venerdì 29 agosto 2014

La foresta del monte Kinabalu, Borneo

Aria mielata giunge dal basso. Aria di tropico addolcita da vegetazione in fiore del Borneo settentrionale.
Ieri ho trovato alloggio a una cinquantina di metri dall'entrata del parco nazionale del monte Kinabalu. Di sera spirava una brezza incredibilmente fresca per i soli 1580 metri di altitudine della sede del parco.

Ora sono appena entrato nel Kiau View Trail. Otto del mattino. Pantaloni corti, calze, sandali semichiusi, e camicia. Nello zaino ho acqua, frutta, pane e un maglione. Fuori l'aria sa' di miele. Fuori lo spettacolo della Natura. Dopo il primo tornante il rumore delle strada sparisce. Sono nella foresta pluviale del monte Kinabalu e, se non fosse per quell' aroma esotico, il clima oggi potrebbe essere comparabile a quello alpino: aria fresca, poca umidita', temperatura e visibilita' ottimali.
Cammino piano, cercando di produrre il minor rumore possibile osservando, K1respirando con il bosco la sua aria. Il sentiero e' un insieme di terra sabbiosa colorata di arancione, rosso e grigio, e da una complicatissima rete di radici. Nelle porzioni di sentiero piu' in pendenza l'acqua ha modellato il terreno levigandolo dolcemente. Solo gli apparati radicali resistono alla pioggia. Oltre ad un sottobosco ricco di cespugli, fiori, felci di mille tipi, sono gli alberi che catturano l'attenzione (e l'amore):
tronchi affusolati, lisci, ruvidi, marroni, gialli, liane pendule, tutti protesi spasmodicamente verso l'alto, alla ricerca di una porzione di luce vitale, tutti in contemplazione della montagna delle anime degli antenati, la montagna dei quattromila metri. Molti sono gli alberi di grandi dimensioni dai tronchi perfettamente verticali supportati da radici che sventrano la terra per decine di metri; appena un ramo presenta qualche increspatura, subito un rampicante, una felce, un'orchidea, prendono posto. Rispetto ad altre foreste tropicali o subtropicali qui gli insetti che vedo sono pochi, a parte qualche coleottero dalle dimensioni gigantesche, mosche e simil-ape.
In questo momento il sentiero Kiau diviene piano e si biforca: da una parte scende verso la sede del parco, l'altra raggiunge la strada che porta alla scalata del Mt. Kinabalu. Finora non ho incontrato nessuno, nonostante la vetta della montagna venga conquistata ogni anno da decine di migliaia di
persone.
Ben presto raggiungo la strada in attesa di riprendere un altro sentiero. Qui, dove la visuale si apre un poco, e' possibile ammirare delle felci enormi che superano i quattro metri di altezza.K2
A 1780 m i sandali imboccano il sentiero Bukit Ular. Ruscelli di acqua limpida attraversano a tratti il percorso mentre il vento si insinua tra i rami alti. Tranne qualche scoiattolo di cui uno grosso, credo volante, altri animali come uccelli rimangono in alto. Sono colpito da un richiamo triste e puntuale di un volatile sconosciuto ed invisibile. Intravedo un
cucciolo di serpente che si dilegua tra le foglie. Il sentiero nella sua parte finale si arrampica con l'aiuto di scale di legno e gradini scavati nella terra. A 1960 m sono sulla cima di una collina che guarda il monte
Kinabalu. Qui, tra rododendri alti due metri e alberi modellati dal vento posso godere pienamente e da vicino le vette del Kinabalu. Sono fortunato, oggi le nubi non imperversano attorno le scure rocce granitiche della montagna.
MK

domenica 10 agosto 2014

Verso il monte Kinabalu

Il bas mini bianco sfreccia tra le foreste che circondano la montagna degli spiriti degli antenati, il rilievo dai molti picchi piu' alto dalla Nuova Guinea all'imprendibile Himalaya. La meta obbligata per tutti coloro che visitano il Borneo settentrionale.
Ho lasciato la stanza col ventilatore a soffitto -stanco di lavorare- poco dopo le sette. Il sole accoglie con gioia la pelle del corpo. Per fortuna soffia una brezza da sud-ovest. Arrivo rapidamente alla fermata dei minivan e trovo il mezzo gia’ semipieno. Bene. Mi indicano un posto a sedere. Dietro di me ci sono tre ragazze britanniche. Il bigliettaio mi chiede piu' delle cifra normale. E' per il bagaglio. Metto lo zaino sulle ginocchia e pago il giusto.
Il traffico di Kota Kinabalu a quest'ora e' importante: bus di linea, bus per turisti, van, pick-up, auto normali e auto piene di modifiche non molto ortodosse come tubi di scappamento ingigantiti, lucine colorate stile albero di natale, cuscini, adesivi creativi e così via.
Intanto sul nostro minibus arriva il sole e, con esso, il sudore. Mancano due passeggeri e fino a quando il mezzo non e' pieno non parte. All'improvviso due signore velate completano il bas mini. Manca pero' una britannica che e' andata in bagno. Alla fine si parte. Aria quasi fresca entra dai finestrini mentre risaliamo la scogliera. Il caos cittadino si allenta.
Sul cruscotto del bus si tengono compagnia un adesivo con frasi in arabo a sicuro tema religioso, accanto a tre stemmi di una nota birra olandese. Scuoto la testa sorridendo. Accanto a me c'e' un signore anziano di campagna, davanti una coppia di ragazzi probabilmente sposati: lei racchiusa in un velo color rosso vivo, lui con una camicia jeans. Lei con le gambe raccolte, lui l'opposto. Il giovane gioca con il cellulare, la ragazza parla a tratti, dolce e timida.
Sposto lo sguardo fuori. Scorrono palazzi, capannoni e poi case di legno contornate da giardini.
 
Il conducente dagli occhiali scuri spinge il suo mezzo bianco veloce sulla salita. Presto l'altimetro segna 900 metri. Sposto le iridi a destra e a sinistra: colline ammantate da boschi si fanno piu' vicine come se segnassero la strada daKi2 prendere. Anche la vegetazione muta con la scomparsa quasi totale delle palme e altri alberi a foglia grande. I settecentocinquanta chilometri del parco del monte Kinabalu sono un oasi di biodiversita' circondata dalla monocoltura devastante della palma da olio.
Ora l'aria fresca arriva fino alle nostre narici, al punto che il signore vicino a me chiude il finestrino.
Quando il Mt. Kinabalu compare in tutta la sua massiccia imponenza, le ragazze dietro Kibofonchiano qualche commento. La montagna piu' alta e' li', avvolta nell'afa implacabile del Borneo e da nuvole affilate che girano attorno ai suoi picchi di granito.

mercoledì 25 giugno 2014

Lo straniero nel villaggio di Cambaquiz

Vive da tre giorni in una casa nel cuore del villaggio. E' un bianco, uno straniero dal lontano non-si-sa-dove. E' un tipo tranquillo, poche parole, gentile il necessario. Mia zia Meina gli prepara ogni giorno un pasto che consuma sul tavolo di legno accanto alla casa. Uova o carne, e verdura come Meina cuoce per i suoi figli. Nonostante la doppia porzione di riso, il forestiero è magro. Mia madre dice che a Cebu ma anche a Bohol gli stranieri spesso sono accompagnati da donne filippine. Lui no.

E' ora che mi presenti: sono Arnel, ho undici anni e da sempre vivo a Cambaquiz, Cabilao. La mia isola è piccola e senza montagne. Gli adulti sono quasi tutti pescatori o si dedicano al piccolo commercio. Alcuni lavorano nei resort con i turisti, molti emigrano. Io vado a scuola e da grande vorrei guidare le navi, quelle grosse che si spostano da una isola all'altra e vanno così lontano che non le vedi più, nonostante siano grosse cinquanta volte le barchette di Cabilao.

L'uomo è nel villaggio da tre giorni ma pare qui da tanto. E' una mia sensazione, qualcosa che si capisce senza pienamente intenderlo: quel suo modo di camminare la strada, di accostarsi controllato alle cose, gli occhi ironici e stanchi, i suoi vestiti normali, il sacchetto di plastica del Colonnade di Cebu city che si porta sempre dietro. Quando i bianchi escono dal resort, osserviamo le loro macchine fotografiche, i sandali, gli occhiali a specchio, le loro camice sgargianti. Sono gentili e i loro sorrisi troppo ampli. 
Prima accennavo alla strada; le infradito dello straniero di Cambaquiz sono consumate e usurate, il suo passo è veloce, le sottili  gambe nascondono muscoli e tendini che conoscono lo sporco e lo splendore trasfigurante del cammino.
Zia Meina dice che non prende mai i moto-taxi. Parte la mattina presto con il sacchetto e il cappellino per non so dove. Dicono che vada ad esplorare le spiagge dell'isola. Dal sacchetto bianco ogni tanto esce la punta del boccaglio. Credo gli piaccia nuotare e vedere i pesci.

Questa sera, quando il crepuscolo allunga l'oscurità purificatrice sull'isola, ho visto ancora il forestiero senza nome. Andava nell'emporio di Mari a comprare pane dolce, una bevanda frizzante e una bottiglia di liquido bruno. Li mette nel piccolo zaino nero e poi torna a casa. Ieri l'ho intravisto mentre si faceva la doccia versandosi secchi d'acqua nel bagno aperto. Quando e' buio, alle 19, arriva l'altra luce su Cabilao: tranne quei pochi che possiedono un generatore, per B CQ 1tutti l'energia elettrica dura cinque ore. Dopo mezzanotte tutto torna oscuro; le radio, i sound system, i ventilatori dal cuore dolce smettono di funzionare in attesa della prossima attivazione, il giorno dopo.

La signora che vive nella casa accanto alla baracca dello straniero dice che la sera lui beve, stanco, poi esce a passeggiare sulla spiaggia, quindi dorme dentro la zanzariera. Quando ha contrattato il prezzo della stanza diceva a zia Meina che aveva bisogno di dormire morbido. Forse ora sarà costretto ad appoggiare l'anca su un cuscino perché le stuoie stese sul bambù sono troppo sottili. Alle 24 il ventilatore smette di funzionare e nella capanna farà fresco fino all'alba.B CQ 2 Invece, anche se dopo pranzo il ventilatore dal cuore dolce funzionasse, sarebbe impossibile riposare dentro la casa di legno e lamiera. Ma questo il forestiero lo sapeva.
Arnel, anyway, omaggia il mondo contorto e lineare dello straniero. E la sua musica sconosciuta. Quando Arnel adulto comanderà la grande nave, sarà felice di ospitare persone che si trasfigurano nella strada. Liquida, immaginaria o polverosa che sia.

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lunedì 2 giugno 2014

L'arrivo a Cambaquiz

Il sole orizzontale tocca la sabbia scottandola, le imbarcazioni bianche con i bilancieri e lo specchio del mare rifrangono forte la luce. Sono giunto or ora nell'isola di Cabilao dalla vicina Pangangan. Un locale mi ha appena informato che a Cambaquiz c'è un solo un posto dove poter alloggiare. Con il mio fardello risalgo la bassa scogliera, e, in un patio dove degli stranieri stanno facendo colazione, chiedo una stanza ad un addetto. I prezzi sono troppo alti per il mio budget.
Al piccolo molo semideserto dove arrivano le barche da Sandingan, domando se qualcuno nel paese ha una stanza da affittare. Mi risponde una signora magra, sulla quarantina, con un cappello schiacciato sul capo per proteggersi dal sole. Sandra. La donna mi dice che normalmente nessuno alloggia fuori dal resort. Mi siedo su una panchina all'ombra di una tettoia. Il mattino è ancora vergine e l'acqua del mare è strabiliante come l’aria.
pCQualche minuto dopo Sandra torna con una donna giovane, sua cugina Meina, la quale mi informa che c'e' un luogo dove dormire. "Sì, sulla spiaggia ce ne sono tanti...", dico con ironia.
"Una piccola stanza di un uomo che ora lavora a Tagbilaran. Ma è molto semplice", risponde Meina sorridendo alla mia battuta.
"Vediamo".
Insieme entriamo nel cuore del piccolo villaggio di pescatori. L'abitazione è una baracca singola formata da assi di legno e coperta da un tetto di lamiera. La porta è chiusa all'esterno da un nastrino di tessuto  rosso. L'interno consta di un pavimento sconnesso di bambù, un tavolino basso, una specie di credenza dove ci sono le cose appartenenti al proprietario. Sulle pareti foderate vedo qualche foto sbiadita e un'immagine della Madonna. Una parte del tetto è coperta da un telone impermeabile. La corrente elettrica circola attraverso fili danzanti in alto. Niente letto. Bagno comune: fuori senza tettoia con solo un paravento intorno alto un metro e mezzo. Bidoni d'acqua portati dal pozzo e un water open air. Intorno case, alberi, baracche e galline libere.
Prima di prendere una decisione chiedo a Meina se puo' procurare delle stuoie, tante stuoie come materasso, cuscino, zanzariera e ventilatore. Sì. Prezzo proposto: 300 piso. Troppo. 200. Accetto. Contratto subito con la donna la preparazione di un pasto al giorno per due giorni, forse tre. Sandra ci saluta. Meina e altre signore nel frattempo sopraggiunte mi guardano con bonaria curiosita'. Sorridono. Le vicine. Le mie guardiane disarmate. Sono insieme compiaciute e lievemente disorientate dalla mia presenza. Il villaggio non è la metropoli: con la velocita’ di una tagliente scarica elettrica presto tutti sapranno della presenza di un occidentale nel barangay di Cambaquiz. Le saluto ed entro per poco nella mia nuova stanza rovente di lamiera baciata dal sole.

 
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