29 gradi dell'acqua, dopo un'ora di nuoto cominciano a girare brividi di freddo insistenti. Sono contento: sul lato sinistro dell'isolotto, dove ci sono i coralli migliori, ho visto un majestic angelfish e una coppia di impassibili longfin batfish. Di barracuda neanche l'ombra, solo i ben più piccoli needlefish dai denti aguzzi.  Per alcuni minuti sono stato poi circondato da migliaia di piccoli pesci argentei: facevano il giro attorno al mio corpo, trasmettendo alle iridi tanti scomposti, riflessi, raggi solari. Ero assediato da quella perfetta confusione animale che mi regalava indescrivibili sensazioni primordiali, un caleidoscopio naturale di beatitudine. Tutti veniamo da lì.

Mentre esploro dei grossi coralli nella via del ritorno,  l'occhio si focalizza su qualcosa di strano. A circa due metri di profondità, su una roccia grigio-marrone, nell'acqua limpidissima delle undici del mattino, quasi in piena bassa marea, individuo un protuberanza dello stesso colore del corallo che assomiglia a qualcosa di vivente. E' un essere vivente. Riconosco gli occhi scuri e sporgenti, pinne ventrali schiacciate sul fondale, quelle dorsali arricchite da aculei. Un pesce a forma di goccia schiacciata con il muso piatto come quello di un papero malefico e gli occhi a metà tra rospo e coccodrillo. Il suo colore è poco definibile essendo composto da macchie grigio-giallo-marrone. Lui guarda immobile il mondo che passa, sicuro del suo mimetismo e delle sue difese naturali. Se potessi fare un salto fuori dall'acqua, lo farei. Un salto di gioia. Sotto di me c’è un crocodilefish. Lo osservo per minuti contrastando la lieve corrente marina che trasporta piccole porzioni di vegetazione e qualche medusa solitaria.  Poi torno.
Ora conosco il percorso per arrivare dai due cani nocciola senza incappare in taglienti coralli.
Alzando lievemente il capo noto che una barchetta ha fatto rotta verso la mia insenatura.

giovedì 6 novembre 2014

Barracuda beach

Il sentiero per arrivare a Barracuda beach non è proprio semplice. Parte subito ripido da dietro le case in legno che si affacciano sul mare di Kadidiri. Un ragazzo locale mi ha spiegato che devo mantenere il sentiero principale, ed una volta arrivato ad una grossa pozza d'acqua dolce prendere la destra.
La giornata è tersa e senza vento. Pur essendo di prima mattina, dopo la breve salita sono sudato. Anche oggi i due intrepidi cani nocciola dei miei ospiti mi seguono, ma con poca voglia. In testa mi gira un motivo dei The Cinematic Orchestra. Buone vibrazioni. Erbe alte ed umide entrano tra le gambe e le braccia come spade leggere e sinuose, ostacolando l'ascesa. Erbe equatoriali dai bordi seghettati e taglienti. Ieri sera ha piovuto e dunque il sentiero scuro è ancora più scivoloso del solito. Mi aggrappo con la mano libera a qualche radice sporgente o fusto di cespuglio.
L'entroterra di Kadidiri è inizialmente disseminato da vecchie piantagioni di palma da cocco e da sentieri angusti che penetrano la foresta. I due cani sono tornati vispi: entrano nella boscaglia, fiutano, cercano, osservano. Ben presto lascio le palme coltivate per entrare nel bosco. Qui l'aria diventa pesante seppure la temperatura non sia elevata: l'umidità la si può conoscere e palpare. Odore di zolfo e di materiale vegetale che lavora e si disintegra in poco tempo. Piccole zanzare fanno la corte alla pelle che tenta inutilmente di espellere sudore. Accelero il passo anche se vorrei Fffermarmi ad osservare meglio gli alberi, i fiori rossi che si arrampicano sui tronchi, gli insetti. Presto arrivo alle pozze di acqua dolce. Il sentiero qui si biforca. Costeggio gli specchi d'acqua fangosa e poi prendo il sentiero a destra. I cani scendono a bere.

Dopo aver raccolto qualche lime da una pianta spuntata dal nulla vedo alberi di banano e poi ancora palme da cocco. Sento di essere vicino alla meta. A sinistra mi protegge una collina ripida, forse l'inizio di una scogliera che si butta in mare.
Una brezza leggera che si insinua tra i tronchi alti mi avvisa che lo spazio aperto è prossimo. Apro la camicia per assorbire l'aria che viene del mare. Dall'alto ammiro la costa contornata da alberi e cespugli, da un mezzo anello di nivea sabbia e da un mare incastonato di azzurro. Barracuda beach. Scendiamo nella piccola spiaggia piano, assaporando con le iridi la Natura. Le scogliere laterali, gli alberi e le liane che sporgono da loro pericolosamente, la sabbia incredibilmente fine, l'isolotto minuscolo che spunta dall'acqua cristallina, sono lì. Tutto questo basta abbondantemente.
Ad una lato della spiaggia dei barracuda noto una casupola di legno. Mi avvicino ma non vedo nessuno. Sono felicemente solo, conBB due dolci cani esploratori. All'ombra di quella che nella querida Bolivia orientale chiamano siete copas il sudore del corpo ben presto si volatilizza. Le due fedeli guardie del corpo color nocciola scavano delle buche nella sabbia per riposarsi al fresco. Ogni tanto si alzano per mettere il muso nelle tane di innocui granchi, piccole, piccole, copie dei giganti granchi del cocco che vivono più in dentro, nella buia foresta.
La marea regredisce, lasciando tra le onde deboli alimento per un martin pescatore dal becco pesante e dai colori vistosi. Ancora non so che tra quei lievi flutti di acqua diafana presto incontrerò il mio primo crocodilefish.

sabato 11 ottobre 2014

I cacciatori dei granchi delle noci di cocco

I granchi hanno paura di due cani di media grandezza? La risposta è sì, a meno che si tratti di granchi del cocco. Proprio con questo tipo di crostacei ho fatto di recente conoscenza. Per non parlare del rischio concreto di essere azzannato da un timido sea banded snake. Ma questa è una storia che appartiene alle immersioni in Tanjung Karang, a Palu.

E' la prima mattina sull'isola di Kadidiri, Togean. Nel sacchetto di plastica bianco ho infilato maschera, boccaglio e una bottiglia d'acqua. Con il sapore del buon caffè di Sulawesi mi inerpico per uno stretto sentiero, e son subito nella foresta equatoriale. Inaspettatamente i due cani dei miei ospiti cominciano a seguirmi. Sono due fratelli dal manto nocciola, giovani e veloci, un po' cani da caccia, un po' altro. L'obiettivo (mio) è quello di raggiungere una spiaggia isolata; l'obiettivo (dei cani) è fare una passeggiata. Tutti vogliamo esplorare.
Le infradito a fatica percorrono la strada di terra scura e compatta. Si aggrappano ad antiche pietre di corallo per non scivolare. La foresta offre il suo straordinario spettacolo: alberi sconosciuti dai tronchi chiari, liane, palme poderose dalle foglie fitte si innalzano dall'oscurità. Il cuore batte al ritmo dei miei passi, al frinire lamentoso di cicale, al richiamo imperscrutabile di uccelli solitari. Un cuore umido a pochi chilometri dalla linea dell'equatore.
Dopo aver oltrepassato una collina, la foresta diviene pianeggiante ed acquitrinosa, con alberi dalle radici semiaeree che attingono dall'acqua la forza E' proprio in questa zona paludosa che ricompaiono i due cani nocciola, e tra qualche secondo farò conoscenza con i giganteschi granchi del cocco. Il sentiero costeggia grandi pozze di acqua dolce, facendomi ad un tratto notare una serie di grossi buchi nel terreno. "Saranno roditori", dico a me stesso. Ma le strane cavità hanno uno sviluppo stranamente verticale. Oltrepasso uno di questi antri neri e vedo qualcosa muoversi al suo interno. Mi blocco quando realizzo parzialmente cosa sto trovandomi di fronte. Una serie di zampe marroni, pelose come quelle di una tarantola, grosse, molto grosse, sono rannicchiate, quasi attaccate tra loro all'interno della tana. Il collegamento con quello letto da un libro ormai è immediato. Sono granchi del cocco,  http://it.wikipedia.org/wiki/Birgus_latro animali di alcuni chili di peso, piuttosto rari, le cui chele  dicono possano rompere i gusci delle noci di cocco. Sicuro è che se infilassi nel buco un dito o qualcosa di più consistente difficilmente rimarrebbe attaccato al resto del corpo.
Nel frattempo gli amici cani cominciano ad interessarsi alle tane dei paguri giganti, a volte mettendo dentro il naso per odorare la loro presenza. Cani temerari. Con il sudore che inonda la camicia decido di gironzolare attorno questi buchi oscuri con la speranza di vedere qualcosa di più. "Sono animali notturni", penso, quando ecco che i cani cominciano ad abbaiare, puntando qualcosa. Mi avvicino e sono subito colpito da un paio di chele decisamente grosse dietro (e sotto) le quali si difende il granchio stanato. Con una mossa fulminea il crostaceo si ripara le spalle portandosi a ridosso di una radice sporgente. I due fratelli circondano la preda a distanza di sicurezza; il pericoloso gioco finisce quando il granchio marrone trova un pertugio sotto la radice, così tutti ne escono indenni.
KaddDopo il significativo incontro è tempo di immergersi nelle cristalline acque di Kadidiri. La spiaggia è vicinissima, protetta da scogliere di roccia straripante di vegetazione. I cani si riposano sulla sabbia all'ombra di un gigantesco siete copas (indian almond), in attesa che il mio volare sopra coralli abbia fine.

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domenica 21 settembre 2014

L'imprendibile Kalimantan

Se avessi prenotato uno o due giorni prima il volo per Sulawesi mi sarei trovato in un grosso pasticcio.
Arrivo dopo sei ore a Tawau. Il bus vecchio soffiava con poca efficacia l'aria condizionata ma il viaggio e' risultato piu' che decente. Il ragazzo dei biglietti e dei bagagli dopo avermi indicato il centro cittadino mi stringe la mano destra, poi se la porta al cuore. Cammino veloce in una citta' calda e desertificata dall'inizio delle feste dell'Hari raya. In una zona di alberghi ambigui del centro ne scelgo uno. Lascio lo zaino, riempio la bottiglia di acqua dall'erogatore dell'albergo, poi mi dirigo verso il porto. Qui gli uffici che vendono biglietti delle speed boat dirette in Kalimantan sono chiusi. Tra due giorni ho il volo da Tarakan per l'isola di Sulawesi. Tarakan si trova a piu' di cento chilometri da Tawau e da nord la si puo' raggiungere solo via nave. Chiedo ad un malese-cinese se domani ci saranno imbarcazioni per il Borneo indonesiano: non lo sa.
Tutto si sta complicando seriamente. Sono le 16 e, prima di recarmi in un hotel di lusso per chiedere informazioni, mi consolo con mezzo chilo di rambutan gialli.

La mattina dopo mi avvicino preoccupato alla zona portuale. Ieri nessuno mi ha fornito certezze. Ora sapro'. Evviva. Le biglietterie sono aperte. Ma la gioia si stempra quando mi dicono che non ci sono barche per Tarakan. L'unica via e' prenderne una per la vicina isola di Nunukan, quindi sperare nei collegamenti verso sud.

In una torrida sala di aspetto inizia il calvario per raggiungere Nunukan. Ci saranno un'ottantina di persone tra indonesiani, malesi e uno sparuto gruppo di occidentali con i quali non ho voglia di socializzare. Il tempo scorre e nulla si muove. La maledizione delle feste di Hari raya incombe.
Dopo cinque ore di aspettativa riusciamo a salire sul traghetto diretto in Indonesia. L'ora che separa Tawau da Nunukan passa veloce e alle 17:30 attracchiamo nell'isola. Chiedo subito ai doganieri se ci sono imbarcazioni per Tarakan. Forse. Anche il disomogeneo gruppo di occidentali partiti con me pare diretto a sud. Loro si affidano ad un mediatore locale; preferisco arrangiarmi da solo.
Il tempo incombe e finalmente mi assicurano che tra un'ora parte il ferry notturno per Tarakan. Ringrazio i doganieri, contratto il prezzo con un mototaxista e veloci ci dirigiamo verso il lontano porto da cui parte l'imbarcazione. Anche se non sono fornito di casco esorto il taxista di volare sulla vastisssima Nunukan prima che la nave lasci gli ormeggi.Manta1
Il tramonto sul mare accoglie la nostra moto quindici minuti prima della partenza del ferry Manta. Pago, firmo, invento una nazionalita', e sono sul ponte dell'imbarcazione.

Un sollievo infinito mi sboccia nel cuore: domani mattina saro' a Tarakan e sulla Manta2sommita' della nave spira una brezza da est, e a ovest il crepuscolo manda i suoi ultimi segnali. Vorrei passare tutta la notte a guardare l'acqua scura e la costa del Borneo che si muoveranno sotto e attorno di me, a fissare neonate stelle che ondeggiano con il mare quando un'essere soprannaturale coprira' tutto di nero con piccoli buchi per le stelle e un foro maggiore per una luna dal cuore dolce. Il traghetto emette tre fischi.
Parto.
 
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