sabato 11 ottobre 2014

I cacciatori dei granchi delle noci di cocco

I granchi hanno paura di due cani di media grandezza? La risposta è sì, a meno che si tratti di granchi del cocco. Proprio con questo tipo di crostacei ho fatto di recente conoscenza. Per non parlare del rischio concreto di essere azzannato da un timido sea banded snake. Ma questa è una storia che appartiene alle immersioni in Tanjung Karang, a Palu.

E' la prima mattina sull'isola di Kadidiri, Togean. Nel sacchetto di plastica bianco ho infilato maschera, boccaglio e una bottiglia d'acqua. Con il sapore del buon caffè di Sulawesi mi inerpico per uno stretto sentiero, e son subito nella foresta equatoriale. Inaspettatamente i due cani dei miei ospiti cominciano a seguirmi. Sono due fratelli dal manto nocciola, giovani e veloci, un po' cani da caccia, un po' altro. L'obiettivo (mio) è quello di raggiungere una spiaggia isolata; l'obiettivo (dei cani) è fare una passeggiata. Tutti vogliamo esplorare.
Le infradito a fatica percorrono la strada di terra scura e compatta. Si aggrappano ad antiche pietre di corallo per non scivolare. La foresta offre il suo straordinario spettacolo: alberi sconosciuti dai tronchi chiari, liane, palme poderose dalle foglie fitte si innalzano dall'oscurità. Il cuore batte al ritmo dei miei passi, al frinire lamentoso di cicale, al richiamo imperscrutabile di uccelli solitari. Un cuore umido a pochi chilometri dalla linea dell'equatore.
Dopo aver oltrepassato una collina, la foresta diviene pianeggiante ed acquitrinosa, con alberi dalle radici semiaeree che attingono dall'acqua la forza E' proprio in questa zona paludosa che ricompaiono i due cani nocciola, e tra qualche secondo farò conoscenza con i giganteschi granchi del cocco. Il sentiero costeggia grandi pozze di acqua dolce, facendomi ad un tratto notare una serie di grossi buchi nel terreno. "Saranno roditori", dico a me stesso. Ma le strane cavità hanno uno sviluppo stranamente verticale. Oltrepasso uno di questi antri neri e vedo qualcosa muoversi al suo interno. Mi blocco quando realizzo parzialmente cosa sto trovandomi di fronte. Una serie di zampe marroni, pelose come quelle di una tarantola, grosse, molto grosse, sono rannicchiate, quasi attaccate tra loro all'interno della tana. Il collegamento con quello letto da un libro ormai è immediato. Sono granchi del cocco,  http://it.wikipedia.org/wiki/Birgus_latro animali di alcuni chili di peso, piuttosto rari, le cui chele  dicono possano rompere i gusci delle noci di cocco. Sicuro è che se infilassi nel buco un dito o qualcosa di più consistente difficilmente rimarrebbe attaccato al resto del corpo.
Nel frattempo gli amici cani cominciano ad interessarsi alle tane dei paguri giganti, a volte mettendo dentro il naso per odorare la loro presenza. Cani temerari. Con il sudore che inonda la camicia decido di gironzolare attorno questi buchi oscuri con la speranza di vedere qualcosa di più. "Sono animali notturni", penso, quando ecco che i cani cominciano ad abbaiare, puntando qualcosa. Mi avvicino e sono subito colpito da un paio di chele decisamente grosse dietro (e sotto) le quali si difende il granchio stanato. Con una mossa fulminea il crostaceo si ripara le spalle portandosi a ridosso di una radice sporgente. I due fratelli circondano la preda a distanza di sicurezza; il pericoloso gioco finisce quando il granchio marrone trova un pertugio sotto la radice, così tutti ne escono indenni.
KaddDopo il significativo incontro è tempo di immergersi nelle cristalline acque di Kadidiri. La spiaggia è vicinissima, protetta da scogliere di roccia straripante di vegetazione. I cani si riposano sulla sabbia all'ombra di un gigantesco siete copas (indian almond), in attesa che il mio volare sopra coralli abbia fine.

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domenica 21 settembre 2014

L'imprendibile Kalimantan

Se avessi prenotato uno o due giorni prima il volo per Sulawesi mi sarei trovato in un grosso pasticcio.
Arrivo dopo sei ore a Tawau. Il bus vecchio soffiava con poca efficacia l'aria condizionata ma il viaggio e' risultato piu' che decente. Il ragazzo dei biglietti e dei bagagli dopo avermi indicato il centro cittadino mi stringe la mano destra, poi se la porta al cuore. Cammino veloce in una citta' calda e desertificata dall'inizio delle feste dell'Hari raya. In una zona di alberghi ambigui del centro ne scelgo uno. Lascio lo zaino, riempio la bottiglia di acqua dall'erogatore dell'albergo, poi mi dirigo verso il porto. Qui gli uffici che vendono biglietti delle speed boat dirette in Kalimantan sono chiusi. Tra due giorni ho il volo da Tarakan per l'isola di Sulawesi. Tarakan si trova a piu' di cento chilometri da Tawau e da nord la si puo' raggiungere solo via nave. Chiedo ad un malese-cinese se domani ci saranno imbarcazioni per il Borneo indonesiano: non lo sa.
Tutto si sta complicando seriamente. Sono le 16 e, prima di recarmi in un hotel di lusso per chiedere informazioni, mi consolo con mezzo chilo di rambutan gialli.

La mattina dopo mi avvicino preoccupato alla zona portuale. Ieri nessuno mi ha fornito certezze. Ora sapro'. Evviva. Le biglietterie sono aperte. Ma la gioia si stempra quando mi dicono che non ci sono barche per Tarakan. L'unica via e' prenderne una per la vicina isola di Nunukan, quindi sperare nei collegamenti verso sud.

In una torrida sala di aspetto inizia il calvario per raggiungere Nunukan. Ci saranno un'ottantina di persone tra indonesiani, malesi e uno sparuto gruppo di occidentali con i quali non ho voglia di socializzare. Il tempo scorre e nulla si muove. La maledizione delle feste di Hari raya incombe.
Dopo cinque ore di aspettativa riusciamo a salire sul traghetto diretto in Indonesia. L'ora che separa Tawau da Nunukan passa veloce e alle 17:30 attracchiamo nell'isola. Chiedo subito ai doganieri se ci sono imbarcazioni per Tarakan. Forse. Anche il disomogeneo gruppo di occidentali partiti con me pare diretto a sud. Loro si affidano ad un mediatore locale; preferisco arrangiarmi da solo.
Il tempo incombe e finalmente mi assicurano che tra un'ora parte il ferry notturno per Tarakan. Ringrazio i doganieri, contratto il prezzo con un mototaxista e veloci ci dirigiamo verso il lontano porto da cui parte l'imbarcazione. Anche se non sono fornito di casco esorto il taxista di volare sulla vastisssima Nunukan prima che la nave lasci gli ormeggi.Manta1
Il tramonto sul mare accoglie la nostra moto quindici minuti prima della partenza del ferry Manta. Pago, firmo, invento una nazionalita', e sono sul ponte dell'imbarcazione.

Un sollievo infinito mi sboccia nel cuore: domani mattina saro' a Tarakan e sulla Manta2sommita' della nave spira una brezza da est, e a ovest il crepuscolo manda i suoi ultimi segnali. Vorrei passare tutta la notte a guardare l'acqua scura e la costa del Borneo che si muoveranno sotto e attorno di me, a fissare neonate stelle che ondeggiano con il mare quando un'essere soprannaturale coprira' tutto di nero con piccoli buchi per le stelle e un foro maggiore per una luna dal cuore dolce. Il traghetto emette tre fischi.
Parto.

venerdì 29 agosto 2014

La foresta del monte Kinabalu, Borneo

Aria mielata giunge dal basso. Aria di tropico addolcita da vegetazione in fiore del Borneo settentrionale.
Ieri ho trovato alloggio a una cinquantina di metri dall'entrata del parco nazionale del monte Kinabalu. Di sera spirava una brezza incredibilmente fresca per i soli 1580 metri di altitudine della sede del parco.

Ora sono appena entrato nel Kiau View Trail. Otto del mattino. Pantaloni corti, calze, sandali semichiusi, e camicia. Nello zaino ho acqua, frutta, pane e un maglione. Fuori l'aria sa' di miele. Fuori lo spettacolo della Natura. Dopo il primo tornante il rumore delle strada sparisce. Sono nella foresta pluviale del monte Kinabalu e, se non fosse per quell' aroma esotico, il clima oggi potrebbe essere comparabile a quello alpino: aria fresca, poca umidita', temperatura e visibilita' ottimali.
Cammino piano, cercando di produrre il minor rumore possibile osservando, K1respirando con il bosco la sua aria. Il sentiero e' un insieme di terra sabbiosa colorata di arancione, rosso e grigio, e da una complicatissima rete di radici. Nelle porzioni di sentiero piu' in pendenza l'acqua ha modellato il terreno levigandolo dolcemente. Solo gli apparati radicali resistono alla pioggia. Oltre ad un sottobosco ricco di cespugli, fiori, felci di mille tipi, sono gli alberi che catturano l'attenzione (e l'amore):
tronchi affusolati, lisci, ruvidi, marroni, gialli, liane pendule, tutti protesi spasmodicamente verso l'alto, alla ricerca di una porzione di luce vitale, tutti in contemplazione della montagna delle anime degli antenati, la montagna dei quattromila metri. Molti sono gli alberi di grandi dimensioni dai tronchi perfettamente verticali supportati da radici che sventrano la terra per decine di metri; appena un ramo presenta qualche increspatura, subito un rampicante, una felce, un'orchidea, prendono posto. Rispetto ad altre foreste tropicali o subtropicali qui gli insetti che vedo sono pochi, a parte qualche coleottero dalle dimensioni gigantesche, mosche e simil-ape.
In questo momento il sentiero Kiau diviene piano e si biforca: da una parte scende verso la sede del parco, l'altra raggiunge la strada che porta alla scalata del Mt. Kinabalu. Finora non ho incontrato nessuno, nonostante la vetta della montagna venga conquistata ogni anno da decine di migliaia di
persone.
Ben presto raggiungo la strada in attesa di riprendere un altro sentiero. Qui, dove la visuale si apre un poco, e' possibile ammirare delle felci enormi che superano i quattro metri di altezza.K2
A 1780 m i sandali imboccano il sentiero Bukit Ular. Ruscelli di acqua limpida attraversano a tratti il percorso mentre il vento si insinua tra i rami alti. Tranne qualche scoiattolo di cui uno grosso, credo volante, altri animali come uccelli rimangono in alto. Sono colpito da un richiamo triste e puntuale di un volatile sconosciuto ed invisibile. Intravedo un
cucciolo di serpente che si dilegua tra le foglie. Il sentiero nella sua parte finale si arrampica con l'aiuto di scale di legno e gradini scavati nella terra. A 1960 m sono sulla cima di una collina che guarda il monte
Kinabalu. Qui, tra rododendri alti due metri e alberi modellati dal vento posso godere pienamente e da vicino le vette del Kinabalu. Sono fortunato, oggi le nubi non imperversano attorno le scure rocce granitiche della montagna.
MK

domenica 10 agosto 2014

Verso il monte Kinabalu

Il bas mini bianco sfreccia tra le foreste che circondano la montagna degli spiriti degli antenati, il rilievo dai molti picchi piu' alto dalla Nuova Guinea all'imprendibile Himalaya. La meta obbligata per tutti coloro che visitano il Borneo settentrionale.
Ho lasciato la stanza col ventilatore a soffitto -stanco di lavorare- poco dopo le sette. Il sole accoglie con gioia la pelle del corpo. Per fortuna soffia una brezza da sud-ovest. Arrivo rapidamente alla fermata dei minivan e trovo il mezzo gia’ semipieno. Bene. Mi indicano un posto a sedere. Dietro di me ci sono tre ragazze britanniche. Il bigliettaio mi chiede piu' delle cifra normale. E' per il bagaglio. Metto lo zaino sulle ginocchia e pago il giusto.
Il traffico di Kota Kinabalu a quest'ora e' importante: bus di linea, bus per turisti, van, pick-up, auto normali e auto piene di modifiche non molto ortodosse come tubi di scappamento ingigantiti, lucine colorate stile albero di natale, cuscini, adesivi creativi e così via.
Intanto sul nostro minibus arriva il sole e, con esso, il sudore. Mancano due passeggeri e fino a quando il mezzo non e' pieno non parte. All'improvviso due signore velate completano il bas mini. Manca pero' una britannica che e' andata in bagno. Alla fine si parte. Aria quasi fresca entra dai finestrini mentre risaliamo la scogliera. Il caos cittadino si allenta.
Sul cruscotto del bus si tengono compagnia un adesivo con frasi in arabo a sicuro tema religioso, accanto a tre stemmi di una nota birra olandese. Scuoto la testa sorridendo. Accanto a me c'e' un signore anziano di campagna, davanti una coppia di ragazzi probabilmente sposati: lei racchiusa in un velo color rosso vivo, lui con una camicia jeans. Lei con le gambe raccolte, lui l'opposto. Il giovane gioca con il cellulare, la ragazza parla a tratti, dolce e timida.
Sposto lo sguardo fuori. Scorrono palazzi, capannoni e poi case di legno contornate da giardini.
 
Il conducente dagli occhiali scuri spinge il suo mezzo bianco veloce sulla salita. Presto l'altimetro segna 900 metri. Sposto le iridi a destra e a sinistra: colline ammantate da boschi si fanno piu' vicine come se segnassero la strada daKi2 prendere. Anche la vegetazione muta con la scomparsa quasi totale delle palme e altri alberi a foglia grande. I settecentocinquanta chilometri del parco del monte Kinabalu sono un oasi di biodiversita' circondata dalla monocoltura devastante della palma da olio.
Ora l'aria fresca arriva fino alle nostre narici, al punto che il signore vicino a me chiude il finestrino.
Quando il Mt. Kinabalu compare in tutta la sua massiccia imponenza, le ragazze dietro Kibofonchiano qualche commento. La montagna piu' alta e' li', avvolta nell'afa implacabile del Borneo e da nuvole affilate che girano attorno ai suoi picchi di granito.
 
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